Every feeling becomes so magnified.

15.03.102 PA - Casa di Amyas

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    Charlie si svegliò udendo il ticchettio di un passero contro la finestra della camera. Non aprì gli occhi, ma rimase supina sotto le calde lenzuola. Avvertiva una debole luce sulle palpebre e nessun rumore nella stanza eccetto il becco di quel passerotto contro il vetro. Nulla di più. Aprì gli occhi con lentezza, sollevando prima una palpebra, poi l'altra. La prima cosa che notò fu il soffitto della stanza. Alto, fatto di travi di legno scure che scendevano oblique verso le grandi finestre, poste sulla parete proprio difronte a lei. Ora che aveva entrambi gli occhi aperti, quella luce così brillante le diede quasi fastidio, facendola grugnire con disappunto. Avvertì un leggero fruscio in lontananza e capì che il piccolo volatile era fuggito via.
    Le ci volle un attimo per ricordare dove si trovasse. Anche se le poteva scorgere solo con la coda dell'occhio, immaginava il viola acceso delle pareti che la circondavano e i ghirigori violetti su quest'ultime. Sulla sua destra c'era una scrivania, o quanto poteva rimanerne: Charlie non l'aveva mai vista in ordine. In realtà era difficile persino capire da cosa fosse ricoperta. Pergamene d'ogni tipo, piume, boccette d'inchiostro vuote, libri... Charlie si ricordò d'aver visto anche la manica di una camicia sbucare da quel marasma la sera prima e non doveva essere così difficile credere ai propri occhi conoscendo lo stato di totale caos in cui riversava quella stanza da praticamente sempre. C'era un armadio, in effetti. Un grosso, scuro armadio di quercia scura si ergeva silenzioso come il vecchio albero da cui veniva in un angolo della stanza, ma Charlie sapeva che là dentro non vi era neanche un indumento. Forse un paio di scarpe, ma vi erano soprattutto libri. Amyas ne aveva così tanti che aveva da tempo superato il limite sulle mensole sparse per la stanza. Alcune erano cadute a causa dell'eccessivo peso e i libri giacevano sul pavimento come cadaveri di carta e vittime di guerra. I vestiti Amyas li disseminava un po' dappertutto. Il punto che più prediligeva era la poltrona al centro della stanza, posta davanti alle grandi finestre. Del rivestimento della poltrona, ovviamente, si scorgeva ben poco. Giacche, camicie, calze, pantaloni e cappelli la ricoprivano per intero. Senza contare le scarpe, poi. Amyas le disseminava per la stanza come fossero trappole per topi. Proprio la sera prima Charlie aveva rischiato di inciampare in una di esse per ben tre volte. Ma da tempo si era rassegnata al disordine cronico dell'amico. Del resto, non poteva biasimarlo. Amyas aveva così tante cose che alla fine non poteva che perderle o disseminarle in giro per la sua stanza. Lei era diversa, più spartana: tutto aveva un proprio ordine nella sua camera da letto, nulla era mai fuori posto. Una volta aveva persino cercato di aiutare l'amico a mettere in ordine - o almeno a tentare -, ma entrambi avevano rinunciato dopo il primo quarto d'ora di tentativi.
    Perchè poi si trovava a dormire dall'amico? Oh, sì: aveva litigato un'altra volta con sua madre. Quella donna non faceva che distruggerle l'esistenza con quelle sue urla isteriche. Cosa aveva fatto di male poi, proprio non lo capiva. Anzi, proprio non lo sapeva dato che, mentre sua madre le urlava addosso, lei aveva semplicemente girato i tacchi e si era incamminata verso l'abitazione di Amyas. Forse ci sarebbe rimasta qualche altro giorno, giusto per lasciare che lei e sua madre sbollissero la rabbia prima di tornare ad abitare sotto lo stesso tetto. Charlie sapeva che quella calma apparente sarebbe durata molto poco e avrebbero finito per prendersi per capelli un'altra volta, magari per cause assurde che solo sua madre era capace di tirare fuori. Almeno, sapeva dove andare quando ciò accadeva. Amyas ormai la accoglieva a dormire da lui da praticamente sempre, quindi non era mai stato un problema. Ma, a proposito del ragazzo. Dov'era?
