Don't judge a book by his cover.

Torre nel bel mezzo del nulla, 17 Marzo 101 PA

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    Lain, in groppa al suo drago, imprecò ad alta voce.
    D'accordo, la situazione stava sfiorando il surreale, come all'incirca metà delle vicende che lo vedevano protagonista. Ma che ne poteva sapere lui, che quel forziere era stregato?
    Era fin troppo evidente, imbecille lo rimbrottò Pat, sghignazzando davanti alla sfortuna del suo cavaliere. Lain reagì con un gesto stizzito.
    In effetti, comprare una mappa del tesoro da quello che (ora aveva capito essere) un ciarlatano non era stata l'idea più intelligente della giornata. Ma che ne poteva sapere lui? Sembrava così antica, e quell'uomo così affidabile...
    Ma andiamo con ordine.
    Quella mattina Lain si era alzato di ottimo umore, aveva lasciato la camera pulciosa della locanda più economica della città e si era diretto al mercato, di solito fonte di ottimi affari. Dato che era al momento disoccupato (momento che si protraeva da quasi tre anni), spesso frequentava i mercati nella speranza di trovare oggetti rari da rivendere, imbecilli da borseggiare e ragazze a cui cadeva la borsa, che lui si sarebbe prodigato a raccogliere, per poi amarle. Cancellate pure l'ultima frase.
    Comunque, fatto era che lui si era diretto al mercato ed aveva notato una ragazza bionda incredibilmente carina, che stava analizzando il banchetto della frutta. Lain, per non approcciarsi in modo troppo evidente, decise di fermarsi al banchetto accanto, osservando i libri e le pergamene accartocciate di cui era ricoperto. Per la cronaca, Lain non capiva un'emerita mazza di cultura, ma riteneva che fermarsi ad osservare dei volumi gli avrebbe dato (quando avrebbe attaccato bottone con la signorina) un'aria incredibilmente intellettuale.
    Un vero peccato che il venditore di libri dovesse aver visto in Lain un meraviglioso pollo da spennare.
    E a ragione.
    Infatti, dal chiedergli se cercava qualcosa in particolare (« Ah, boh, non lo so, forse. » ) ad arrivare a proporgli un affarone, di quelli che proponeva a pochi, giusto a quelli dallo sguardo sveglio, il tempo fu breve. Così come la decisione di Lain di comprare il sopracitato affarone, ovvero una mappa del tesoro del grande Barabbù, mago misterioso e depositario, così si diceva, di un'immensa fortuna.
    Ci sarebbe stato da chiedersi perché il venditore cedesse una mappa che portava a incredibile tesori, ma si sa, l'ingordigia di Lain non è mai stata proporzionata al suo cervello. Infatti, dopo aver contrattato sul prezzo (che Lain è riuscito a far abbassare di parecchio, ma non è che questa grande abilità gli sia risultata poi così utile), Lain era uscito fuori dalle mura della città, era salito in groppa ad una disincantata Pat, che già gli dava del coglione, e si erano diretti verso il punto indicato dalla mappa.
    Eviterò le varie peripezie che si svolsero prima di trovare il forziere, dato che la caccia al tesoro era disseminata di tappe ed indovinelli, ma alla fine, in una landa desolata, dimenticata dalle divinità e piena zeppa di moscerini, trovarono il forziere finale.
    Grosso, di legno, con complicate decorazioni in bronzo. Lain inserì e girò la chiave che aveva trovato nell'indizio precedente.
    Si udì uno schioccò prolungato, come un lungo colpo di frusta. E il cappello di Lain si calcò in modo più solido sulla sua testa.
    Lain guardò il forziere. Vuoto. Si toccò il cappello, facendo per scostarlo dalla nuca.
    Il cappello non si muoveva, come se qualcuno gliel'avesse incollato addosso.
    E il forziere era vuoto.
    Fu così che il nostro giovane eroe passò la mezz'ora seguente a cercare di scollarsi il copricapo dalla testa, ignorare le risate di Pat e a farsi prendere da una crisi isterica. Alla fine, rimontò sul suo drago e si diresse nuovamente al mercato cittadino, per minacciare tutta la famiglia del venditore ambulante nel caso questi non gli avesse trovato un rimedio, e subito. Come potrete ben immaginare, però, del venditore ambulante non c'era più nessuna, nessunissima traccia. Doveva essersi dato alla fuga.
    Urlando e imprecando, specie perché in quella minuscola cittadina non c'era nessun mago da cui comprare una soluzione, Lain fu costretto a seguire l'imbeccata di un signore di passaggio, rimontare addosso a Pat e dirigersi tutto ad est, poiché a quanto pareva, in una pianura brulla e priva di qualsivoglia cosa, vi sarebbe stata la torre di un mago. Il più vicino. Per Lain, dato che significava una mezz'ora di volo e una mattinata persa, fin troppo lontano.
