Bringing daylight to the night.

1 Agosto 102 PA, Casa di Iona

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    Alla fine, non ce l’aveva fatta. Alla fine, era dovuto partire. Tutto era cominciato quasi per caso quando, durante una battuta di caccia, dopo aver spennato con cura i fagiani che aveva catturato, la sua mente era volata altrove. Precisamente, alla sua famiglia. E non quella che aveva a casa, ma quella che aveva chissà dove sparsa per le Fazioni, quella che aveva visto disperdersi a poco a poco, fino a scomparire del tutto. Si era chiesto che fine avessero fatto tutti quei suoi cugini con cui si era visto crescere. Si era chiesto cosa stessero facendo, se ogni tanto si ricordavano di lui o – persino – se fossero tutti quanti in vita. Per quanto lo riguardava, lui li pensava fin troppo spesso. Ad ogni modo, tutto era accaduto per caso. Una sera, come succedeva molto spesso, si era ritrovato nella solita taverna con i suoi soliti quattro amici a sorseggiare birra. All’improvviso, George aveva sbottato qualcosa sul vecchio Sam e su quanto questi detestasse sua moglie al punto di volerla vedere passare a miglior vita. Erano seguite le solite risate: la vicenda del vecchio Sam era ormai un classico. Poi George aveva detto qualcos'altro. “Ho sentito che voleva persino chiamare un mercenario, quello bravo dell’Isola Verde magari!” ed era scoppiato a ridere. Connor aveva riso, ma poi qualcosa in lui era scattato, come una piccola scintilla pronta a diventare un falò. Un mercenario bravo dell’isola Verde. Che fosse...? Non aveva perso tempo. Aveva messo George sotto torchio, facendogli domande su domande: cosa sapeva su costui, chi era, se era sicuro che fosse dell’Isola Verde. George ovviamente non aveva capito, ed era arrivato a chiedergli persino se non avesse anche lui in mente di uccidere qualcuno. A fine serata, Connor era eccitatissimo. Non conosceva ancora né un nome, né una precisa ubicazione, ma non aveva importanza: aveva un indizio.
    Girovagando di taverna in taverna, Connor era riuscito a racimolare qualche informazione. Non aveva ancora un nome, certo, ma qualcuno aveva deciso di cantare in cambio di qualche moneta ed ora aveva anche un possibile luogo. Non gli serviva altro: sarebbe partito immediatamente alla volta dell’Isola. Non aveva dato troppe spiegazioni ai propri genitori, dicendo loro che lo avevano invitato ad una battuta di caccia sull’Isola e che sarebbe tornato soltanto un mese dopo. Sua madre gli aveva creduto senza riserve, ma suo padre l’aveva guardato di sottecchi: che avesse capito tutto? Connor non lo sapeva, ma il mattino dopo era già tutto pronto per il viaggio. Sua madre gli aveva preparato un pranzo al sacco e, infilati alcuni indumenti e oggetti essenziali in una borsa, legata Shiva – il suo fedele cane da caccia – con una corda, Connor era partito.
    Per il viaggio, avrebbe usato un sistema di trasporto pubblico, ovvero una sorta di carro molto grande che trasportava persone da una città all’altra in cambio di poche monete. Arrivato al confine, aveva chiesto un passaggio ad un pescatore e da lì, più o meno chiedendo passaggi a chiunque, era arrivato nei pressi del Castello.
    Giunto lì, chiedendo indicazioni agli abitanti del posto, era riuscito a farsi indicare una via e, camminando sereno, aveva raggiunto una gigantesca villa al limitare nel bosco al tramonto del terzo giorno.
    La costruzione era gigantesca e, sebbene cercasse di scavare nella propria memoria, non ricordava di averla mai vista quando era bambino. Ripassò mentalmente il proprio programma. Avrebbe bussato e, a chiunque gli avesse aperto, si sarebbe presentato. Insomma, se lì vivevano dei Diarmuind o qualcuno che li conosceva, avrebbe fatto un gran passo avanti. Prese un gran respiro e bussò all’immenso portone.
