If I'm alone I cannot hate.

30 Giugno 102 PA, casa di Iona, tramonto.

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    Aveva lottato, Roxanne. Aveva incassato lo schiaffo della madre e le sue parole brutali, per poi rivoltarglisi contro con una decisione mai avuta prima. David Saddler aveva assistito alla scenata: aveva visto l'espressione dura di Roxy, le lacrime della madre, le loro mani che gesticolavano. Era stato difficile far entrare in testa alla donna che lei non sarebbe diventata come sua madre. Le aveva rinfacciato le sue esperienze giovanili, dicendole che sapeva che suo padre era un Cavaliere di Drago perché aveva trovato il suo diario di adolscente ed era rimasta comunque in silenzio per tutti questi anni. Non aveva proferito mai una parola per tutte le bugie di Delia Mumford. Roxanne aveva protetto sua madre, l'aveva lasciata fare; pensava che fosse troppo ferita per parlare di suo padre, ed ora lei se ne infischiava alla grande costirngendola a rientrare. Le aveva detto di amare Iona, che lui non era come lei credeva e che Roxy non era una che si fidava del primo che passava. Le aveva poi annunciato il suo trasferimento imminente a casa di Iona, le aveva spiegato dove si trovava e le aveva anche detto che sarebbe potuta andare a trovarla, ma mai con l'intento di portarla fuori di lì. Alla fine, era stata molto chiara: « Se manderai qualcuno a prendermi, madre, io morirò assieme a Iona pur di non tornare. Sono libera di fare le mie scelte. Spero che le accetterai, un giorno ». Dopo quella litigata epocale -che era poi diventata una discussione serena, visto che Delia sembrava essersi arresa, Roxy era piombata nel suo letto ed aveva dormito per chissà quante ore. Bene o male, amava casa sua, in particolare la sua camera. Era così intima, e poi adorava i colori pastello con cui era arredata. Una volta sveglia, si era fatta un bagno ed aveva pranzato e cenato con la sua famiglia, annunciando ufficialmente che si sarebbe trasferita. I suoi nonni avevano urlato, inveito contro di lei, ma Delia li aveva zittiti con un cenno della mano ed aveva ripetuto le parole della figlia: « È libera di fare le sue scelte ». Aveva dormito ancora una notte lì, aveva preparato le valige, si era fatta l'ultimo bagno lì dentro e poi aveva salutato sua madre. Delia l'aveva stretta in un abbraccio mozzafiato, per poi prenderle il viso tra le mani, piangendo.
    « Non fare i miei stessi sbagli, Roxanne Edith Mumford. » le aveva detto, lasciandola con un bacio sulla fronte.
    Ora, Roxy si trovava sulla dragonessa di Dave, Nos, con tutte le sue valige che pendevano dalla pancia della creatura. Quest'ultima virò, cominciando a scendere con leggerezza fino a posarsi a terra. David l'aiutò a slacciare le sue cose dal corpo di Nos, smontando e portandogliele fino alla porta di casa. Roxanne gli aveva quindi offerto qualche moneta, ma il mercanario le aveva rifiutate ed era volato via. Un puro gesto di cortesia. Lo guardò mentre se ne andava, pensando tra sé e sé che l'aveva aiutata molto. L'aveva persino riportata dal suo rivale storico senza fare un fiato.
    Era arrivato il momento che tanto attendeva. Si vedeva che in casa c'era qualcuno, ma non c'erano segni di movimento. Bussò un paio di volte ed aspettò che Iona le aprisse, fremendo sul posto. Il sorriso era largo e gli occhi le sbrilluccicavano: non vedeva l'ora di passare un po' di tempo con lui, stare sdraiati a non fare nulla o occuparsi della casa.
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    La notte della partenza di Roxanne, Iona non aveva chiuso occhio. Era rimasto immobile, prima seduto sulle scale che conducevano al piano superiore, poi steso nel letto con le coperte disfatte dal pomeriggio. La cosa peggiore, però, non era il fatto che gli mancasse Roxanne perché, stranamente, a lei non pensava proprio, quanto il fatto che non riuscisse a pensare a nulla. Nulla gli frullava per il cervello, eppure non dormiva. Alle prima luci dell’alba non aveva più resistito e si era alzato da quel letto, per non fare altro se non gironzolare per la casa tutto il giorno.
    Non che non avesse combinato nulla. Aveva dato una pulita un po’ ovunque, spalancando le finestre e levando da ogni camera quel pesante odore di chiuso che le caratterizzava.
    In quei giorni era uscito pochissimo. Quando non aveva voglia di rimanere in casa, al mattino imboccava il sentiero che portava diritto al villaggio più vicino e camminava fino a quando non sentiva dolore alle gambe, poi tornava indietro. Preoccupato, più volte Hrones gli aveva chiesto di trovare un lavoro, anche di poco conto, soltanto per tenersi attivo. Ma Iona aveva rifiutato categoricamente. Ancora, il drago gli aveva chiesto se non volesse saltargli sulla groppa e volare per un po’, o semplicemente uscire di casa e parlare con lui di ciò che era accaduto. “No.” Hrones non udiva altro e, abbattuto, si ritirava nei boschi per cacciare.
    Ora, Iona era seduto nell’immenso salone al pianterreno. Quando vi si era seduto, l’immensa poltrona in legno scuro aveva emesso uno strano suono, quasi gracchiante, ma poi si era più lamentata. Spinse la propria testa all’indietro, incontrando lo schienale della sedia, e si portò le mani sul ventre, incrociandole appena. Si chiese cosa ci fosse di sbagliato in lui, nella sua vita. Iona non era quel tipo di persona così profondamente sentimentale da sentire la mancanza della propria compagna dopo neanche due giorni, ma era tutto il suo passato fino a quel momento che lo teneva quasi in un costante stato di tacita delusione. Era come se la partenza di Roxanne avesse acceso in lui qualcosa, una sorta di campanello d’allarme che lo avvisava di essere in errore. Iona ripensò a tutto ciò che aveva fatto nella sua vita, a tutto ciò che gli era capitato. Essere un mercenario era ormai appurato e l’aveva accettato già da tempo, sin dal primo istante in cui si era accorto di esserlo a tutti gli effetti. Persino la morte di tutti i suoi cari aveva poco conto. Ciò che più lo mandava in paranoia, però, era soprattutto il fatto di non essere riuscito a portare avanti nulla di concreto nella propria vita fino a quel momento. Aveva ormai quasi venticinque anni, e cosa aveva fatto fino a quel momento? Ucciso persone per soldi, vagato come un pellegrino per le Fazioni e, conclusione ad effetto, aveva rapito una ragazza per il solo piacere personale.
    Scosse la testa, distendendo le lunghe gambe fino a raggiungere con i piedi il bordo del camino. Non aveva la più pallida idea di dove fosse Roxanne in quel momento. Poteva essere a casa propria, certo, chiusa a chiave nella propria stanza. Oppure poteva essere chissà dove, mandata in esilio dalla propria madre. Di una cosa Iona era certo: non sarebbe andato a cercarla. Da quando ella aveva espresso il desiderio di tornare a casa per ragionare con sua madre ed era volata via con David, Iona aveva provato nei suoi confronti una sorta di fredda delusione. Iona accettava tutto: il fatto che fosse una sua decisione, che lo faceva per non metterlo nei guai, che sarebbero stati meglio in un ipotetico futuro. Ma non poteva accettare il suo orgoglio ferito che gli uggiolava dentro come un cucciolo abbandonato.