    Ma, a parte lamentarsi per la demenzialità di ficcare una torre nel nulla più totale (probabilmente quel mago soffriva di una grave forma di egocentrismo), Lain non poteva discutere più di tanto. Sbuffando e pregando perché quel signore non si stesse facendo beffe di lui, rimontò in groppa a Pat (che ancora trovava difficile smettere di ridere) per dirigersi verso est, a caccia di questa fantomatica torre.
    Per fortuna, per essere visibile era visibile. Anche perché era parecchio alta, e spiccava anche a grande distanza, un po' come delle lucine di Natale in un cimitero. Se fossimo ai giorni nostri, s'intende.
    Pat cominciò a rallentare. Lain individuò, nonostante la grande altezza a cui si trovava, un grosso portone in legno, dall'aria incredibilmente rubusta. Ma non aveva la minima intenzione di stare lì ad aspettare che il mago si decidesse ad aprirgli, preferendo, data l'emergenza della situazione, uno strategemma che gli permettesse di avere più in fretta la soluzione tanto desiderata.
    E poi diciamocelo: a Lain piacciono le entrate sceniche.
    Ordinò a Pat di planare e, mentre questa rallentava, Lain si spostò, cavalcando all'amazzone, e appoggiando saldamente i piedi lungo le staffe. Una volta vicino ad una delle gigantesche vetrate della torre, e dopo essersi appurate che erano aperte e che quindi non si sarebbe ammazzato, si lasciò cadere, dandosi la spinta con i piedi ed usando una corda legata alla sella per evitare di sfracellarsi al suolo, nel caso qualcosa fosse andato storto.
    Quando si ritrovò con i piedi ben fermi sul cornicione della vetrata, lasciò andare la corda. Pat riacquistò velocità, andando ad atterrare poco distante.
    Lain, con un sorrisetto soddisfatto per la sua spericolatezza, si accucciò sul cornicione, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e mostrando una delle espressioni più rilassate del mondo, come se per lui entrare nelle case altrui passando per la finestra fosse questione di routine.
    « Salve. » esordì dunque, con tono pacato.
    Lain Lefevbre @



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    Nella lista dei vantaggi di vivere in mezzo al nulla, ordinatamente stilata da Nashville, al primo posto figurava 'nessun vicino interromperà la lettura di un romanzo suonando e chiedendo sciocchezze come lo zucchero'.
    Effettivamente da quando si era forzatamente trasferito nella torre aveva avuto molto tempo per leggere e dedicarsi alla sua attività preferita: farsi i fatti suoi in completa solitudine. Solitudine che coltivava, viveva come un dono divino e apprezzava anche più della birra rossa della taverna. Se non fosse stato per il richiamo del gioco e per i lavoretti che, di tanto in tanto, svolgeva, avrebbero potuto murarlo come un novello Raperonzolo, e lui non si sarebbe lamentato più di tanto.
    Quel giorno in particolare si stava dedicando ad un grosso librone a proposito dei poteri curativi delle rune, argomento di una noiosità rassicurante, prima di cominciare, per l'ennesima volta, la lettura di un thriller pre apocalittico che gli era costato un sacco di soldi.
    Se ne stava seduto – se così potremmo definire la posizione scomposta, con tanto di piedi poggiati al muro, che aveva assunto – sulla grande poltrona di drammatico velluto rosso, di fronte alla grande finestra del terzo piano. Lo considerava il posto più fresco della torre, il migliore dove appoggiare una bottiglia di vino per tenerla della temperatura ideale. Non che sarebbe durata poi così a lungo, tra le sue mani: era già a metà della bottiglia e non aveva ancora pranzato.
    Lanciò uno sguardo al livello del vino, virante al mezzo vuoto, sentendosi come sua zia Topeka, che dopo il divorzio aveva intrecciato una relazione molto stretta con la bottiglia. In realtà oltre ad un certo calore sulle guance non aveva ancora cominciato ad accusare i primi sintomi della sbronza, poteva concedersi ancora un bicchiere, insomma.
    "Finisco il paragrafo e poi me ne verso ancora un po'..." pensò lanciando una veloce occhiata al bicchiere vuoto, prima di tornare a informarsi sulla cura delle infezioni del sangue.
    Fu in quel momento che uno strano individuo attraversò con un salto la sua finestra, atterrando sul pavimento della stanza.
    Nashville lo fissò per un secondo, rettificando la sua valutazione riguardo al concedersi un altro bicchiere di vino, non del tutto certo che tutto ciò stesse accadendo veramente.
    « Ma che cazzo » fu la sua risposta al 'salve', più un'affermazione che una domanda.
    Abbassò il librone, assumendo una posizione più consona ad accogliere improvvisi ospiti. Era una fortuna che lui fosse abbastanza attento alla propria persona da non prendere il vivere in mezzo al nulla come un buon motivo per girare per casa con i suoi imbarazzanti boxer colorati e poco altro addosso. In ogni caso si accertò di indossare qualcosa di umano, con una veloce occhiata.