    Connor Diarmuind @


    Edited by varden - 23/3/2014, 01:45
     
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    Quel giorno aveva fatto di tutto per compiacere Iona. Si era alzata la mattina presto, era andata al mercato dell'Isola Verde ed aveva fatto un po' di spesa speciale, poi aveva persino acquistato qualche fiore e l'aveva appoggiato sul cestino che si era portata dietro. Aveva preparato la colazione al ragazzo, con tanto di decorazioni, poi gliel'aveva portata a letto e l'aveva svegliato con un bacio. Si era distesa vicino a lui, osservandolo mentre mangiava, poi gli aveva fatto gli auguri quasi stritolandolo nel suo abbraccio. Avevano passato tutta la giornata a passeggiare di qua e di là, correndosi appresso e scherzando. Poi Hrones l'aveva portato via per un paio d'ore, facendogli fare tutto il giro dell'Isola Verde. In questo modo, Iona avrebbe visto paesaggi bellissimi, sconfinati e incontaminati. Quando poi era tornato, avevano mangiato un boccone ed erano filati a letto prima del previsto. In effetti, ci erano andati veramente presto. Era chiaro che nessuno dei due avesse intenzione di dormire, ma ormai non c'era anima viva ad impedirgli di aggiustarsi la giornata come volevano.
    Era il tramonto, e Roxanne giaceva tranquilla nel letto, quasi completamente scoperta. Non era tardi, appunto, eppure Iona sembrava essersi appisolato. Forse la stanchezza arretrata aveva preso possesso di lui. Roxy aveva fatto in modo di rimetterlo in sesto da quando era tornata in quella casa: le era sembrato troppo smunto, troppo spento. Con la sua presenza e qualche buon piatto caldo, però, l'aveva fatto tornare nel mondo dei vivi. La ragazza ora fissava il soffitto con gli occhi socchiusi, come se la stanchezza si stesse impossessando anche di lei. Si sistemò meglio sul letto, avvicinandosi a Iona e poggiandogli il volto sulla spalla nuda. Entrambi erano come mamma li aveva fatti, ma a nessuno dei due importava. Appoggiò una mano sul suo petto, poi sospirò e sorrise da sola. Delle volte le venivano dei sorrisi e non aveva la forza né la voglia di reprimerli: era felice, molto felice. Poi, all'improvviso, qualcuno bussò alla porta. Era un busso leggero, quindi non significava guai. Roxy spalancò gli occhi, alzandosi a sedere. Nessun rumore. Afferrò il vestitino di lino bianco e se lo infilò, senza neanche stare a pensare alle scarpe. Faceva caldo, figurarsi se aveva bisogno di coprirsi. Appuntò i capelli sulla testa con una forcina e scese le scale, facendo bene attenzione a non fare rumore: le lezioni le aveva imparate, ormai sapeva muoversi nell'ombra. Si avvertiva solo il fruscio del suo vestito. Si affacciò appena dalla finestra e vide un uomo alto, robusto e sorridente. Non sembrava minaccioso, ma non si sarebbe fatta ingannare. Agganciò la catenina e poi aprì la porta, lasciando che un fascio di luce arancione penetrasse in casa. Scrutò l'uomo, che la guardò incuriosito, poi lo fissò negli occhi.
    « Chi siete? » gli chiese. Non era per niente male, anzi: poteva decisamente considerarsi un gran bell'uomo. C'era qualcosa, però, che le sembrava famigliare. Probabilmente era il viso. Roxanne prese a fissarlo intensamente con i suoi grandi occhi scuri da cerbiatta, cercando di capire chi fosse. Somigliava a qualcuno che conosceva -la mandibola squadrata, il taglio degli occhi, il naso dritto- ma non le veniva in mente chi. Le sue labbra si schiusero, ma alla fine non disse nulla. Forse la sua altezza la inquietava un po'.
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    Connor aveva aspettato qualche minuto, ma quel tempo gli era sembrato durare un’eternità. Aveva pensato che in quella casa non ci fosse nessuno, che avesse sbagliato abitazione o, peggio, che fosse completamente fuori strada. Se così fosse stato, allora il suo viaggio era stato completamente inutile. Un’espressione delusa si dipinse sul suo volto quando, fissando la porta, questa ancora non si era aperta. Non si sarebbe dato per vinto, questo no, però... Un cigolio lo riportò alla realtà. Un chiavistello che girava, un fascio di luce sottile e denso si allungava nella stanza aldilà della porta. Connor esibì un gigantesco sorriso carico d’aspettativa, prima di notare che la porta non era che appena socchiusa. Sporgendosi in avanti, cerco di spiare oltre il massiccio strato di legno. Nulla, non riusciva a scorgere nulla. Non un volto, né un paio di occhi. Tutto ciò che riusciva effettivamente a vedere, era il sottile strato di luce che illuminava un’esigua parte di pavimento. E nient’altro. Una voce sottile, gli chiese chi fosse. Doveva essere necessariamente una donna, anche molto giovane, ma Connor non poteva saperlo con certezza.