    Chiunque avesse incontrato nel corso dei suoi viaggi, almeno una volta gli aveva detto di avere un brutto carattere. Del resto, Iona stesso ne era cosciente. Testardo, cinico, a tratti apatico, crudele in diverse occasioni ma, soprattutto, profondamente orgoglioso. Se c’era una cosa alla quale non aveva mai rinunciato, era proprio l’orgoglio.
    Dei leggeri tocchi alla porta lo riportarono alla realtà. Iona sollevò il capo, fissando intensamente la porta. Un altro tocco. Si alzò controvoglia, dirigendosi verso l’atrio della casa. Nella sua mente, uno dopo l’altro, sfilarono una serie di personaggi che Iona aspettava di incontrare dietro quella porta. Dante di ritorno sull’Isola? Brandon – che lo credeva essere il suo migliore amico, invano – che gli faceva una visita? O l’intera armata discesa da Onore giunta a toglierlo da sopra al suolo terrestre? Sperò vivamente che si trattasse dell’ultima ipotesi.
    La prima cosa che vide, fu il suo sorriso. Largo, emozionato, quasi luminoso. Poi i suoi occhi, e infine la figura di Roxanne si fece chiara davanti a sé. La fissò dall’alto in basso per qualche secondo, una mano ferma sulla maniglia e l’altra appoggiata allo stipite della porta. Il fatto che lei fosse lì lo meravigliò: che fosse fuggita ancora? E poi, com’era arrivata fin lì? Una parte di lui si mosse eccitata, sbatacchiando come un topo in una scatola nel profondo del suo stomaco. Qualcosa lo bloccò, però. Qualcosa di forte, che gli immobilizzò le membra e gli fece assottigliare lo sguardo e aggrottare le sopracciglia.
    Non disse nulla ma, lasciando la porta aperta, si voltò dirigendosi in cucina.
    Iona Càel C. F. Diarmuind @
     
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    Dove essere sincera: Roxanne aveva pensato all'eventualità di beccarlo a letto con un'altra donna. Alla fine, in quei due giorni si era accorta di conoscere davvero poco Iona. Non sapeva come avrebbe reagito al suo ritorno, non sapeva neanche qual'era il suo cibo preferito. Quale colore gli piaceva di più? Preferiva l'estate o l'inverno? Vino o birra? Tutte queste domande le erano frullate in testa, ma aveva capito di sentire comunque qualcosa per lui. Non era un affinità normale, era come se fossero semplicemente collegati geneticamente. Non erano potuti più stare lontani per troppo tempo, una volta incontrati la prima volta. Ora, Roxanne, davanti a quella porta, fremeva. Voleva abbracciarlo, conoscerlo meglio, magari cucinare per lui e farsi insegnare qualche mossa da mercenario. Non avvertì nessun movimento all'interno della casa, inizialmente: pensò che stesse dormendo. Quando poi la ragazza sentì i passi di Iona, il suo volto di animò di nuovo. Quindi era dentro, non era a lavoro. Il mercenario aprì lentamente la porta, guardandola prima dall'alto in basso e poi soffermandosi suoi suoi occhi.
    « Iona! » gridò, come se non si fosse potuta contenere. Qualcosa, però, la bloccò dal gettarglisi tra le braccia. Roxanne si era già immaginata di saltargli addosso e stringerlo a sé, baciandolo con trasporto e passione. Sapeva che, quando era travolta da queste emozioni, non poteva semplicemente ragionare. La passione prevaleva sulla ragione. Avvertire le sue braccia attorno a sé, non riuscire a districarsi dalla sua presa salda, e poi i suoi occhi scuri in quelli di lei. Il bel quadretto che si era figurata, però, non avvenne: il ragazzo la fissava con uno sguardo spento, annoiato, privo di qualsiasi altra emozione. Il sorriso di Roxanne scemò con velocità: sulla sua faccia, generalmente, si poteva leggere tutto ciò che pensava. E, in quel preciso istante, Iona ci avrebbe visto la delusione. Non era stata in grado di contenersi, Roxanne Edith Mumford, non aveva nascosto bene la stilettata che aveva preso. Sì, perché di quello si trattava: un colpo basso di Iona, una noncuranza gelida e letale. Il ragazzo si spostò e si diresse in cucina, senza neanche degnarla di un saluto. Roxy era rimasta sullo stipite della porta, con le mani ciondolanti lungo i fianchi e l'espressione ferita. Non poteva assolutamente credere che Iona l'avesse abbandonata così, dopo che lei aveva combattuto contro tutta la sua famiglia. Aveva ferito sua madre, fatto arrabbiare i suoi nonni e poi era andata via di casa. Solo per stare con lui. Non aveva il permesso di farla sentire così, di sminuire tutto ciò che aveva fatto. Il dolore lasciò il posto all'irritazione e poi alla rabbia, ma Roxy sapeva di doversi calmare, altrimenti avrebbe sparato solo frecciatine velenose e non vere. Strinse i denti, evidenziando la mandibola, aggrottando le sopracciglia e portando lo sguardo sul pavimento. Oltrepassò la soglia di casa e sbattè la porta alle sue spalle, senza staccare gli occhi neanche un attimo dal mercenario. Una volta dentro, con il resto del mondo fuori dalla villa, Roxanne non si mosse neanche di un millimetro. Strinse i pugni e lo fissò, quasi desiderando di potergli bruciare la testa con uno sguardo.
    « Adesso spiegami cos'hai. » gli disse, con un tono di voce basso e vibrante. Nessuno dei due doveva scusarsi per assolutamente nulla. Non vedeva il motivo per il quale Iona si dimostrava così ferito. Perché Roxanne aveva reagito, forse, ma avrebbe dovuto capire fin dall'inizio che la ragazza non sarebbe stata una docile bestiola. Si limitò solo a chiedergli spiegazioni, senza ingigantire la questione, ma avrebbe tanto voluto mettergli le mani al collo. Dirgli che aveva combinato un casino solo per stare insieme a lui, che finalmente erano liberi di vivere come meglio credevano. Ma no, lona Diarmuind doveva metterci il carico da cento e farla sentire in colpa quando non avrebbe proprio dovuto. Prese un bel respiro ed aspetò che il suo ragazzo le rispondesse, i pugni serrati e lo sguardo puntato sulla nuca di lui.
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    La voce di Roxanne gli risuonava forte nella mente, potente come un grido, mentre Iona si allontanava verso la cucina. La ragazza aveva urlato il suo nome, contenta di vederlo, ma lui non aveva reagito. In realtà, qualcosa aveva fatto: si era voltato ed era andato via. Non era orgoglioso di ciò che aveva fatto e, interiormente, era piuttosto combattuto, ma poteva affermare che quella era la prima cosa che gli era passata per l’anticamera del cervello. Del resto, non poteva dire di non provare assolutamente nulla per il ritorno di Roxanne. Una parte di lui, infatti, gioiva in maniera smisurata, spingendolo quasi a voltarsi di colpo, afferrare la ragazza e stringerla a sé come se non vi fosse un domani. L’altra parte, invece, più fredda e calcolatrice, aveva agito prepotentemente, come a spegnere un incendio, ed era prevalsa nel cuore di Iona, facendo sì che ignorasse totalmente Roxanne.