    Poi riportò il suo sguardo sull'inaspettato visitatore, alzando un sopracciglio esortandolo a dare una buona spiegazione della sua esistenza in quel preciso luogo.

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    Un « ma che cazzo » era meglio di un pugno in faccia, constatò Lain, che quindi poté ritenersi soddisfatto del proprio ingresso. Anche perché non era neanche stato trasformato in un rospo, piccolo rischio che, effettivamente, penetrare in modo illecito nelle abitazioni magiche altrui può comportare. E a quel punto sì che sarebbe stato un bel problema.
    Ma che Lain fosse per metà uno scavezzacollo e per l'altra metà un incosciente è cosa nota.
    Sorrise divertito davanti al sopracciglio alzato dell'altro, che davvero, stava reagendo in un gran bel modo. Non come un'anziana signora, che, una volta che Lain si era arrampicato sulla sua terrazza per chiedere se poteva prestargli delle garze, aveva risposto svenendo. Anche se Lain in realtà aveva ringraziato della cosa, dato che almeno aveva avuto tutto il tempo di slacciarle dal collo una catenina d'oro dall'aria pregiata.
    Ma andiamo oltre.
    Adesso che era entrato dentro, comunque, si sentì in un certo modo in imbarazzo. Si alzò in piedi, mettendo le mani in tasca e cercando di assumere l'aria di una persona incredibilmente a suo agio.
    « Gran belle finestre » esclamò, sentendosi in dovere di fare degli apprezzamenti sull'arredamento, ora che c'era dentro « Davvero, gran belle finestre. E gran bel panorama che si vede da, uh, quassù » concluse, gettando un'occhiata alla finestra dietro di sé, che dava sul nulla totale, costellato da sassi e rocce in quantità variabili. Sembrava un agente immobiliare desideroso di comprargli lo stabile; anche se Lain si chiese come facessero le persone normali, e quindi senza un drago, ad arrivare fin lassù. E come diavolo facesse quel mago a riempire la dispensa senza, ogni volta, dover fare una passeggiata lunga due giorni.
    "Magari ha una scopa magica. O un tappeto volante." si chiese, cercando di sbirciare uno dei due elementi all'interno della stanza. Per dirla tutta Lain non si era mai interessato più di tanto ai maghi, limitando i rapporti con loro quando aveva bisogno di qualcosa; in parole povere, aveva una buona cultura riguardo unguenti e rimedi magici, tra cui le tinte per capelli, ma tutto il resto gli risultava oscuro. Non sapeva neanche se avessero la facoltà di teletrasportarsi, volare o che altro (anche se, be', immaginava di no).
    Si guardò in piedi, ondeggiando leggermente. Più in basso, Pat lo esortava mentalmente a muoversi, perché non avevano tutto il giorno. E perché, a voler essere specifici, lei aveva fame.
    Lain le suggerì di andare a caccia di un paio di montoni e di non rompere le scatole, e Pat sbuffò infastidita.
    Riportò lo sguardo sul suo biondo interlocutore, mostrando un sorriso da piazzista, nonostante fosse lì per comprare e non per vendere. Certo che il tipo era giovane. Avrebbe detto che sarebbe stato il maggiordomo del mago, se non fosse stato che aveva in mano un libro dall'aria complica che, solitamente, i camerieri non leggono. Anche se chissà, magari quello lì era un cameriere acculturato.
    Ma non gli parve il caso di porre questa, come domanda.
    « È lei il... mago? » domandò, dopo un disperato (e fallimentare) tentativo di ricordarsi il nome altrui. L'uomo che gliel'aveva indicato glielo aveva anche suggerito, ma Lain aveva preferito impegnare il suo cervello per memorizzare il percorso per raggiungere la torre, più che altro. Anche se, dato che erano in mezzo al nulla totale, non era stato poi così difficile.
    Dettagli.
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    In effetti il pensiero di trasformare il visitatore – passato in un nano secondo al grado di 'seccatore' – era passato per la mente di Nashville. era un incantesimo adorabile: efficace, soprattutto quando si trattava di dover intimidire chicchessia, e con quel tocco old fashioned che al nostro mago piace tanto. Ma dopo essersi reso conto, dopo una prima occhiata, che lo sconosciuto aveva già qualcosa della rana, per la precisione il fisico mingherlino, lo aveva giudicato poco minaccioso e non rappresentate un pericolo per la propria persona.
    Lo fissò intensamente senza rispondere ai commenti idioti. Poteva concordare sulla bellezza delle finestre e del paesaggio, ma non credeva che il tutto <m>così interessante da spingere qualcuno ad irrompere in casa sua solo per comunicarglielo.