    Si ricompose, schiarendosi la voce. “Uhm... Salve” cominciò, “Sono Connor, Connor Diarmuind. Oh, sicuramente non mi conoscete, ma...”. All’improvviso, si chiese se non avesse sbagliato a dire il proprio nome. Del resto sì, era vero: i Diarmuind erano una delle famiglie più ricche ed influenti, ma era anche vero che il loro non fosse proprio un lavoro onorevole. In ogni caso, lui era esente da ogni pratica di famiglia. Shiva uggiolò piano, stanca per il viaggio, e si accucciò ai suoi piedi. Connor le grattò appena dietro le orecchie, per poi tornare a fissare la porta. “Potrei chiedervi un po’ d’acqua per il mio cane? È molto stanca, sapete.” Chiedere dell’acqua per il proprio cane era una scusa banalissima, doveva ammetterlo. Poteva fare di meglio, insomma. Alla fine, optò per la pura e semplice verità: non aveva nulla da nascondere lui. In quel preciso momento, poteva essere scambiato per chiunque: un viandante, un cacciatore, o una persona a cui serviva l'aiuto di un mercenario. Che stupido, certamente non poteva passare per chicchessia! Aveva appena dichiarato di essere egli stesso un Diarmuind: fare due più due non era poi tanto difficile. Sospirò. “Sto cercando la famiglia Diarmuind. O anche, qualcuno che sappia qualcosa di loro, che sappia dirmi dove trovarli... Qualsiasi cosa di loro. Potete aiutarmi?” domandò.
    Connor Diarmuind @
     
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    L'uomo si accigliò, non riuscendo a vederla. Roxanne si era quasi nascosta dietro la porta, ma una parte del viso avrebbe dovuto scorgerla. Lo lasciò parlare, però, scrutandolo con attenzione. Fece praticamente tutto da solo: prima rivelò la sua identità, poi le chiese di far bere il suo cane ed infine le disse che stava cercando il resto della famiglia Diarmuind. Le domandò se sapesse qualcosa, poi aspettò, con un sorrisetto quasi imbarazzato sul volto. Anche a Roxanne spuntò un sorriso intenerito, tanto che ridacchiò: quel ragazzo sembrava completamente diverso da Iona, eppure aveva dichiarato di essere un Diarmuind. La faccenda la incuriosiva. Il fatto che avesse anche un cane, però, la turbava: se avesse voluto, avrebbe potuto aizzargliela contro e sbranarla, per poi arrivare a Iona e sgozzarlo. Ci pensò su un momento, mentre lo guardava in faccia, ma qualcosa le diceva che era una brava persona: aveva la faccia stanca di chi aveva viaggiato tanto, e la sua grossa cagna sembrava vermanente assetata. Decidendosi, Roxanne tolse il catenaccio dalla porta e l'aprì, ritorvandosi davanti colui che aveva detto di chiamarsi Connor. Era imponente: aveva le spalle larghe, mani grandi ed i capelli scompigliati, ma nello sguardo c'era tanta tenerezza. Si notava che conosceva quella casa, che era già stato lì. Lo fissò negli occhi, poi inarcò un sopracciglio. Non si era neanche preoccupata del suo essere pressoché scoperta. Aveva su il vestito di lino bianco, certo, ma era piuttosto aderente, ed i capelli legati le lasciavano scoperte le spalle ed il collo, completamente privo di gioielli. Sapeva che era indecoroso, ma finalmente poteva fregarsene.