    Intanto egli, con passo lento e con la coda dell’occhio fissa a guardare dietro di sé, si diresse in cucina. Aprì un’anta della grossa credenza e ne estrasse un calice e una vecchia bottiglia, ormai piena di liquido solo a metà. L’aveva ritrovata solo il giorno prima, ed era certo che fossero passati anni da quando quel liquido era stato imbottigliato. Non sapeva bene cosa fosse, ma il tempo l’aveva reso senz’altro migliore. Ricordava che suo padre e suo nonno se ne versavano qualche calice ogni tanto, quando erano particolarmente nervosi o preoccupati, e subito dopo sembravano stare meglio. Iona conosceva tutti i tipi di bevande da locanda, quel tipo di liquido corroborante, quasi energetico, capace di riscaldare gli animi in inverno, dimenticare tutti i problemi di una vita per qualche e, perché no, anche andare fuori di testa per un po’. Quel liquido, però sembrava diverso. Iona lo versò nel boccale, riempendolo quasi fino al bordo, poi lo buttò giù tutto d’un sorso. Quando il liquido scendeva giù per la gola bruciava con forza, lasciandosi dietro un retrogusto dolciastro. Iona era convinto che lo aiutasse a pensare. Era come se gli schiarisse la mente, diradasse le nubi che la attanagliavano e le desse una ripulita. Lanciò uno sguardo alla porta della cucina, come a poter vedere la figura di Roxanne da lì. Si sedette sul bordo del grosso tavolo d’abete che campeggiava al centro della stanza, il volto abbassato e il calice ancora stretto in mano.
    Non poteva dire di essere arrabbiato con Roxanne perché conosceva bene il poderoso sentimento d’ira, e non era ciò che provava in quel momento. Poteva dirsi infastidito, ma non di certo del ritorno della ragazza. Nervoso, anche. A distanza di un paio di giorni, ancora non riusciva a sbollire il nervosismo provato al momento della partenza di lei. Non le dava pena per questo, né per il fatto che avesse scelto lei la via da seguire, ma... Avrebbe almeno potuto chiedergli cosa ne pensava lui. Insomma, avrebbe cercato di impedirglielo – invano, certo – ma almeno sarebbe stato cosciente di ciò che Roxanne avrebbe dovuto fare. Forse, avrebbe potuto persino raggiungerla. E poi, si era sentito davvero umiliato quando la ragazza gli aveva detto di lasciar stare David, il rivale di una vita, solo perché egli stava facendo il proprio lavoro. Lui non era il cane da guardia da zittire quando abbaia troppo.
    Si alzò, scuotendo la testa. Posò il calice sul tavolo, accanto alla bottiglia, ed uscì nuovamente nella sala grande. Roxy era ancora sulla soglia della porta e, fissandolo, gli chiese cosa avesse. Iona la fissò, senza alcuna particolare emozione dipinta sul viso, poi scosse la testa, sospirando. “Niente. Bentornata” disse con una punta d’amarezza nella voce. Si sedette su una delle poltrone accanto al camino – quella dove era seduto prima dell’arrivo di lei – e allungò le gambe, socchiudendo appena gli occhi.
    Iona Càel C. F. Diarmuind @
     
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    Decise che non sarebbe passata dalla parte del torto: non gli avrebbe risposto male, non avrebbe alzato la voce. Niente di niente. Avrebbe solo ascoltato le sue ragioni e poi ne avrebbero discusso insieme. Era questo che facevano le donne mature, no? Reagire usando il cervello. Non si sarebbe scomposta, Roxanne: di sicuro qualche emozione sarebbe trapelata dal suo sguardo, ma quello sarebbe stato il suo unico punto debole. Il ragazzo si mosse, prendendo dalla credenza una bevanda -probabilmente alcolica, riempiendosi un calice e scolandoselo tutto. Roxy non si muoveva, osservando ogni suo piccolo movimento, fino a quando non si alzò e la guardò, dicendole che non aveva niente e poi dandole il bentornato. Iona non aveva nessuna espressione tracciata sul volto: né una ruga, né una smorfia, né un muscolo fuori posto o uno sbrilluccichio negli occhi. Non ci vide neanche la delusione che aveva notato poco prima di andare via. Evidentemente, ancora non era riuscito a capire, o magari l'aveva così indispettito che gli risultava difficile smettere di fare il prezioso. Facendo due calcoli, quindi, Roxanne doveva aver sbagliato qualcosa due giorni prima, quando aveva deciso di partire. Ripensò a ciò che aveva detto o fatto, ripercorrendo cronologicamente tutti gli avvenimenti. All'improvviso, le venne in mente che a Iona poteva aver dato fastidio praticamente tutto. Il fatto che lei fosse scesa al piano di sotto quando lui le aveva detto di rimanere sù, la sua fatidica frase "sta facendo solo il suo lavoro", la sua scelta presa senza consultarlo. Ci era rimasto male. Roxanne, comunque, ancora non riusciva a capire come potesse mettere l'orgoglio persino davanti a coloro che amava. Era arrabbiato perché si era sentito inutile o ferito? Beh, di questo avrebbero potuto discutere. Ma se pensava che lei avrebbe fatto la "moglie del mercenario" e sarebbe rimasta sempre in disparte, si sbagliava di grosso. Roxanne era, a modo sua, una guerriera. Non era una personalità che poteva rimanere all'angolo. Gliel'aveva detto anche il suo amico Argon, durante una riunione dei capi dell'Esercito. L'aveva chiamata "condottiera". Incrociò le braccia al petto, fissando Iona in volto.
    « Se non mi dici dove pensi che io abbia sbagliato non risolveremo mai questo problema. » gli disse soltanto. Non gli illustrò tutto ciò che aveva pensato, aspettava che fosse lui a farlo. Se avesse conosciuto ciò che non andava bene a Iona, avrebbe anche imparato ad evitare di comportarsi di nuovo in quella maniera, o magari gli avrebbe fatto capire che non aveva potuto farne a meno. La convivenza era difficile, sopratutto per chi si conosce appena. Dovevano ancora imparare i difetti ed i pregi dell'altro, ma ancora di più ad assecondarli o contrastarli. Sciolse le braccia e si avvicinò lentamente a Iona, senza smettere di guardarlo negli occhi. Quando gli arrivò vicino, allungò una mano e raggiunse una di quelle di lui, cercando di aprirla con le dita e poi intrecciarla con la sua. Lo sguardo di Roxanne si era addolcito appena, ma non aveva sorriso o che altro; i suoi occhi color nocciola squadravano la figura di Iona, che indossava ancora i vestiti di due giorni fa. Probabilmente gli facevano ancora male le ferite: chissà se si era poi medicato per bene. Avrebbe voluto stringerlo a sé, ma si mantenne ancora un po' distante: non voleva invadere lo spazio vitale del ragazzo, anche perché probabilmente sarebbe risultata una tipa manesca. Sì, perché avrebbe proprio voluto abbracciarlo con forza e dimenticarsi di tutto ciò che era successo. Si passò la lingua sulle labbra, desiderando di alzarsi sulle punte e baciarlo con passione.