    Alla domanda, però, ebbe una reazione. Si guardò attorno come se vedesse il luogo per la prima volta, suggerendo allo sconosciuto di fare lo stesso.
    Le pareti della grande stanza circolare erano tappezzate di librerie e scaffalature varie, fatta eccezione per il grande camino nel quale scoppiettava una fiammella verde e un pentolone da cui proveniva un buon profumo. Anche lì sopra, comunque, come nel resto degli scaffali, erano conservate misteriose boccette dall'aria mistica, barattoli sospetti e una grande quantità di erbe essicate, un po' destinate alla vendita e un po' per uso personale. Di fianco alla poltrona di velluto vi era uno scheletro – per la precisione una scheletressa, nominata Morrigan – che non era esattamente l'elemento d'arredamento must have di quella stagione. Insomma, ogni mattoncino della torre gridava 'mago', e Nashville si era sforzato molto perché fosse così.
    « No rispose incredibilmente sarcastico, riportando lo sguardo sull'estraneo. Sperava cogliesse l'ironia nella voce.
    « Quale avvenimento richiede la mia attiva presenza? » continuò appoggiando il libro per terra, cercando di esprimere con un solo sguardo come tutto ciò – l'intrusione, il disturbo e i commenti inopportuni – lo stessero irritando.


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    Lain, che si stava sentendo più stupido ogni secondo che passava lì dentro (cosa che gli capitava comunque spesso) batté un paio di volte il piede a terra, infastidito.
    « E che ne so, magari eri il maggiordomo che dava una sbirciata nei libri del padrone » sbuffò, dando voce ai suoi pensieri, che sinceramente non facevano onore alla sua intelligenza « Immagino che tenere questo posto pulito sia un problema, è così grande » aggiunse poi, come per giustificare il commento precedente, che trattava della servitù « Anche se in effetti sei un mago, quindi conoscerai qualche trucchetto per pulire tutta casa. Insomma, immagino tu non abbia uno stormo di casalinghe chiuso in qualche segreta, ecco » concluse il suo monologo totalmente inutile, con un sorriso soddisfatto, neanche avesse elencato alla perfezione e in ordine alfabetico i centocinquanta modi di impugnare un'alabarda. Che Lain, comunque, impugnava solitamente come diavolo gli capitava.
    In ogni caso, deciso stavolta ad assumere un'aria più dignitosa e meritevole, e di smetterla quindi con le sciocchezze, liquidò quei discorsi con un gesto frettoloso della mano, per arrivare al nocciolo della questione.
    « Una fattura. Credo. » aggiunse, dato che in realtà non sapeva la perfetta distinzione tra fattura e incantesimo; ma fattura gli dava l'idea di incanto fastidioso e vagamente economico, di quelli da burla, che in effetti era quello che gli era toccato « Ho aperto un forziere che non dovevo aprire e adesso il mio cappello non ha la minima intenzione di staccarsi dalla mia testa » spiegò, facendo per muoverlo « E dato che non ho intenzione di passare così il resto della mia vita in questo stato, volevo sapere se avevi qualcosa per... ovviare, alla situazione. » concluse, continuando a toccare il cappello, che continuava a starsene fermo al suo posto, prima di rimettere le mani in tasca, con un vago imbarazzo.
    Certo che, tra tutti quelli che gli erano capitati, quello era il motivo più idiota per cui si era mai rivolto ad un mago. Non c'era da stupirsi, insomma, se quasi nessuno gli credesse, quando diceva di essere un Cavaliere.
    Anche Pat, a volte, aveva i suoi dubbi. Il che era tutto dire.
    Lain Lefevbre @
     
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    Solitamente far tacere Nashville era un'impresa complicata. Riusciva a parlare e a polemizzare praticamente in qualsiasi situazione, ed è disposto ad accettare sfide al riguardo.
    In quel momento, però, si trovava veramente senza parole. Non era tanto per la sorpresa, ormai aveva preso atto del fatto che uno strano tipo era entrato dalla sua finestra, più che altro... per l'insieme di cose. Oltretutto lo aveva appena pervaso la consapevolezza che, se era riuscito ad arrivare con così tanta facilità alla sua finestra, quello davanti a lui doveva essere un cavaliere dei draghi, o quanto meno una sorta di guerriero - scimmia misterioso.
    Con un cappello incastrato in testa.
    Il solo pensiero fece schizzare il suo sopracciglio in alto, più o meno involontariamente.
    « Non riesci a toglierti il cappello? » chiese soppesando ogni parola, come se temesse di aver sbagliato a capire. O almeno lo sperasse. La sua espressione era neutra, ma dentro di sé stava un po' morendo.