    « Per quale motivo cercate i Diarmuind? » gli chiese, guardandolo incuriosita. Era sicura che un mercenario qualunque non le avrebbe rivelato una cosa così importante, piuttosto l'avrebbe nascosto a costo della vita. Si spostò dalla porta, facendo segno a Connor di entrare. Quando le fece, Roxanne si chiuse la porta alle spalle e poi si diresse in quella che poteva essere considerata la cucina, afferrando un piatto e riempiendolo con l'acqua che tutte le settimane Iona andava a recuperare. La poggiò a terra, piegandosi, e la cagna filò subito a bere. Roxy la guardò con soddisfazione, poi si rivolse di nuovo il suo sguardo a Connor. L'uomo si guardava attorno, sorridendo: quando vide quella bocca inarcata verso l'alto e quelle due file di denti ben fatti, un lampo guizzò nella mente della ragazza. Ecco chi le ricordava: Iona. Era sicuramente un suo parente. Si alzò in piedi, guardandolo con un sorriso quasi sorpreso. Sentiva che quell'uomo già le piaceva: le ispirava fiducia e tenerezza. E poi, era contenta che fosse venuto a trovare Iona: il suo ragazzo aveva indubbiamente bisogno di una presenza maschile. Era stato fin troppo assieme a lei, che, pur essendo la sua fidanzata, era comunque una donna. Rivedere un parente gli avrebbe fatto piacere, o almeno sperava. Non aveva ricevuto particolari restrizioni riguardo visitatori che facevano Diarmuind di cognome, quindi Roxanne pensava che Iona non avesse problemi con la sua famiglia.
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    All’improvviso la porta si aprì e, all’improvviso, la luce rosata del tramonto inondò l’interno della casa. Una giovane ragazza – più piccola di lui, sicuramente – gli apparve davanti. Era minuta, magra, con gambe sottili e pelle chiara. Indossava una sottile veste chiara, che la rendeva più candida di quanto non fosse. Lo guardava dal basso verso l’alto, con un’espressione incuriosita sul volto. Connor si accorse di stare fissandola troppo intensamente e distolse rapido lo sguardo da lei.
    Shiva ansimava violentemente, la lingua penzoloni e la coda dritta per aria. Non appena la ragazza gli aveva fatto cenno d’entrare, Connor aveva abbassato appena il capo in segno di ringraziamento e si era fatto avanti. A poco a poco, microscopici ricordi cominciarono ad invadergli la mente. Non sapeva dire se si trattasse della disposizione dei mobili, o degli immensi arazzi che campeggiavano sui muri ma, senza alcun dubbio, quella casa aveva qualcosa di famigliare. Qualcosa appartenente alla sua infanzia, qualcosa così remotamente nascosta nel suo inconscio. Connor si guardò attorno con gli occhi del bambino che era stato e, immediatamente, tutto gli venne alla mente. Non riusciva ancora a ricordare di quale dei suoi parenti fosse quella tutto fuorché modesta abitazione, ma di una cosa era certo: apparteneva ad un Diarmuind.
    Nel frattempo, la ragazza aveva portato una ciotola colma d’acqua per Shiva, che beveva avidamente. La voce di lei lo riportò alla realtà. Lei gli aveva chiesto perché cercasse proprio i Diarmuind. Connor ci pensò per un breve istante, un piccolo barlume di titubanza che ancora si affacciava nella sua mente, ma poi decise di dirle la verità. “Beh, ecco” cominciò, “Sono la mia famiglia.” Non appena ebbe pronunciato quell’ultima parola, un fiume di nostalgia e contentezza sfociò dentro di lui. Si accorse d’averla pronunciata con troppa enfasi, ma non gli importò. Probabilmente i suoi occhi si erano illuminati come due torce nella notte e, lo ammetteva, doveva apparire un esaltato. Ma ancora una volta non ci fece caso. Guardò Shiva, che gli leccò una mano scodinzolando felice: che percepisse lo stato d’animo del suo padrone? Connor non poteva più resistere, doveva chiederlo. Chiedere se in quella casa avrebbe trovato la sua famiglia, se ci sarebbe stato qualcuno pronto ad accoglierlo. “Ditemi” decise infine, “Abita qualcuno di loro in questa casa? Non saprei, Lonan? John? Iona?”. Connor si accorse di quanto cariche d’aspettativa fossero le sue domande. Temeva la delusione più d’ogni altra cosa ma, del resto, aveva ben poco da perdere. Certo, aveva affrontato un viaggio non proprio facile e nemmeno poco dispendioso, ma sperava vivamente che ne fosse valsa la pena. Più di ogni altra cosa, però, sperava di poter portare qualcosa di concreto a suo padre. Sapeva bene di non essere riuscito a convincerlo con la storia della battuta di caccia, ma almeno questi non gli aveva chiesto troppe spiegazioni. Avrebbe tanto voluto vedere la sua faccia alla notizia di qualche Diarmuind che lo ricordava ancora, nonostante tutto quel tempo.