    Charlie Pole@


    Edited by `loki - 9/5/2013, 23:02
     
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    Amyas ormai neanche si preoccupava di farsi trovare vestito bene. Charlie era praticamente sempre a casa sua. Erano più le volte in cui c'era che quelle in cui non c'era. Era come se vivessero insieme, effettivamente. I due convivevano, quindi, da ben dieci anni. Più o meno era quella l'età in cui la sua migliore amica aveva cominciato a litigare seriamente con sua madre. Una volta gli era pure scappato un "forse è meglio che la mia sia in coma" così, tanto per sdrammatizzare, eppure Charlie non aveva riso alla sua battuta. La sera precedente -come tante altre, Ed si era ritrovato la sua amica alla porta con il broncio. L'aveva fatta entrare, avevano passato del tempo a parlare, lui le aveva scompigliato i capelli tanto per farla arrabbiare e poi si erano addormentati nel letto di Amyas, come facevano sempre. E no, non erano in imbarazzo, anche se lui dormiva in mutande e nient'altro. Molti si chiedevano se fra i due ci fosse qualcosa, compresi loro stessi, eppure nessuno sapeva mai dare una risposta valida. Quella mattina, stranamente, Ed si era alzato presto. Era scivolato nella piccola cucina turchese e si era fatto una fetta di pane con la marmellata. Dopo essersi gustato la colazione, era tornato in camera per sfilare dal marasma di libri un fascicolo che riguardava un incantesimo in grado di tostare il pane alla perfezione. Tutto ciò in mutande, ovviamente. Quando era tornato in camera per lasciare il libriccino, poi, aveva notato che Charlie si stava muovendo. Quella dormigliona era stata probabilmente svegliata da lui, che come al solito aveva fatto un baccano immane in cucina. Decise che le avrebbe fatto un dispetto. Sì, uno dei tanti. Si accucciò vicino alla scrivania, aspettando che si svegliasse con calma. La guardava di sottecchi, con un sorrisetto divertito sul volto dai lineamenti irregolari. La sentì grugnire e poi voltarsi a pancia insù, mentre si stiracchiava con lentezza. Notò che indossava una blusa verde bosco che le aveva regalato qualche anno prima -solo perché le aveva detto che così gli sembrava un tulipano- ed un un paio di pantaloni marroni e consumati sul sedere. Erano il suo paio preferito, quelli che portava più spesso. Si avvicinò alla sua figura con passo felpato, per poi balzare agilmente su di lei -favorito anche dal suo peso molto scarso.
    « UAH! » gridò, saltandole letteralmente addosso. Era atterrato sul suo ventre e ci si era seduto con noncuranza, a gambe larghe. Cercò le mani di lei per intrappolarle con le sue, poi se la rise e la guardò negli occhi ancora pregni di sonno.
    « Buongiorno, brutta addormentata! » la canzonò. Persino gli usignoli fuori dalla sua finestra erano volati via, spaventati dalle sue grida e dai suoi movimenti improvvisi. Amyas, dal canto suo, se la rideva. Nessuno avrebbe mai potuto spodestarlo, quello era il suo trono: regnava sulla regione Charlie, in quel momento. Si sporse in avanti, stringendo la bocca a cuore e cercando di stampare un bacio sulla fronte di Charlie, anche se sapeva che non si sarebbe mai fatta fare una cosa del genere. Amava darle fastidio e prenderla in giro, era il suo hobby preferito.
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    Ogni volta, dannazione, ogni singola volta. La cosa peggiore era che lei se ne dimenticava e dormiva sonni tranquilli nel grosso letto a baldacchino violaceo dell'amico, sotterrata da almeno tre strati di lenzuola e coperte, il corpo risucchiato dal materasso fin troppo morbido e le pile di cuscini che Amyas qualche volta si divertiva a premerle sul viso fino a farle mancare il respiro. Ma se c'era qualcosa che non sopportava dell'amico - e ce n'erano davvero tante - era quella sua assurda, insopportabile mania di saltarle addosso come una scimmia a cui una tarantola ha morso il sedere urlando come un ossesso. Lo faceva ogni volta, Amyas: puntualmente si svegliava prima di lei e, se di primo mattino non correva da un'ala all'altra della casa nudo come un verme sbraitando per essersi bruciato la lingua con il latte caldo, si acquattava al suo fianco nel letto e attendeva che lei aprisse gli occhi per balzarle sullo stomaco spaventandola a morte. Ormai Charlie era così abituata a quegli attacchi mattutini che non le veniva neanche più il batticuore. Piuttosto, le veniva il maldistomaco per quanto Amyas le si gettasse a peso morto sul torace. Certo, il ragazzo era praticamente uno stecco che il vento avrebbe portato via al primo accenno di tramontana, ma quel suo corpo ossuto non era poi quello di un pupazzo di stoffa. In conclusione, proprio come ogni volta in cui Charlie, dopo aver litigato con sua madre, era andata a dormire a casa Abrams, quella mattina si era svegliata gridando di paura e con un essere pallido di due metri circa sullo stomaco, per giunta indossante un misero paio di mutande e nient'altro. Amyas le bloccò le braccia tenendole con le sue mani, mentre rideva di gusto, visibilmente divertito.