    Ultimamente gli erano capitati tutti lavoretti di una banalità imbarazzante: curare degli animali, liberare un contadino dal caminetto che sembrava averlo inghiottito, un paio di filtri d'amore. Un mago del suo calibro, continuava a pensare ogni giorno, avrebbe meritato di lavorare a fianco di un Cavaliere famoso e valoroso, e forse se non avesse avuto il fastidioso problema del 'mal di drago', avrebbe anche potuto dare vita alle sue aspirazioni.
    Ma assistere un cavaliere durante un combattimento presuppone che non si sia impegnati a vomitare l'anima e a chiedere, per favore, di atterrare da qualche parte.
    Per carità, la vita sedentaria gli faceva più che piacere, e non aveva così tanto bisogno di denaro da dover andare a cercare impiego con il lanternino, ma quell'ultima richiesta lo stava riempendo di frustrazione.
    Nonostante tutto si alzò e si avvicinò allo sconosciuto cavaliere, notando con un certo divertimento che lo superava di una testa abbondante. Con un mezzo sogghigno gli afferrò il cappello e cerco di tirarglielo via con uno strattone deciso.
    Magari quella soluzione non l'aveva provata.

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    Invece, guarda un po', Lain quella soluzione l'aveva provata eccome. A dire il vero era l'unica che aveva provato, dato che aveva rifiutato categoricamente di accettare l'idea di Pat, che si era proposta di incenerirgli il copricapo, così da risolvere direttamente il problema di toglierselo. Peccato che così, con tutta probabilità, se non morto Lain sarebbe finito pelato, finale della giornata a cui non aveva intenzione di arrivare.
    Fissò il mago avvicinarsi a lui con una certa sorpresa, e aggrottò le sopracciglia incuriosito. In un primo momento gli venne in mente che il mago volesse picchiarlo, per cacciarlo dalla torre, ma poi si rassicurò dicendo che avrebbe sicuramente usato dei rimedi magici per riuscirci, e che non si sarebbe addirittura alzato in piedi per sporcarsi le mani. A quel punto, si disse, probabilmente il mago si era avvicinato per provare un qualche complicato incantesimo con cui togliergli il cappello. Lain, con un sorriso, si rilassò.
    Ecco che il mago si avvicinava, ecco che appoggiava le mani sul copricapo. Ma sì, sicuramente serviva il contatto per permettere alla complessa magia di entrare in circolo, senz'altr...
    Uno strattone improvviso lo destò dai propri pensieri. Si ritrovò quasi in orizzontale, con la testa che veniva tirata da una parte e con decisamente troppa forza. Per poco non cadde a terra.
    Ma che diavolo prendeva al mago? Quella di sicuro non era magia!
    « Ehi! » gridò, con tono furibondo, afferrando le mani dell'altro con le proprie nel tentativo di scrollarselo di dosso « Stai forse cercando di decapitarmi!? » continuò ad urlare, dato che il cappello era proprio attaccato alla sua testa e quindi gli stava facendo male.
    Pat, che si era distesa placidamente lungo una radura poco distante, si sforzò tanto da alzare leggermente la testa.
    Pensi di riuscire a sopravvivere? domandò al suo cavaliere, sghignazzando, e riappoggiando la testa sulle proprie zampe, neanche fosse un gatto. Lain, troppo impegnato a vender cara la pelle (effettivamente), non si dette la pena di risponderle.
    Ma da che diavolo di ciarlatano era finito?
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    Nashville mollò immediatamente la presa, tramutando il ghignetto in un'espressione annoiata. Effettivamente il cappello era saldato alla testa, non era solamente uno scherzo idiota di qualche suo conoscente burlone, anche se l'aria ce l'aveva tutta.
    Cominciava a nascere in lui una certa curiosità scientifica: chiunque l'avesse realizzato, come aveva fatto a creare quell'incantesimo? Ma soprattutto, come diavolo aveva fatto a venirgli in mente una cosa simile?
    In realtà qualcosa di simile l'aveva sperimentata lui stesso sulla sua pelle, all'epoca dell'apprendistato al Boschetto: un compagno che trovava fastidiosa il suo essere sempre attaccato ai libri lo aveva effettivamente incollato ad essi. Nashville era riuscito velocemente a sciogliere l'incantesimo, ma il bulletto aveva continuato per una settimana ad attaccarlo ad ogni sorta di oggetto. Dopo tanto allenamento gli veniva anche facile spezzare la fattura.
    "An hata" pensò mentre chiudeva per un istante le palpebre, come in un movimento spontaneo. Se non si era arrugginito a forza di curare vacche e liberare contadini incastrati in oggetti domestici, l'incantesimo doveva essersi spezzato.
    Così, senza troppe scintille o balletti vari: una simile magia non era frutto di chissà quale studio mistico di anni e anni.
    « Stavo solo provando con il metodo più semplice » rispose alla domanda di poco prima, mentre con un gesto fluido arrivava un buffetto alla visiera del cappello, facendolo cadere a terra con un leggero pluft.
    Concluse tutto con un sorrisetto soddisfatto ma non troppo rassicurante.