    Roxanne Mumford @
     
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    Roxy gli si avvicinò. Iona poteva vedere la sua figura con la coda dell’occhio, scrutarla appena, scorgere il suo viso. Sospirò impercettibilmente. Sin da quando era bambino, non c’era stato un giorno in cui sua nonna non gli avesse ripetuto quella cosa. Ogni momento era buono per dirglielo, ogni singolo istante. La somiglianza di Iona con suo padre e suo nonno non si fermava solo ad un primo aspetto, per niente: ciò che più accomunava i tre maschi di casa Diarmuind era il soprattutto il carattere. Tutti e tre erano freddi calcolatori, testardi, orgogliosi e feroci come lupi. Sua nonna diceva anche che doveva essere per quei tratti del loro carattere che lei e la madre di Iona si erano innamorate di loro ma, spesso, usciva fuori quella parte da Diarmuind che sembrava troppo difficile da soffocare. Allora bisognava lasciarli stare per un po’, fargli sbollire la rabbia e poi, magari, soltanto dopo, fargli capire dove avevano sbagliato. La donna diceva anche che era incredibile vedere come un bambino così piccolo potesse già aver assunto tutti i caratteri più forti della famiglia: sembrava che il gene Diarmuind fosse più potente di tutti, che andasse a sovrastare qualunque altra cosa. Iona ne era l’esempio più palese.
    Si chiese se in quel momento non stesse dando mostra di quel gene da degno membro della sua famiglia. Roxanne ancora non lo conosceva bene, non sapeva quali fossero le mille sfumature del carattere di Iona, ma di certo in quel momento stava assaggiandone una buona quantità. Iona non era una di quelle persone che tengono su il muso quando sono arrabbiate o innervosite per qualcosa ma, piuttosto, il suo viso diventava una maschera inespressiva, dietro la quale il cervello lavorava ininterrottamente, perso fra chissà quali pensieri.
    La mano di Roxanne intrecciata alla sua lo riportò alla realtà. Fissò prima le mani, per poi spostare lo sguardo sulla ragazza. Scosse appena il capo, sospirando ancora. Lei gli parlò, dicendogli che se lui non le avesse detto in cosa lei aveva sbagliato, non sarebbero mai riusciti a superare il problema. Iona l’ascoltò con attenzione, indeciso se parlarle o meno. Era certo che, se avesse cominciato a parlare, probabilmente si sarebbe innervosito ancora di più. Ma doveva almeno provarci. Se provava qualcosa per quella donna, se davvero era convinto di non aver commesso un errore a portarla via con sé, doveva provarci. Dirle che era arrabbiato per il suo atteggiamento nei suoi confronti, che non era infastidito dal suo prendere decisioni che la riguardavano, ma dal non esporle a lui. E ancora, che non voleva essere trattato come una bestia da guardia da zittire al momento buono. Infine, voleva dirle che lui era fatto così e che, se anche lei provava qualcosa per lui, doveva accettarlo così com’era e con tutto quel grosso carico d’orgoglio che egli si portava dietro.
    Iona concentrò lo sguardo verso il camino, spento da molti anni. “Odio essere trattato come se fossi un cane da zittire.” disse infine, più rivolto a se stesso che a Roxanne, “Tutte le volte che cerco di proteggere qualcuno è ‘fermo, Iona’, ‘zitto, Iona’, ‘sta solo facendo il suo lavoro, Iona’. Sottolineò quell’ultima frase con amarezza. “Sarò anche una persona difficile, ma almeno concedetemi di non essere umiliato così.” Piegò il capo all’indietro, fino allo schienale della poltrona. “E poi, sei libera di fare ciò che vuoi, ma ti costa tanto parlarne anche con me, prima? Non te l’avrei impedito, Roxanne, ma almeno ne sarei stato partecipe.” Sollevò il capo di scatto, fissando lo sguardo negli occhi di Roxanne. “Va anche bene che ci conosciamo da quanto, qualche giorno?, però no, Roxanne, sarò io quello difettoso, ma non mi vanno giù queste cose”. Chiuse il discorso sbuffando appena. Ora fissava nuovamente il camino come se fosse divenuto la cosa più importante al mondo. In quel momento, sua nonna gli avrebbe dato del ‘lupo ferito’, e gli avrebbe detto che non era bene ‘stare in disparte a leccarsi le ferite’.
    Iona pensò che le sue, di ferite, erano davvero troppe e non avevano mai sanguinato così tanto.
    Iona Càel C. F. Diarmuind @
     
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    La ragazza ascoltò tutto ciò che Iona le disse senza neanche fare una smorfia o scomporsi minimamente. Teneva una mano intrecciata alla sua e l'altra era lasciata penzoloni, fino a quando non si strinse a pugno. Quindi pensava che Roxanne volesse comandarlo a bacchetta. Si morse un labbro, abbassando il capo fino a portare lo sguardo sulle ginocchia di lui. Non la conosceva. Non sapeva che Roxy odiava i pappamolla, quelli che si facevano mettere i piedi in testa, perciò non avrebbe mai fatto una cosa del genere a lui. Poteva capire, però, che era fraintendibile. Non sapeva perché, ma all'improvviso le era venuta voglia di piangere e di sdraiarsi sul suo lettone enorme, senza pensare a nulla fino al giorno dopo. Ma non poteva farlo: aveva lottato per essere lì, per stare con Iona. Doveva riscuotersi e rispondere al suo ragazzo senza farlo arrabbiare, in modo che avrebbero potuto concludere quello spiacevole avvenimento e catalogarlo come "acqua passata". Gli disse inoltre che gli andava bene che lei prendesse delle decisioni che la riguardavano, ma che almeno avrebbero dovuto parlarne. Secondo lui, aveva fatto una bruttissima figura davanti a David, ma la realtà era che non conosceva neanche lui. Un uomo d'onore come lui non si sarebbe mai permesso di anche solo pensare una cosa del genere. Alzò la testa e guardò il volto di Iona, che però era girato verso il camino come se al suo interno ci fosse qualcosa di molto interessante. Roxanne si meravigliò di questo: Iona, quindi, sfuggiva al suo sguardo?
    « Guardami, per favore. » gli chiese, con voce ferma. Non voleva forzarlo, ma aveva qualcosa di davvero molto importante da dirgli. E Roxanne non era una che lo faceva senza guardare negli occhi il suo interlocutore, perché era proprio da questi che riusciva a prevedere l'eventuale reazione. Quando il mercenario si voltò a guardarla, lei indurì lo sguardo, rendendolo determinato e appassionato.
    « Non pensare mai che io ti voglia mettere i piedi in testa. » disse, facendo una piccola pausa. « Mai. » sottolineò. Si spostò e si mise seduta sulla poltrona di fianco a Iona, senza però mai staccare gli occhi da lui. Si era come messa al suo stesso livello, visto che adesso non le serviva abbassare né alzare lo sguardo.