    Charlie non poteva definirsi lo stesso. Il suo viso, contratto in un ghigno piuttosto infervorato, pareva perfettamente bestiale circondato da quell'arruffatissima zazzera rosso fuoco. "Lasciami andare, maledetto mostriciattolo! Stavolta me la paghi, lo giuro!" sbraitò abbaiandogli contro e cercando di divincolarsi al contempo. Per tutta risposta, Amyas le diede il buongiorno, apostrofandola come "brutta addormentata". "Brutto sarai tu, razza di scimmia che non sei altro!". Charlie ululava rabbiosa tirando forti strattoni alle coperte e girandosi ora verso destra, ora verso sinistra, cercando di disarcionare Amyas dal suo ventre. Amyas rideva di gusto, come se quello fosse il gioco più divertente del mondo: sicuramente, Charlie non era del medesimo avviso. Anzi, pensava che se Amyas si fosse avvicinato di più con il viso al suo, lei gli avrebbe tirato una colossale capocciata. Non fece neanche in tempo a pensarlo che vide le minacciose labbra di Amyas avvicinarsi alla sua fronte, pronte per un umido bacio che Charlie sapeva non sarebbe mai arrivato a destinazione. "Va' via!" gridò alzandosi di colpo e gettando Amyas all'aria, scaraventandolo sul bordo del letto. Ansimante e carica di furore, Charlie si fermò un attimo a guardare l'amico, atterrato in una posizione piuttosto sconcia e vergognosa. Era come ricurvo su se stesso, le gambe aperte, i piedi in aria, le braccia in posizioni assurde. Charlie non ci pensò due volte: era il momento buono per attaccare.
    Afferrò il primo cuscino che si ritrovò sotto le mani. Cominciava persino ad inorgoglirsi: ritta così, pancia in dentro e petto in fuori, la rossa chioma arruffata a farle da criniera e lo sguardo fiero, le sembrava di essere una leonessa pronta alla caccia. O, in quel caso, alla lotta. Si lanciò su Amyas cominciando a tirare colpi con il cuscino a caso, quasi non vedeva se stava effettivamente colpendo il ragazzo o meno. "Se lo fai un'altra volta t'ammazzo, lo giuro!" urlò sferrando altri colpi. Così cominciava un'altra mattinata come tante altre.
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    Charlie era riuscita a farlo rotolare all'indietro. Amyas, con il suo solito menefreghismo ed il pudore che praticamente non aveva mai avuto, finì a gambe all'aria, mentre rideva di gusto. Sapeva che in questo modo imbarazzava la sua migliore amica, ma non gli fregava poi molto. Non ebbe neanche il tempo di alzarsi a sedere che gli arrivò il cuscino di lei dritto sulla faccia. La testa slittò di lato ed il corpo ebbe un sussulto per via della sorpresa. Poteva vedere ancora, però, l'espressione delle sua amica: era imbronciata -come sempre- e concentrata su un punto preciso: la sua testa. Evidentemente voleva sferrare un'altra cuscinata precisa delle sue, ma Amyas scoppiò a ridere e le mise una mano sulla pancia, cercando di spingerla all'indietro e farla cadere seduta. Con l'altro braccio si riparò dal colpo che sicuramente la ragazza avrebbe sferrato, poi si alzò anche lui sulle ginocchia e le fronteggiò, mantenendo l'espressione divertita e furbetta. Rideva come un bambino che gioca in mezzo all'erba. Sarebbero dovuti andare al Boschetto, sì, ma era più che sicuro che avrebbero ritardato.
    « Stai scherzando, vero? » le chiese, ora serio in volto. Abbassò la mano che prima gli copriva la testa e se la portò al cuore, fissandola negli occhi con un'espressione addolorata. Cadde a sedere sul letto, distrutto, poi nascose il volto tra le mani e fece finta di piangere, perdendosi tra singhiozzi e gridolini. Si lagnava proprio come avrebbe fatto un pargoletto di un paio d'anni perché non aveva avuto il suo giocattolino di legno.
    « Io pensavo che mi considerassi bellissimo! » piagnucolò, abassando le mani in modo che Charlie vedesse la sua faccia da schiaffi. Inutile fare un discorso serio con lui di prima mattina, soprattutto se aveva già fatto colazione. Era come se gli zuccheri gli andassero in circolazione e lo facessero impazzire totalmente. Forse aveva qualche malattia strana che lo rendeva iperattivo. In effetti, non aveva mai pensato all'eventualità che la sua vivacità potesse essere dovuta ad un qualche problema fisico.