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    Lain avrebbe volentieri azzannato la mano di Nashville, quando questa si avvicinò a scostargli la visiera. Certo, sembrerebbe piuttosto stupido mordere la mano che ti nutre, ovvero quella della persona che dovrebbe salvarti, ma data la brutta piega che gli eventi avevano preso poco prima (quel tentativo di decapitazione non gli era piaciuto affatto) gli pareva legittimo starsene sul chi vive. Quanto era legittimo il fatto che Nashville non si sarebbe dovuto aspettare nessun pagamento per quel trucco da quattro soldi. Anche perché Lain aveva sì e no due monete scarse, che gli servivano per dormire da qualche parte; quella mappa del tesoro fasulla aveva prosciugato buona parte delle sue finanze.
    Sbatté poi un paio di volte le palpebre, sorpreso, vedendo il suo cappello planare poco distante. Cappello che, fino a qualche secondo prima, era ancorato alla sua testa come saldato col fuoco.
    « Oh » esclamò, incapace di articolare qualcosa di più elaborato. Si toccò la testa, come per assicurarsi che, a furia di tutto quel tirare, metà dei suoi capelli non se ne fossero andati assieme al cappello, e sorrise nel percepirli tutti integri.
    « Be', grande gioia » commentò, guardando il proprio cappello a terra, giusto ad un metro dietro di lui « Pare che non dovrò segarmi in due il cranio per riuscire a togliermelo » concluse, alzando le spalle. Di sicuro, la prossima volta che un venditore ambulante avesse cercato di vendergli qualcosa sarebbe stato più attento. Magari avrebbe prima chiesto a Pat di minacciarlo, giusto per cercare di capire dalla reazione se stesse cercando di vendergli delle cianfrusaglie o meno. Era dispiaciuto dal non averci pensato prima.
    Continuò a guardare il cappello, arricciando il labbro.
    « Com'è che hai fatto? » chiese dunque, vagamente incuriosito. Non aveva mai avuto grandi rapporti con i maghi, e non li aveva mai visti fare qualsivoglia incanto, a parte spettacolari magie di combattimento. Quindi, come il mago fosse riuscito a salvarlo era per lui un autentico mistero.
    Mago del quale, tra l'altro, non sapeva neanche il nome. Ma vabe', non è che dovesse invitarlo fuori a bere una birra, potevano evitare benissimo i convenevoli.
    Specie perché Lain non contava di rimanere lì ancora per molto.

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    Era quasi triste. Dopo quell'entrata in scena decisamente eccentrica, ci sarebbe stata bene, come minimo, una lunga battaglia con spiriti maligni a colpi di incantesimi e lanci di antichi tomi. E invece era già tutto finito, con una magia così semplice da non necessitare nemmeno di essere pronunciata e un buffetto ad un cappello. Ah, quando si dice la vita sedentaria.
    « Oh... cose da mago, sai » rispose Nashville con aria di superiorità, agitando le mani confusamente, a significare tutto e niente. D'altra parte era difficile spiegare anche il più banale incantesimo anti raffreddore a qualcuno che non conviveva da una vita con la magia.
    Si sentì in dovere di completare l'opera raccogliendo il cappello. Si chinò elegantemente e lo prese in mano, arrivandogli una passata delicata per togliergli eventuale polvere, pur sapendo che non ve ne era alcuna: non aveva nessun esercito di cameriere negli scantinati, ma una certa ossessione per l'igiene sì.
    « A lei » disse con una certa aria pomposa, tradita da un mezzo ghigno, allungando il cappello al legittimo proprietario, ormai liberato dalla sua presa. Era stato uno degli interventi più superflui della sua vita, ma alla fin fine quello che a lui interessava era essere pagato. per quello avrebbe anche anche danzato come una bella odalisca. No, ok, forse no.
    « Tre monete, tariffa a domicilio » continuò con ancora il cappello in mano, infischiandosene se la tariffa 'a domicilio' si riferiva al domicilio altrui, e non al suo.


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    Lain rivolse all'altro un sorriso finto quanto il seno di qualche nobildonna - nel senso che indossavano reggiseni imbottiti - e attese che Nashville gli porgesse il cappello. In realtà per quello che gli riguardava il cappello poteva anche tenerselo, dato che con tutto quello che gli aveva fatto passare il suo interesse verso qualsivoglia copricapo era diminuito. Nonostante Lain detestasse le armature, dal momento che lo limitavano troppo e non era neanche sufficientemente forte da sorreggerle, stava cominciando a pensare che un bell'elmo potesse sostituirlo al meglio. Insomma, almeno non si limitava ad essere soltanto un impiccio ma poteva anche salvarti la vita. E poi riteneva la crestina piuttosto stilosa.