    « Ho reagito male, è vero, ma avevo paura che vi faceste del male. Volevo sbrigarmi, per questo non ti ho chiesto un parere. Ho sbagliato. Scusami, se puoi. Ma tu devi promettermi che non oserai mai più rischiare di morire solo per orgoglio. » disse, dosando per bene le pause ed enfatizzando ciò che pensava fosse più importante. Si era scusata apertamente, Roxanne, ma aveva chiesto anche a Iona di "fare il bravo". I cani che si comportavano bene non avevano bisogno del guinzaglio, no? Il lupo ferito che le era davanti non necessitava di nulla. Lo sapeva. Forse era proprio per quello che lo amava, perché era un ragazzo indipendente che si prendeva le sue responsabilità. Ma non avrebbe accettato un'altra scenata del genere.
    Roxanne Mumford @
     
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    Iona vide se stesso riflesso negli occhi di Roxanne. Capelli scuri e scompigliati, barba incolta, due pozzi cupi e senza fondo al posto degli occhi: non si stupiva che la gente credesse che suo padre Càel fosse tornato dalla tomba. Era pressoché la sua copia perfetta. Si chiese allora se anche suo padre, a tempo debito, magari quando era stato giovane proprio come lui, si fosse ritrovato in quella situazione, con lo sguardo fermo negli occhi di una ragazza a fissare il proprio riflesso e pensare quanto somigliasse a suo padre. Se i lineamenti non mentivano, di sicuro non mentiva nemmeno ciò che Iona aveva dentro. Che quello fosse il carattere di suo padre era ormai appurato. Crescendo senza una madre, Iona aveva ricevuto tutto da quell’unica fazione maschile rappresentata da Càel e, di conseguenza, era diventato la sua esatta riproduzione. Magari non se ne rendeva neanche conto, ma tutto in lui ricordava il defunto genitore: le movenze, i vizi, le particolarità. Persino la voce era quantomai identica a quella del padre. Di sua madre aveva visto soltanto un misero ritratto, e aveva capito d’aver preso ben poco da lei. Minuta, chiara di carnagione, occhi chiari, bocca piccola e naso all’insù. E poi, a detta di sua nonna, tanto dolce e gentile che vederla con una simile bestia – quale effettivamente era visto chiunque fosse un maschio diretto discendente Diarmuind – meravigliava non poco. Forse però, anche se in piccole dosi, qualcosa da lei Iona doveva aver preso. Quella piccola sfumatura del suo carattere, così impercettibile eppure così chiara in alcuni momenti, non doveva essere uscita fuori dal nulla. Iona non se ne rendeva conto, certo, ma in quel momento ne stava dando sfoggio. Un piccolo, minuscolo e solitario gene doveva esserci in lui, e doveva essere così potente da riuscire a contrastare la sua natura indomita.
    Quando Roxy si scusò con lui, dicendogli che in nessun modo lei aveva desiderato ‘mettergli i piedi in testa’ e che se aveva agito così era stato solo per il suo bene, Iona sospirò. “Scusami, ho esagerato” disse soltanto. Quando quelle poche parole fuoriuscirono dalla sua bocca, Iona non credette d’averle dette davvero. Nessuno, fosse stato Dante, il suo amico, o i suoi famigliari a tempo debito, poteva vantarsi d’aver udito delle parole di scuse da parte di Iona. Forse suo padre era stato il solo, e ben poche volte. Era risaputo e, anzi, molto spesso era persino dato per scontato: Iona non chiede perdono a nessuno. Non è nei suoi modi, sono gli altri che lo invocano, scusandosi e supplicandolo di risparmiare loro la vita. Ma non lui. Quello doveva essere un grande avvenimento.
    All’improvviso, Iona si sentì più sereno. Non perché si fosse scusato con Roxanne, ci mancherebbe, ma perché in qualche modo, stava calmandosi e l’indifferenza provata fino a poco prima stava sciogliendosi come neve al sole. Si sporse tutto ad un tratto verso il viso di Roxanne, lasciando che il suo naso sfiorasse quello di lei. Non disse nulla, ma il suo sguardo si assottigliò, andando ad incontrare quello di lei.
    Iona Càel C. F. Diarmuind @
     
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    Iona aveva ascoltato, questa volta, ed aveva anche pensato a ciò che Roxanne gli aveva detto. Lo poteva vedere dalla sua espressione: dal modo in cui aggrottava le sopracciglia, dall'arricciarsi delle labbra, dalle dita che accarezzavano la poltrona. Anche se aveva ancora sfuggito il suo sguardo, Iona aveva capito. Alla fine, il ragazzo sospirò e si scusò. Si scusò. Roxanne rimase di sasso: le si aprì persino la bocca dallo stupore. Lo guardava con un'espressione sorpresa, gli occhi nocciola puntati sul volto di lui. Gli angoli della bocca cominciavano a tenedere all'insù, segno che stava per rivolgergli un'espressione piena d'amore e tenerezza. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, però, il volto di Iona le si parò davanti, facendo incontrare i loro nasi. Poteva sentire il respiro di lui sulla sua pelle e, Dio dei Draghi, quanto le era mancato. Le venne istintivamente voglia di prendere il viso di lui tra le sue mani, ed in effetti così fece. Gliele poggiò sulle guance, avvicinandosi ancora un po' al suo Iona e dandogli un bacio sulla bocca. Chiuse gli occhi, lieta di poter respirare ancora il suo odore. Non sapeva cosa avrebbe fatto se i due avessero litigato. Dove sarebbe andata? Che cosa avrebbe pensato la gente del villaggio di Iona? Era sollevata: non doveva porsi certi problemi. Aveva ancora voglia di gettarglisi addosso e farlo suo con passione, ma cercò di resistere. Non voleva farsi prendere per una maniaca o che altro. Si separò da lui ma non si allontanò, appoggiando la fronte alla sua e sorridendogli dolcemente. La mano che era sulla guancia passò alla nuca, accarezzandolo con tenerezza. Ormai era una sua proprietà.
    « Grazie. » disse, guardandolo negli occhi. « So che cosa significa per te. Lo apprezzo davvero tanto, straniero. » gli mormorò, usando il soprannome che ormai gli aveva affibbiato. Si alzò dalla poltrona ed andò vicino a Iona, sedendosi però sul bracciolo. Non voleva ancora invedere i suoi spazi, magari non se la sentiva di riaverla tra le braccia così, su due piedi. Aveva però appoggiato le gambe su quelle di lui ed il sedere sul bracciolo. Era rivolta verso il ragazzo. Sperava che quella vecchia poltrona non si rompesse. Appoggiò un gomito alla spalliera e piegò la testa sulla mano, infilandosela tra i capelli. Non aveva staccato neanche un attimo lo sguardo dal ragazzo. Le venne in mente una cosa molto importante che doveva dirgli, anche se era imbarazzata.