    Non ce la fece più a trattenere il sorriso, visto che la faccia di Charlie era sempre imbronciata, perciò scoppiò a ridere ed incrociò le gambe sul letto, aspettandosi una spiegazione imminente. La sera prima avevano parlato un po', sì, ma Charlotte non gli aveva detto che cosa era successo precisamente. Delle volte, Amyas aveva avuto l'istinto di andare a casa dell'amica e strangolare la madre. Non si sarebbe neanche sporcato le mani, avrebbe usato un piccolo incantesimo e via... gli dava sui nervi. Inoltre, sapere che faceva del male a Charlie -anche se non fisicamente- era un pensiero che lo faceva impazzire. Nessuno doveva toccarla, secondo lui: né a scuola né altrove. Il fatto che nella sua stessa casa ci fosse una persona così meschina aveva spinto Amyas a chiedere a Charlie di venire a vivere da lui, anche se lei aveva declinato molto gentilmente. In fondo, le mancava poco per terminare l'apprendistato, poi sarebbe potuta andare ovunque. Ed, invece, sarebbe dovuto rimanere lì a causa della mamma e del padre pazzo. Beh, poco male: in fondo non era un tipo da cambiamenti.
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    Charlie era riuscita a colpire Amyas in pieno viso, sbattendogli quel grosso cuscino lilla dritto in faccia. All'improvviso, si sentì cadere all'indietro. Avvertì come una spinta sullo stomaco, poi tutto intorno a lei cominciò a cadere con rapidità fino a quando ella stessa non si avvertì sprofondare nel materasso del grosso letto a baldacchino. Quando riuscì a sollevarsi, l'unica cosa che vide fu il sorrisetto ironico di Amyas. Quel maledetto sorriso sardonico che tanto le ricordava quello di un gatto che ha appena ingoiato un passerotto. Charlie vide la sua mano appena tesa verso di lei, in direzione del suo torace. Era forse stato lui a spingerla? Charlie scattò su come una molla, pronta a sferrare qualche poderoso pugno sul viso dell’amico per una ben che meritata punzione quando si fermò all’improvviso. Amyas stava forse piangendo? All’inizio Charlie non riusciva neanche a vedere il suo volto, poiché il ragazzo lo teneva nascosto tra le gigantesche mani. Singhiozzava, Amyas, convulsamente. Guaiva quasi come un cucciolo di cane che cerca di attirare l’attenzione del padrone affinchè giochi con lui. Charlie si avvicinò appena, fissando il ragazzo di sottecchi. “Io pensavo che mi considerassi bellissimo!” gridò quegli all’improvviso, abbassando di colpo le mani. Non appena vide il volto del ragazzo mutare dal triste al divertito, il sorrisetto che vi comparve sopra fu la goccia che fece traboccare il vaso. Charlie era così: mai prenderla in giro. Non perché vi restasse ferita o cose del genere, per niente. Piuttosto, Charlie era una di quelle persone per cui vale il detto “occhio per occhio, dente per dente”, e più di una volta l’aveva anche rotto qualche dente con quei suoi poderosi pugni. Charlie non era manesca, semplicemente non amava essere troppo diplomatica e, sicuramente, Amyas era quello che lo sapeva meglio di tutti. Charlie si avvicinò al ragazzo, lasciando andare il cuscino. Stringeva i pugni tanto forte che le nocche le erano diventate bianche per lo sforzo. Per un attimo si fermò a pensare a cosa avrebbe potuto fare all’amico. Poi, senza aspettare un secondo di più, gli mise le mani dietro la schiena e lo spinse con quanta più forza avesse in corpo, facendolo ruzzolare giù dal letto. Quando avvertì il grosso tonfo seguito da un gemito soffocato, sorrise soddisfatta. Con uno sbadiglio, scivolò giù dal letto e si stiracchiò allungando le braccia verso l’alto. Dopodiché si massaggiò appena la pancia e cominciò a passarsi le dita tra i folti capelli di fuoco per pettinarli. Si accorse in quel momento di avere indosso ancora gli abiti del giorno prima: il suo paio preferito di pantaloni che metteva praticamente ogni giorno e quella casacca verde bosco che le aveva regalato proprio Amyas. Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma teneva più a quella camiciola che a qualsiasi altra cosa al mondo. Maltrattava Amyas, lo prendeva a calci e pugni, gli gridava addosso, lo insultava ma, al contempo, senza di lui si sarebbe sentita come un pesce fuori dal suo stagno: le sarebbe mancata l’aria. Conosceva Amyas da quella che poteva definirsi una vita intera e lui era il suo solo amico. Sapeva bene che se non ci fosse stato lui, lei sarebbe stata la persona più sola al mondo. Guardò l’amico mentre questi si metteva a sedere massaggiandosi la schiena. Charlie non era una tipa troppo sentimentalista e detestava quando qualcuno dei suoi sentimenti che non fossero rabbia o indifferenza apparivano al di fuori del suo guscio protettivo. Sotto questo punto di vista, differiva di gran lunga da sua madre. Quella donna avrebbe potuto fare l’attrice: di ogni situazione ne faceva un melodramma. Non aveva mai permesso a sua madre di vedere la Charlie che si nascondeva all’interno di quel guscio. Lo aveva permesso solo ad Amyas. Si stirò i vestiti con le mani, magari avrebbe chiesto ad Amyas di usare quel suo particolare incantesimo per sistemarglieli all’istante. “Alzati, principessa. Non abbiamo tutta la mattinata” gli disse sbuffando e tendendogli una mano.