    In ogni caso, alla fine si disse che se un incantesimo gli avesse incollato alla faccia una cosa del genere si sarebbe ucciso. Un elmo perenne poteva corrispondere ad una cintura di castità per la faccia, e a Lain la cosa non piaceva. Quindi optò infine per lasciare per sempre i suoi capelli liberi e felicissimi al vento, per non tentare i maghi spiritosi.
    Ma a noi questo non interessa.
    Ciò che ci interessa è che per Lain, il fatto che Nashville gli avesse raccolto il cappello, costituiva un problema. Infatti, dall'alto del suo piano malvagio, quel cappello sarebbe stato l'escamotage per non pagare: l'oggetto si trovava infatti dietro di lui, e quindi a solo un metro di distanza dalla finestra; se Lain avesse finto di andare a recuperarlo e poi si fosse gettato di sotto, avrebbe quasi sicuramente preso Nashville alla sprovvista, impedendogli di reagire. E avrebbe evitato di spiattellarsi al suolo - e di pagare - grazie ad un pronto intervento di Pat.
    Lain sorrise. Sorrise, perché tre monete le aveva, ma erano quelle che gli servivano per dormire e per mangiare, e quindi non aveva la minima intenzione di darle al mago. Non aveva pagato un guaritore professionista che gli aveva salvato la vita, figuriamoci se si metteva a pagare un idiota il cui unico merito era quello di avergli scollato il cappello. Sarebbe stato incredibilmente idiota, dal suo punto di vista.
    « Oh, a domicilio? In che senso? » chiese, amabile, cercando di prendere tempo. Pat, che ormai era abituata a giochetti di quel genere, si stiracchiò, pronta a volare incontro al padrone in caso di pericolo.

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    Se Nashville avesse saputo cosa stava passando per la mente del suo cliente di certo non sarebbe rimasto così rilassato. Come minimo l'avrebbe rinchiuso in una gabbietta sotto forma di paperella innocua, in modo da dissuaderlo per sempre dal tentare di giocarlo in qualche modo. Nonostante non gli mancasse di certo, il denaro era uno dei pochi argomenti sui quali il mago non era disposto a scherzare. Nemmeno se si trattava di tre monete.
    In realtà era tutto preso a pensare che, se si trovava sul serio a faccia a faccia con un Cavaliere del drago, da qualche parte non lontano di lì ci sarebbe dovuta essere anche la sua bestiola. Forse, dopo essere stato pagato, avrebbe potuto darci un'occhiata: poche cose lo affascinavano come i draghi.
    Certo, con quel Cavaliere, non si aspettava chissà quale maestosa creatura, al massimo una grossa iguana svolazzante. E magari anche un po' traballante. Non ne conosceva nemmeno il nome, ma non aveva una grande stima del suo interlocutore, che in effetti poteva sembrare tante cose, ma un Cavaliere non era nemmeno lista delle prime cento.
    « Domicilio significa a casa » rispose condendo tutto con l'ennesima alzata di sopracciglio da saputello indisponente, quale effettivamente era. « E nello specifico mi riferisco a casa mia. »
    Non sapeva se qualcuno si era preso la briga di regolare la questione dei compensi dei maghi, ma era sempre stato abituato a essere lui stesso a dare i prezzi per le sue performance, e non aveva intenzione di cambiare idea.
    Quindi quell'aumento di parcella, per il solo motivo di essere stato disturbato mentre leggeva un libro comodamente in poltrona, gli sembrava più che legittimo.
    Allungò la mano con un sorrisetto sornione, aspettando garbatamente che l'altro esaudisse la sua richiesta.

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    'Domicilio significa a casa'... Oh, be', ma dai. Banana. E sì, nonostante non fosse una cima, anche Lain era a conoscenza di una cosa del genere. Il che è tutto dire.
    Comunque, il problema sussisteva nel fatto che Nashville non sembrava disposto a chiacchierare amabilmente del più e del meno, laddove Lain aveva tutta l'intenzione di farlo, così da rincretinirlo di parole, distrarlo e scappare. Evidentemente, doveva pensare a qualcos'altro.
    Prese in mano il cappello che l'altro gli porgeva, sorridendo con educazione.
    « Ahhhh. Casa. Casa tua. » esclamò Lain, annuendo come un perfetto imbecille « E, nello specifico, questo equivale ad uno sconto? Perché detta così sembra il contrario... » disse, senza pensare minimamente con che cosa stesse dando aria alla bocca. In effetti, decise di agire un istante dopo aver finito la frase.
    Lanciando in faccia a Nashville il cappello appena recuperato.
    Proprio così. Glielo gettò addosso, mirando agli occhi, neanche fosse una torta e il mago un clown. Contava, così, che l'altro li chiudesse, rimanesse stordito per il che cazzo sta succedendo e fosse sufficientemente ritardato dalla cosa da evitare di reagire trasformandolo in un rospo.