    « Ah! » le sfuggì, poi si portò entrambe le mani in grembo ed abbassò lo sguardo, arrossendo un poco. « Sono stata dal mio Stregone, ieri. » cominciò. Sperava davvero che ci arrivasse a rigor di logica e non dovesse farle dire tutta la frase per intero. « Adesso possiamo stare tranquilli per un po'. » gli disse soltanto, alzando di nuovo lo sguardo su di lui e sui suoi occhi. Era arrossita leggermente, ma un po' di colore le stava pure bene. Magari, avendogli detto ciò, Iona si sarebbe sciolto un poco. Insomma, lì dentro c'era davvero troppa tensione. Allungò le gambe e si portò avanti col sedere, sedendoglisi in braccio e sorridendogli. Non ce l'aveva fatta a stargli lontano. Si sporse appena per dargli un altro bacio sfuggente, poi rimase a guardarselo con gli occhi che le brillavano ed un sorriso sincero che vibrava sul suo volto.
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    Iona avvertì le gambe di lei distendersi dolcemente sulle sue. La fissò per un attimo, sollevando il capo. Come gli era mancata quella ragazzina e, ancor più, i suoi grandi occhi di nocciola. Poteva benissimo vedercisi riflesso all’interno, e tutto ciò che poteva osservare era un ragazzo scorbutico, stropicciato e con un brutto cipiglio. Per un momento, gli dispiacque per Roxy. Poteva avere tutto, e alla fine aveva scelto lui. Doveva ritenersi fortunato. Una ragazza capace di tenergli testa così abilmente non l’avrebbe più trovata con tanta facilità. Forse era proprio quello a rendere Roxanne una persona speciale sotto molti punti di vista: fronteggiare Iona non era cosa da poco, accidenti.
    Lei lo ringraziò, riconoscendo che per lui quelle parole significavano molto. Iona annuì distrattamente, sbadigliando appena. Allungò una mano verso il viso di Roxanne, sfiorandolo appena con due sole dita. “Serve la tua presenza in questa casa” le disse. Lanciò uno sguardo fugace alla gigantesca stanza nella quale si trovavano, con le alte pareti tappezzate di araldi con draghi e leoni rampanti, il camino immenso e scuro come le fauci di un drago, i mobili in legno massiccio, la luce tenue del giorno morente a dorare il tutto. “Credo che tu le sia mancata” ridacchiò Iona, “Dico davvero”. Sorrise appena, storcendo un po’ il naso.
    Fu allora che Roxy glielo disse: durante quel breve periodo di assenza, aveva avuto modo di parlare con uno stregone. Iona la ascoltò con attenzione. Lei gli disse che ‘potevano stare tranquilli per un po’’. A quelle parole, al ragazzo scappò un sorrisetto divertito. “Questa è l’unica cosa che mi fa apprezzare gli stregoni” disse, poi allungò le braccia e afferrò saldamente Roxy, spostandola sulle proprie gambe. Le circondò la vita con le braccia, avvicinando il viso al collo di lei.
    “Sai” le disse all’improvviso, “Tra un po’ tornerò a lavoro.” Lo disse in un sussurro, come se parlasse più a se stesso che alla propria ragazza. “Potresti... Rimanere sola per qualche giorno. Insomma, Hrones dovrò portarlo con me, e...” sospirò, “Credi di potercela fare?”. Allontanò appena il viso, per osservare la sua reazione. “Oppure” continuò, “Potrei prenderti un cucciolo. Ti piacciono? Conosco un tizio che vende animali selvatici, cioè, cuccioli di animali selvatici. Ha lupi, cerbiatti, orsi, persino dei cuccioli di leone, li ho visti!” Iona sorrise convinto, “Ne ho sempre desiderato uno, che ne dici? Potremmo crescerlo qui.” Posò il viso su una spalla della ragazza, attendendo la sua risposta.
    Iona Càel C. F. Diarmuind @
     
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    Iona le disse che la sua presenza serviva in quella casa e che probabilmente le era mancata. Era mancata alla casa? Roxanne si ritrovò a ridacchiare, arrossendo un poco. Le aveva fatto piacere sentire quelle cose da Iona. Quindi non era totalmente indefferente a lei. Gli era mancata, in qualche modo. Lo fissò negli occhi -che le sbrilluccicavano d'emozione, tra l'altro- senza mai smettere di sorridere appena, come se fosse troppo agitata per dire qualsiasi altra cosa. Non le sembrava vero di avere una casa intera tutta per sé e Iona, come se fossero sposati o che altro. Sua madre non la sarebbe venuta a cercare, David non li avrebbe più interrotti. Proprio mentre pensava a quanto di più bello potesse esserci in quella situazione, Iona le disse che presto sarebbe tornato a lavoro. Il sorriso e l'espressione di Roxanne si spensero in un attimo, preservando solo gli occhi luccicanti. Le aveva detto che si sarebbe potuta prendere un cucciolo, anche un animale selvatico. Aveva ricominciato con la storia della compagnia. Aspettò che terminasse senza muovere neanche un muscolo, l'espressione seria e gli occhi fissi nei suoi. Allora non capiva proprio. Non capiva che non avrebbe potuto rimpiazzare la sua presenza con un cane, un gatto e nemmeno con una tigre o un leone. Forse sarebbe stata meglio completamente sola. Avrebbe fatto un giro per il villaggio ed avrebbe stretto amicizia, poi sarebbe tornata a casa al tramonto. Oppure... era un'idea che aveva già considerato tempo addietro, quando aveva conosciuto Iona. Lui era un mercenario, un'anima solitaria, certo, ma era così impossibile che si portasse dietro una... compagna? Qualcuno che lo aiutasse e al contempo gli facesse compagnia. Insomma, lei. Si sarebbe fatta allenare, magari. Giusto le basi dell'autodifesa, certo; non si sarebbe mai permessa di uscire allo scoperto e rovinargli qualche piano. Si passò la lingua sulle labbra ed abbassò lo sguardo sul petto di Iona, cominciando a giocare con i bottoni della blusa chiara. Aprì la bocca per parlare, ma poi si morse un labbro. Doveva trovare il coraggio di chiederglielo. Alzò lo sguardo ed ebbe la forza di fissarlo, poi sbatté più volte le ciglia -facendogli gli occhi da cerbiatta- ed abbozzò un sorriso furbetto.
    « Oppure » cominciò, quasi citandolo « Potrei venire con te. » disse, terminando la frase in un sussurro. Arricciò le labbra ed aspettò la sua reazione, che -ci scommetteva- sarebbe stata negativa. Lei aveva bisogno di vivere delle avventure, conoscere gente nuova. Sapeva che fare il mercenario non era un bel lavoro: Iona uccideva persone per vivere. Avrebbe quindi visto tanta violenza, fiotti di sangue e budella scomposte. Ma tutto ciò non la spaventava: dopotutto, aveva vissuto quasi in simbiosi con dei militari. Gli si poteva dire tutto, ma non che non combattessero. Soprattutto contro i Vigilanti. Lo sguardo le si era acceso d'eccitazione, come se avesse trovato un nuovo scopo per il quale combattere: stare al fianco di Iona durante le sue missioni.
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    cavaliere di drago • He’s not a tame lion.