    Charlie Pole@
     
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    A quanto pareva, Charlie non voleva dargli spiegazioni. Sembrava come shockata dal fatto che Amyas l'avesse spinta all'indietro per farla cadere. Ed, invece, ancora ridacchiava. La guardava con un'espressione chiara, o almeno lo era per chi lo conosceva da tanto tempo: stava aspettando delle spiegazioni da lei. Non gli importava che lei non volesse dargliele, lui le voleva lo stesso. Doveva capire perché aveva litigato con la madre, in modo da darle qualche consiglio. La risposta arrivò immediatamente, cristallina: Charlie lo afferrò con uno scatto e lo scaraventò giù dal letto. Amyas caracollò a terra, battendo la testa e ritrovandosi a fare una capriola all'indietro. In quel momento, dopo quel colpo, era sdraiato a terra, in mutande, con le mani strette attorno al capo e le gambe piegate fino a raggiungere il petto. Si era fatto male alla testa ed al collo. Charlie, delle volte, non capiva che lui era così mingherlino che anche una semplice botta avrebbe potuto spezzarlo in due. Si riscosse all'improvviso, schizzando in piedi e fronteggiando la ragazza che si stiracchiava. Si portò a pochi centimetri di distanza dal suo viso, mentre gli occhi gli si erano riempiti di lacrime per il dolore: vedeva tutto appannato. Forse era stata anche la botta.
    « Hey! Non farlo mai più! » le gridò, per poi allontanarsi ed abbandonarsi sull'altra parete, dolorante. La testa gli pulsava come se si fosse dato una martellata, ed in più sapeva già che il collo gli avrebbe fatto male per tutta la giornata. Stupida, stupida Charlie. Mentre il dolore si dissolveva a poco a poco, Amyas recuperava la vista. Si alzò, dirigendosi verso la scrivania, che nascondeva non poche insidie a tutti gli altri: per lui era chiara come un bicchiere d'acqua. Trovò subito un paio di pantaloni blu di cotone ed una maglia giallo senape, che aveva comprato ad una bancarella poco distante da casa sua. Si infilò gli abiti, recuperando anche un vecchio gilet di suo padre color castagna. Si passò le mani tra i capelli, forse scompigliandoli ancora di più, poi tornò da Charlie e le puntò un dito sul petto, spingendolo.
    « Oggi non fai colazione, così impari. » le disse, assottigliando gli occhi. Si guardò attorno, cercando con lo sguardo un paio di scarpe da indossare: trovò degli scarponcini marroni logori sulla punta e sul tallone e se li mise, sbuffando. Quel giorno non gli andava per niente di andare al Boschetto. Si gettò in corridoio, non senza afferrare prima Charlie per un braccio, e lo percorse con studiata lentezza. Si era già prefissato un obiettivo: arrivare in ritardo. Cosa poteva fare per rallentare le cose? Sarebbe dovuto succedere un qualcosa di orribile o di bellissimo. Mentre percorreva il corridoio, qualcosa cadde e produsse un rumore assordante. Era suo padre, al piano di sopra. Entrambi alzarono la testa, puntando il naso all'insù e fissando il soffitto, quasi come se avessero potuto capire cos'era successo solo facendolo. Amyas sospirò, abbassando il capo e posando gli occhi su Charlie, che era ancora mezza intontita, e gli venne un lampo di genio. Ecco che cosa avrebbe potuto fare per rallentare la loro camminata. Allungò una mano e la poggiò su un seno di lei, stringendolo appena e poi rilasciandolo.
    « Popi-popi. » si ritrovò a dire. Non era stata una gran mossa, ma bisognava dire che nella sua testa gli era sembrata una splendida idea. Rimase così, impalato davanti a lei, mentre la guardava negli occhi.