    E poi diciamocelo, liberarsi del copricapo, a quel punto della storia, non gli dispiaceva affatto.
    Senza neanche aspettare di vedere se l'avesse colpito o meno (non ne avrebbe avuto il tempo), Lain scattò verso la finestra, per gettarsi di sotto, pregando vivamente le divinità e i defunti Cavalieri che la sorpresa di Nashville verso il gesto totalmente casuale fosse sufficiente a coprirgli la fuga. Perché in caso contrario, immaginava, l'avrebbe pagata molto, molto cara. E non aveva tutto questo gran desiderio di far infuriare un mago.
    Ma preferiva il rischio, a pagare quelle tre preziose monete.
    Pat sbadigliò, maledisse Lain, stiracchiò le ali e spiccò il volo, dirigendosi verso la finestra incriminata.
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    Dire che Nashville non si aspettava una simile reazione sarebbe un eufemismo. Gli era capitato più volte, nel corso degli anni, incontrare qualcuno non proprio ben disposto a pagarlo, ma di solito la questione si risolveva con un paio di minacce, due scintille magiche e un accordo sul prezzo migliore. Nessuno aveva seriamente voglia di mettersi a rompere le scatole ad un mago, per quanto giovane, eccentrico e fastidioso.
    Quel tipo l'aveva colto completamente di sorpresa, ma, purtroppo per lui, quel gesto diede risultati opposti a quello che aveva sperato.
    Una caratteristica di Nashville è sempre stato il suo forte istinto di sopravvivenza. Sembrerebbe strano riferendosi ad un tipo che si diverte a prendere in giro a rozzi minatori pieni di muscoli solo perché sono più bassi di lui, ma in effetti e così. D'altra parte lo spirito di sopravvivenza esce fuori proprio quando vieni trascinato in un vicolo e cercano di picchiarti in tre, è in quel momento che cominci a renderti conto di quali parti del tuo corpo sono più resistenti e scopri il tuo talento nel fingerti morto.
    Così, quando il cappello lo colpì in faccia, fece due azioni entrambe incredibilmente istintive: chiuse gli occhi per evitare di farsi male e con un gesto e un pensiero fulmineo chiuse ogni porta o finestra della stanza.
    Il vetro della finestrella si chiuse con un tonfo metallico dovuto all'intelaiatura di ferro massiccio, subito seguito dal portone della stanza, che provvide anche a chiudersi a chiave da solo. Il fatto che la chiave fosse dall'altra parte della serratura non sarebbe stato un grande problema per il mago, ma probabilmente per il cavaliere sì.
    Nashville raccolse con gentilezza il cappello da terra, dove era appena caduto, e lo tenne tra le mani come se ne stesse ammirando la fattura, apparentemente tranquillo.
    Voleva proprio vedere cosa avrebbe fatto quel minuscolo cavaliere.

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    Anche il minuscolo cavaliere era curioso di sapere cosa avrebbe fatto. Peccato che il soggetto della frase fosse se stesso.
    Lain andò a sbattere contro il vetro della finestra, improvvisamente chiusa, rimbalzando poco più distante. Con la coda dell'occhio vide Pat planare sotto di lui, dato che in teoria a quest'ora avrebbe dovuto acchiapparlo al volo, pronti a svolazzarsene lontano e a deridere Nashville in modo sguaiato.
    Invece no. Era in trappola, segregato nella stanza più alta della torre più alta in compagnia del mago più arrabbiato della storia. O, almeno, Lain doveva immaginare che lo fosse.
    "Adesso voglio proprio vedere come pensi di cavartela", soffiò Pat, leggermente allarmata. Non perché fosse una creatura dolce e materna, preoccupata unicamente per la salute del suo piccolo padroncino, bensì perché la vita di Lain era collegata alla sua. Quindi, se Lain schiattava, Pat schiattava. E rischiare la vita per l'idiozia del suo cavaliere non suonava nel suo cervello come avvincente, proprio no.
    Lain si tirò su, ancora piuttosto stupito per non esser stato trasformato in un rospo nell'immediato. Si guardò le mani, del tutto sane, e guardò il mago davanti a sé con un certo odio, come se fosse tutta colpa degli altrui riflessi, acuti, se non era riuscito a fregarlo a dovere. Il che in effetti era vero, ma non era normale accusare qualcuno di essere troppo sveglio per i suoi gusti, insomma.
    Comunque, fece l'unica cosa che il suo cervello preoccupato riuscì a produrre. Ovvero, uno scatto a destra, verso delle uova dall'aria pregiata che se ne stavano lì, in esposizione.
    Strinse tra le braccia la più grossa, che nonostante il volume notevole era incredibilmente leggera.
    « Okay. » disse, ansimante « Prova a farmi del male, e io la rompo a terra » concluse, riferendosi all'uovo che aveva in mano.
    Sperava solo fosse tanto preziosa quanto, all'apparenza, sembrava.
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