    Adorava quando Roxanne lo fissava con quei suoi occhi luminosi e attenti, quasi pendesse totalmente dalle sue labbra. Era una sensazione quantomai nuova per Iona: anni passati nella più completa solitudine – rotta solo dall’intervento di un drago dal carattere burbero – gli avevano fatto dimenticare quei piccoli gesti. Quando una giovane lo guardava con quel tipo di sguardo, aveva sempre altre mille cose che le frullavano nella testa. Roxy invece no. Era come se, nonostante tutto, esistesse soltanto lui. C’era qualcosa di speciale in tutto ciò, qualcosa di nuovo, addirittura.
    Tuttavia, ben presto lo sguardo di Roxanne si spense, non appena Iona ebbe parlato del suo lavoro e della necessità di lasciarla in casa in tutta sicurezza. Aveva previsto che reagisse così, che rimanesse delusa. Del resto, Iona si prospettava, nel migliore dei casi, di lasciarla completamente sola per una settimana circa almeno una volta al mese. Hrones sarebbe partito con lui, e allora chi sarebbe rimasto con la piccola Roxanne? Iona aveva pensato a tante soluzioni, in realtà: la sua mente aveva cominciato a frullare come le ali di un colibrì impazzito. L’idea del cucciolo era quella che gli piaceva di più. Le avrebbe preso qualsiasi cosa Roxanne avesse potuto desiderare. I cuccioli, si sa, occupano tempo e ben presto ella avrebbe dimenticato le assenze di lui. Ne avrebbe presi persino quanti ne voleva: era disposto ad accettare una casa piena di animali d’ogni tipo. Gli sarebbero piaciuti dei cani da caccia, da poter sfruttare per l'approvvigionamento, o anche degli animali selvatici come dei lupacchiotti. Sono allegri e tendono a proteggere il loro territorio una volta divenuti adulti. Sembrava perfetto. Ma non per Roxy, a quanto pareva. Aveva colto subito il suo sguardo di disapprovazione a quella proposta.
    Va bene, niente animali, ma Iona aveva considerato persino l’ipotesi di rispedirla a casa da sua madre per quei periodi. A tale proposito, c’erano ben due possibilità: che madre e figlia si riappacificassero e che Iona entrasse a far parte della famiglia, o che Roxanne venisse rapita ogni volta e lui dovesse correre a salvarla. Cancellò la proposta ancor prima di esporla. Era certo che sarebbe stata più che disastrosa.
    Roxy cominciò a giocherellare con i bottoni della camicia, con fare distratto. Iona la studiò di sottecchi: lo sentiva sulla pelle che qualcosa si stava agitando nella mente di lei, qualcosa che – Iona ne era ormai certo – avrebbe negato a prescindere.
    “Oppure” disse, “Potrei venire con te.” Iona sussultò così violentemente che le sue malandate costole gli lanciarono una fitta d’avvertimento. Venire con lui? Una cosa del genere non era fattibile né in cielo né in terra. Da escludere a priori.
    Guardò Roxanne accigliato, aggrottando la fronte e scostandosi da lei. Cercava di capire se ella dicesse sul serio o si trattava soltanto di una battuta. Iona sperava si trattasse del secondo caso, ma Roxy lo guardava tanto intensamente da farlo ricredere. Andare con lui. In missione.
    Sospirò sonoramente. “Stai scherzando, vero?” le chiese. Considerò mentalmente tutti i lati negativi del portare Roxy con sé. In primo luogo, lui era un assassino ricercato: avrebbero potuto rapire Roxy per arrivare a lui. Avrebbero potuto torturarla, per ripagarlo di tutte le persone che aveva ucciso per denaro. Avrebbe potuto assistere a scene raccapriccianti. Avrebbe potuto mandargli in fumo qualche copertura. O, peggio ancora, rimanere ferita. Iona sapeva utilizzare una lama sin dall’età in cui era riuscito a tenerne una tra le dita: che Roxy lo ignorasse? La guardò ancora, puntando i suoi occhi scuri in quelli color nocciola di lei. “Venire con me” ripetè. “Ricordi che lavoro faccio, Roxanne? Non sono mica un panettiere. Dimentica tutto, troveremo una soluzione al momento.” Strinse le braccia al petto come a dire che l’argomento era bello che chiuso.
    Iona Càel C. F. Diarmuind @
     
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    Ed eccola lì, la risposta contrariata. Iona era persino sobbalzato alla sua richiesta, come se avesse visto un manipolo di soldati entrare dalla porta principale. Roxanne, comunque, non si perse d'animo. Nonostante il ragazzo l'avesse scansata e si fosse chiuso in se stesso, stringendo le braccia al petto, pensava di poter riuscire a convincerlo. Si alzò, puntando un ginocchio sul lato della poltrona, e poi si mise a cavalcioni su Iona -ma senza sedersi, in modo da guardarlo direttamente negli occhi. Era divertente, perché era la stessa posizione che aveva assunto qualche sera prima, quando aveva deciso di passare al sodo. Gli prese le mani strette sulle braccia, portandosele al petto e sorridendogli, senza smettere di guardarlo con quegli occhi sbrilluccicanti.
    « Ma pensaci, Iona! » cominciò, sorridendo animatamente. Voleva convincerlo che non c'era niente di male, che non si sarebbe fatta male. O almeno sperava. « Magari puoi addestrarmi, insegnarmi come difendermi. Mi basterà sapere le basi. Poi potrò anche fungere da esca, adescare qualche pollo e portarlo dirtto alla tua lama. » gli propose, leccandosi le labbra come un gatto che aveva appena finito di bere del latte. Tutto, in lei, in quel momento aveva movenze feline: gli occhi, le sopracciglia, le gambe. Insomma, le mancava che le spuntassero le orecchie e che le si allungassero i denti. Gli lasciò le mani, senza curarsi di dove sarebbero andate a finire, poi gli si avvicinò fino a sfiorargli la punta del naso, fissandolo dritto negli occhi.
    « Non ti starò appicciata, lo prometto. » gli sussurrò, così piano che, vista la situazione, sembrava avesse fatto le fusa. Le erano tornati gli occhi da cerbiatta, che scrutavano con emozione il volto del suo interlocutore. Portò le mani sul petto di lui, carezzandolo con dolcezza, fino ad arrivare al collo. Infine, si sedette su Iona, allontanando un po' il volto da lui. Voleva disperatamente che le dicesse di sì: in questo modo, si sarebbe sentita utile in qualche modo. Era sempre stata una ragazza perlopiù indipendente -almeno nel lavoro: si era gestita parecchie situazioni che avrebbero mandato in bestia un qualsiasi militare. Roxanne non era mai stata inutile, superflua o che altro; in qualche modo, aveva sempre contato. E passare da quello a fare la "mogliettina che accudisce i cuccioli di leone" la deprimeva. Voleva partire per un'avventura, visitare posti nuovi. Con Iona, magari. E poi, aveva questa strana idea che comprendeva il provare cose nuove. In due sarebbe stato più divertente, ci scommetteva. Si morse il labbro inferiore, sempre senza staccare lo sguardo da Iona, come se in questo modo credesse di convincerlo più facilmente. Voleva almeno provarci: se poi non avesse retto la vista di sbudellamenti o se non avesse sopportato le ultime grida d'aiuto di un uomo martoriato, avrebbe lasciato perdere. E se fosse morta... beh, sarebbe successo e basta. Non era la prima che moriva in battaglia, né tantomeno l'ultima. Le mani che prima erano al collo ridiscesero con lentezza, fermandosi sui fianchi di lui. Era stanca di dover lottare contro chi amava per fargli capire che anche lei voleva vivere.