    Amyas D. Abrams @


    Edited by varden - 13/5/2013, 00:27
     
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    Quando Amyas si alzò con gli occhi lucidi, carichi di lacrime per il dolore, Charlie si pentì. C’erano state altre volte in cui gli aveva fatto del male tirandogli qualche pugno, ma mai lo aveva visto con le lacrime agli occhi. Per un attimo provò quasi l’impulso di abbracciarlo forte e chiedergli scusa, ma era come se il suo corpo fosse fatto di marmo, rigido e immobile. Lo sguardo di Charlie si addolcì appena quando vide l’amico cominciare a vestirsi cercando gli abiti sparsi per la stanza, come se non volesse pensare a ciò che lei aveva fatto. Amyas aveva modi piuttosto eccentrici di vestirsi: amava accostare colori su colori, strati su strati. Il che, del resto, lo faceva apparire ancor più appariscente di quanto già non fosse. Quella mattina aveva scelto dei pantaloni blu e una camiciola giallo ocra, giusto per essere sicuro di venire notato una volta in strada. Quando ebbe finito di vestirsi, le andò incontro con un dito minaccioso. “Oggi non fai colazione, così impari.” le disse, quasi lamentoso. Quello era forse uno degli aspetti che più apprezzava di Amyas: non importava cosa lei gli avesse fatto, lui era sempre pronto a dimenticare nel momento stesso e a sdrammatizzarci un po’ su e, anche se Charlie non era proprio una tipa da barzellette, ogni tanto le scappava l’ombra di un sorriso ai giochi dell’amico. Persa nei propri pensieri, fu quasi sballottata nel corridoio dallo stesso Amyas che l’aveva afferrata per un braccio. Conoscendolo bene, Charlie sapeva che era l’unica persona in tutta la Fazione ad essere così iperattivo al mattino presto e ciò comportava essenzialmente una cosa: avrebbero tardato al Boschetto, non c’era alcun dubbio. Probabilmente l’amico avrebbe ideato un qualche stratagemma o una scusa perfetta da esibire al Maestro una volta giunti al monastero. Quel ragazzo non aveva per nulla idea di cosa fosse la puntualità. In realtà, neanche Charlie lo sapeva, ma era colpa di Amyas, poiché andando sempre insieme, tardavano allo stesso tempo. Si sa, andando con lo zoppo, si impara a zoppicare. All’improvviso, un rumoroso tonfo risuonò sulle loro teste mentre percorrevano il corridoio. Charlie spalancò gli occhi e sollevò il viso, in direzione del rumore. Non c’era bisogno neanche che chiedesse all’amico di cosa si trattasse: lo sapeva bene. Accadeva spesso quando andava a casa di Amyas. Magari erano in cucina, intenti a parlare o, spesso, a sparlare della madre di Charlie quando un botto come quello li riscuoteva. Allora sapevano che il padre di Amyas, magari uscendo dalla sua camera – laboratorio, era caduto sul pavimento. Puntualmente Amyas, se non sentiva poco dopo il ciabattare del padre al piano di sopra, si alzava sbuffando e lo andava a recuperare. Charlie si lamentava spesso di sua madre, ma capiva bene come la situazione di Amyas fosse ben peggiore e lo compativa per questo. Aveva un padre pazzo e una madre in coma di cui doveva curarsi ogni giorno, senza via di scampo, da ormai troppo tempo. Qualche volta Charlie lo aveva aiutato, magari andando a far rialzare il signor Abrams – o ciò che ne rimaneva – mentre Amyas si occupava di sua madre. Le dispiaceva un sacco vederlo così afflitto quando suo padre ne combinava un’altra delle sue o raccontava delle storie alla sua inesistente madre ma, ciò che più le stringeva il cuore, era sapere che per lui non c’era alcuna via di fuga, almeno non nell’immediato futuro. Avvertì Amyas sfuffare sonoramente al suo fianco e, dopo un attimo di inquietudine, lo vide riprendersi e dimenticare ciò che avevano appena udito. Il ragazzo la fissava con quel tipo di sguardo che Charlie aveva imparato a conoscere e temere: lui si apprestava a combinarne un’altra delle sue. Neanche se ne accorse dell’amico che le stringeva un seno riproducendo un ridicolissimo rumore con la voce. Un attimo. Amyas aveva fatto cosa...? Charlie scattò in aria come una molla impazzita, la precedente tranquillità svanita in un attimo e sostituita da un crescente furore. “Cosa hai appena fatto?” gli ringhiò furiosa lanciandoglisi contro, “T’uccido, piccolo mostro!”. Amyas le lanciò un sorrisetto e cominciò a correre lungo il corridoio, seguito a ruota da una più che furiosa Charlie. Per un attimo, le parve di averlo quasi afferrato al limitare del corridoio, quando all’improvviso sentì il proprio piede destro come bloccato da una forza irremovibile, mentre tutto il suo corpo si sbilanciava in avanti. Quella dannata trave: quante volte aveva detto ad Amyas di ripararla.

    Charlie Pole@
     
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    Immaginava che non avrebbe reagito bene. In realtà non aveva pensato a quello che sarebbe potuto succedere: Amyas era troppo abituato ad avere Charlie tra i piedi per pensare che fosse una ragazza vera. Insomma, le era talmente amico che non pensava ci fosse quel tipo d'imbarazzo. Aveva -ovviamente- calcolato male. La noia e il rifiuto di arrivare puntale, poi, lo avevano spinto a provocarla. La ragazza schizzò all'indietro e gli si rivolse con un tono brusco, irruento: gli chiese cosa avesse appena fatto -come se non lo sapesse, arrabbiandosi sempre di più. Il volto di Charlie si trasformava: le sopracciglia si abbassavano e si aggrottavano, le labbra si piegavano all'ingiù e lo sguardo le si accendeva. Ormai avrebbe potuto benissimo descrivere tutti i movimenti del suo viso ad un pittore e quello li avrebbe replicati per filo e per segno. Era davvero tanto tempo che si conoscevano. Forse anche troppo. Ad Amyas sfuggì un sorrisetto bastardo, assottigliando gli occhi come quelli di un felino, poi si voltò e cominciò a correre. Sapeva che Charlie gli sarebbe venuta dietro fino a quando non lo avrebbe atterrato e poi picchiato. Aveva ricevuto parecchi pugni dalla ragazza -triste ammetterlo, ma era vero- perciò ormai sapeva anche dove puntava e quanta forza ci metteva. L'imprecazione di Charlie lo raggiunse, facendolo scoppiare a ridere. Piccolo mostro, in effetti, gli mancava. Grazie alla sua altezza poteva fare un paio di falcate e superarla di un buon metro e mezzo, ma la ragazza era molto veloce, la conosceva: non le sarebbe sfuggito tanto facilmente. Fortunatamente suo padre non si domandava mai che cosa diavolo stessero facendo al piano di sotto, anzi, probabilmente neanche riusciva a sentirli per quanto era fuori di testa. Scavalcò la trave malmessa che contraddistingueva il corridoio di casa sua, supernadola di un paio di metri. Mentre correva, però, si ricordò che Charlie, puntualmente, si scordava della sua esistenza e la prendeva in pieno, caracollando a terra. Si fermò all'improvviso e si voltò, notando che stava accadendo proprio quello che aveva immaginato: vide a rallentatore -forse per via della tensione- che la ragazza stava cadendo addosso a lui, mentre la bocca gli si allargava dallo spavento fino a formare una comica 'O'. Amyas si voltò con tutto il corpo e piegò appena le ginocchia, gettando le braccia in avanti e cercando di afferrarla al volo. Nonostante si fosse anche sporto, capì di non potercela fare.
    « Mhealladh! » gridò al volo. Gli occhi gli si dorarono e la magia cominciò a scorrere dentro di lui, attirando Charlie a sé. Se la ritrovò quindi tra le braccia. Riuscì a sorreggerla, tenendola sotto le ascelle. Con uno slancio di forza la tirò su, fronteggiandola. Il suo volto era a pochi centimetri da quello di lei, ma Amyas non poté non scoppiare a ridere. Quell'imbranata di Charlie cadeva sempre sulla trave malmessa. Forse, prima o poi, avrebbe dovuto aggiustarla, anche solo per evitare che la sua amica si ammazzase nel suo corridoio. Rise, quindi, guardandola negli occhi con dolcezza: dopotutto, amavala sua sbadataggine.
    « Come puoi uccidermi? Sono la tua ancora di salvezza! » le disse ridacchiando, mentre gli occhi dorati tornavano normali. Amyas ci scherzava sempre su, ma non era la prima volta che salvava Charlie da quell'insidiosa trave storta del pavimento. Era pur vero che non doveva assolutamente essere così, visto che poteva far cadere anche suo padre, ma Ed era uno che rimandava continuamente. "L'aggiusto poi", diceva sempre. Amyas guardava l'amica negli occhi senza una minima traccia di malizia. Sì, beh, l'aveva agguantata al volo ed ora la teneva stretta, ma poteva farlo... giusto?