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    Lo sguardo di Iona era duro e severo, segno che era molto più che contrariato. Guardò Roxanne di sottecchi, come a voler spiare la sua espressione al secco rifiuto, ma senza darle qualche barlume di speranza. Non fece in tempo a sollevare appena gli occhi che la ragazza gli si era praticamente arrampicata sopra, quasi sedendosi su di lui, con quel luccichio negli occhi per niente rassicurante. Roxanne si portò le sue mani al petto, dicendogli, anzi, pregandolo di ripensarci poiché alla fine non era tutto perduto. Lui poteva addestrarla, insegnarle le basi dell’autodifesa oppure, poteva utilizzarla come esca, per attirare “qualche pollo alla sua lama”. A quelle ultime parole, Iona s’infuriò. “Qualche pollo alla mia lama? Cosa credi che saremmo, una coppia di vigilanti da strapazzo? No, Roxanne, togliti dalla testa queste stupide idee.”
    Quando ebbe finito di parlare, quasi immediatamente gli ritornò alla mente suo padre. Anche lui era solito rimproverarlo con quella particolare durezza ogniqualvolta Iona era nel torto, o ne aveva combinata qualcuna. Non era il tipo da picchiarlo, suo padre, quello no, ma le parole che utilizzava e il tono della sua voce facevano sì che si sentisse sempre tremendamente in colpa per ciò che aveva commesso. Si chiese ancora una volta se non stesse diventando la sua copia precisa, se non stesse crescendo seguendo le sue orme, ma ricalcandole passo passo. Sospirò quando Roxanne gli disse che non gli sarebbe stata appiccicata.
    Strattonò il polso dalla presa della ragazza e se lo portò verso il viso, prima a mantenersi la fronte con sguardo assente, poi a ravviarsi i capelli.
    Fissò finalmente il proprio sguardo in quello di Roxanne. Gli occhi dolci color nocciola di lei accoglievano nelle pupille scure il riflesso di un uomo stanco, smagrito e dannatamente arrabbiato. Quasi non si riconobbe. Gli accadeva di perdere un po’ di peso quando era troppo ferito per andare a caccia ed era costretto nel letto di qualche locanda, ma quella che dimostravano le sue guance scavate, era un tipo di magrezza differente. Era scarsità di sonno, digiuno volontario e solitudine. Voleva forse ridursi all’estremo? Diventare ancor più pallido e magro di com’era già? O peggio, diventare ancor più serio e scorbutico? Scosse impercettibilmente la testa, come a voler rimuovere quel pensiero. Forse poteva portare Roxanne con sé, dopotutto. Certo, non l’avrebbe mai esposta ai pericoli delle missioni, ma un po’ di autodifesa non doveva farle poi tanto male. Giusto per precauzione, ecco.
    Si pentì di ciò che stava per dire ancor prima che uscisse dalla sua bocca. “Va bene”. Non disse altro, sapeva che era sufficiente. Non fece raccomandazioni, non pose contratti, non fece niente di niente. Si accasciò un po’, stanco, ma senza mai staccare lo sguardo da Roxanne.
    Iona Càel C. F. Diarmuind @
     
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    Sapeva che non sarebbe finita lì. Considerava Iona un osso duro, soprattutto quando si trattava di doverlo convincere a fare qualcosa. Se si comprendeva anche lei, poi, di sicuro avrebbe rifiutato ogni cosa senza neanche ascoltare quello che gli altri avevano da dire. La guardò di sottecchi, corrucciato come sempre, mentre Roxy lo fissava con i suoi occhi luccicanti e grandi. All'improvviso, lui le chiese retoricamente se pensasse che fosse un Vigilante, poi le disse di togliersi dalla testa tutte quelle idee. La ragazza rimase a guardarlo, senza muoversi. Non poteva perdere così, doveva fare qualcosa: non sarebbe passata alla storia come "la moglie di Iona il mercenario" e nemmeno come "Roxanne, l'allevatrice di cuccioli di leone". Sospirò, unendo le mani in grembo e fissandole per un po'. Come poteva convincere Iona? Fargli capire che era tutto a posto, che non avrebbe cercato di farli ammazzare? Era pressoché impossibile. Avrebbe potuto dare la sua parola, avrebbe potuto giurare di non intromettersi, ma valeva poco. Lei non aveva mai sopportato le persone che come garanzia davano il loro onore o la loro onestà, anche perché quasi sempre li perdevano. Ritornò a fissare Iona, ancora con gli occhi che riflettevano le sue emozioni come uno specchio. Con Iona non riusciva mai a trattenersi, a fare in modo che lui non la leggesse nel pensiero. Si notava che c'era rimasta male, ma non aveva niente da promettere a Iona. Non gli avrebbe potuto dare la sicurezza che voleva. Sospirò di nuovo, facendo per alzarsi da lui, ma poi il ragazzo le disse che andava bene. L'espressione di Roxy mutò: ora, sul suo volto, c'era solo tanto stupore ed un affetto infinito. Rimase a fissarlo per un momento, come se non fosse convinta, poi gli sorrise dolcemente. Non si agitò né saltellò, si limitò ad avvicinarsi e dargli un bacio sulle labbra, mentre le mani gli carezzavano il volto coperto da un sottile strato di barba. Infine, poi, lo abbracciò, stringendolo forte a sé. Per Roxanne significavano quasi di più gli abbracci che i baci. Significava essere completamente scoperti. Se Iona avesse voluto pugnalarla, avrebbe potuto. Se avesse voluto romperle il collo, lo avrebbe fatto senza sforzo. L'abbraccio era mostrare i punti deboli, metterli allo scoperto e fidarsi ciecamente di chi si ha davanti. Gli carezzò una guancia, poi gli diede un altro piccolo bacio.
    « Grazie. » gli disse infine. Le sembrava che fossero passate ore. « Sono sicura che sarai bravissimo. » lo incitò, senza allontanarsi di neanche un centimetro. Roxanne era molto fisica nei confronti di Iona: doveva toccarlo sempre, avvertire i suoi capelli tra le dita o la sua barba pizzicarle i polpastrelli. Poi, quasi all'improvviso, si portò una mano al mento, facendo finta di pensare.
    « Sempre che l'alunna non diventi più brava del maestro. » scherzò, inarcando un sopracciglio e guardandolo con aria maliziosa. Erano giorni che non vedeva Iona, perciò si alzò in piedi ma rimase lì davanti, tendendo una mano al ragazzo. Gli sorrise furbetta, ma mettendoci dentro anche una buona dose di dolcezza.
    « Andiamo? » gli chiese solo. Iona avrebbe capito di sicuro che voleva portarselo di sopra e stare un po' con lui. Da lassù si accorse che il ragazzo era un po' smunto, forse a causa del cibo scarso e della sua assenza. Sicuramente gli avrebbe cucinato qualcosa di sostanzioso, successivamente. Non poteva vederlo così sciupato e spento.
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