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    Charlie si sentì afferrare mentre il pavimento si faceva sempre più vicino al suo viso. In men che non si dica, la scena davanti ai suoi occhi era mutata: da fissare il pavimento, si era ritrovata davanti il viso di Amyas, nel pieno di un incantesimo. Sbigottita, Charlie non riusciva ancora a comprendere cosa fosse accaduto. Un attimo prima stava ruzzolando sul pavimento, l’attimo dopo si era ritrovata Amyas a sorreggerla per le braccia mentre un risolino cominciava a fuoriuscire dalla sua bocca. I loro volti erano così vicini che Charlie aveva potuto vedere chiaramente la sfumatura degli occhi di lui cambiare dall’oro fuso all’azzurro chiaro in un attimo. Amyas le chiese come avrebbe potuto ucciderlo se alla fin fine era la sua ancora di salvezza. Charlie lo guardò di sottecchi, abbassando il capo. Era come intontita, quasi non riusciva a rendersi conto della situazione in cui si trovava. Sollevò il capo e incontrò ancora una volta il viso ridente dell’amico. Senza pensarci due volte, come presa da una forza irrefrenabile, si lanciò in avanti, circondando con le braccia il busto di lui. Charlie lo strinse forte in quell’abbraccio, tanto forte che il suo viso era schiacciato contro lo sterno di lui, chiaramente più alto. Le ci volle un attimo per capire cosa stesse accadendo. Di colpo si staccò bruscamente, allontanandosi da Amyas di qualche passo. Lo fissò negli occhi, mordendosi appena un labbro. Aveva abbracciato Amyas altre volte, del resto, perché ora le sembrava tutto così strano? Certo, Charlie non era una tipa da abbracci affettuosi e quei pochi che lei e Amyas si erano scambiati erano avvenuti o contro voglia, o in momenti di estrema tristezza dell’uno o dell’altra. Adesso Charlie avvertiva come un leggero formicolio infondo allo stomaco, una sensazione così leggera eppure fastidiosa che, istintivamente, si portò una mano alla pancia, senza mai distogliere lo sguardo da Amyas. Pensò che doveva essere perché non aveva ancora fatto colazione e perché Amyas le era saltato sul ventre di peso. Quando lei e Amyas erano stati più piccoli, gli altri bambini li avevano sempre presi in giro. Più di ogni altra cosa, il loro bersaglio preferito era il ragazzo. Sin da quando Amyas era un bambino – un bambino molto alto, certo, ma pur sempre un bambino – gli altri come loro lo avevano preso in giro per il suo aspetto. Gli criticavano ogni cosa, dalle gambe troppo lunghe alla sua magrezza, dal viso di forma particolare alla pelle chiarissima. Tutto ciò a Charlie aveva sempre dato un fastidio inimmaginabile, perché nessuno poteva criticare il suo amico eccetto lei. Crescendo, le offese si erano spostate sulla famiglia Abrams e, in particolar modo, sui genitori di Amyas. C’era chi lo canzonava per avere un vegetale al posto di una madre, chi per essere figlio di un mentecatto. Amyas solitamente ignorava quelle offese, ma Charlie sapeva bene che lo ferivano nel profondo. Così, lei aveva cominciato a difendere l’amico a suon di calci, pugni e incantesimi, sicché era entrata anche lei nel mirino dei compagni. Le bambine la chiamavano con cattiveria “maschiaccio” e spesso, quando beccavano lei ed Amyas seduti in un angolo da soli a consolarsi reciprocamente, cantavano stupide canzoncine d’amore che avevano come oggetto lei e il suo amico. Ora che entrambi erano diventati due ragazzi adulti e si apprestavano a terminare il proprio apprendistato al Boschetto, nessuno li offendeva più pubblicamente, ma giravano voci su loro due del tutto assurde. C’era chi li riteneva amanti persino. Ma Charlie non ascoltava neanche una di quelle voci. Sapeva bene che, se lo avesse fatto anche solo una volta, il suo rapporto con Amyas sarebbe cambiato. Del resto, lei sapeva bene di non provare nulla al di fuori dell’amicizia per quel tipo allampanato che la guardava sorridendo. A quel sorrisetto, il formicolio nello stomaco di Charlie si intensificò. Aggrottando le sopracciglia, Charlie sbuffò sonoramente. Si diresse a passo svelto fino al fondo del corridoio, superando l’amico e cominciando a scendere le scale. “Sbrigati, ancora di salvezza, o entrambi ne avremo bisogno contro la furia del Maestro!” esclamò mentre scendeva i gradini a due a due. Si rese conto solo in quel momento che, passando accanto ad Amyas, aveva evitato di fissare il suo volto. A quel pensiero, provò un moto di tristezza che cercò di cancellare sbraitando rimproveri verso lo stesso Amyas.
    Charlie Pole@
     
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