    Connor Diarmuind @
     
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    Il ragazzo le rispose che i Diarmuind erano la sua famiglia, per quello li cercava. L'espressione incuriosita di Roxanne si trasformò in una un po' esitante, come se non credesse totalmente a ciò che le aveva detto. Si notava che conosceva quella casa, ma perché stava cercando la sua famiglia? Incrociò le braccia al petto, per niente convinta, puntando lo sguardo in quello di lui. Connor sembrava esaltato dalla situazione, come se avesse trovato una grotta piena d'oro. Aveva notato anche il suo sguardo, che si era soffermato troppo su di lei, ma aveva deciso di non farci caso. Era chiaro che un ragazzo facesse caso a certe cose, visto e considerato che anche lei non è che si presentasse come una donnina semplice ed innocente. Indietreggiò a poco a poco fino a quando non toccò il bancone con i reni. Sapeva orientarsi con le mani, perciò se l'uomo l'avesse minacciata lei avrebbe preso un coltello e gliel'avrebbe tirato dritto al volto, in modo da ferirlo per bene. Non sapeva esattamente come avrebbe fatto, ma era sicura di poterci riuscire. La sua mossa, comunque, non destò sospetti, visto che sembrò solo che lei si fosse appoggiata. E così fece, senza staccare gli occhi dall'uomo. Quest'ultimo, poi, le chiese se lì abitasse qualche Diarmuind; le fece anche un elenco, come se desse per scontato che si trovassero lì. Nel farlo, nominò anche il suo ragazzo. Roxanne ci pensò un po' su: non le sembrava il caso di svegliare Iona, che sicuramente stava dormendo benissimo senza i suoi piedi gelati che gli si attorcigliavano attorno alle gambe. Decise che se la sarebbe sbrigata da sola. Non gli sembrava minaccioso, e se fossero arrivati a tanto non le ci sarebbe voluto molto a gridare per chiamare aiuto. Assottigliò lo sguardo e lo fissò intensamente, come se volesse un po' flirtare.
    « Non sapete dove alloggia la vostra famiglia, ma siete venuto fin qui per cercarla. Questa villa è pittosto isolata. Vi ha mandato qualcuno? » gli chiese, senza ovviamente rispondere alla sua domanda. Temeva che rivelare la posizione di Iona avrebbe potuto causare qualche problema. Non che la gente non sapesse che nella villa dei Diarmuind abitava un mercenario, solo che la maggior parte temevano Hrones e quindi non si avvicinavano. Che, ovviamente, in quel momento non c'era. Chissà dov'era quell'enorme lucertolone. Lo sguardo di Roxy non si staccava mai da quello dell'uomo. Odiava dirlo davanti a Iona, ma con i ragazzi ci sapeva fare. Il fatto che fosse anche piuttosto carina aiutava, certo. La sua faccia non sembrava mai troppo innocente né troppo sfacciata, il che era perfetto. Era un giusto mix, quello che cercavano tutti. Il vestito di lino, poi, si adattava alle sue curve -pressoché inesistenti, ma aveva comunque il taglio di una ragazza. Inarcò un sopracciglio, osservando Connor ed aspettando una sua risposta.
    « Scusatemi se vi faccio tante domande, ma sono una donna ed ho paura di cacciarmi in guai molto più grandi di me. » buttò lì, sorridendogli maliziosamente. Era chiaro che per "guai più grandi di me" intedesse uomini come lui, ma poteva anche non essere proprio lampante. Sperò solo che accettasse le sue frecciatine, in modo da avere prima le informazioni. Sapeva che flirtare con l'obbiettivo era un modo veloce ed indolore per ottenere ciò che le serviva, ma Iona non voleva mai farla andare avanti. Aveva trovato l'occasione giusta. Roxanne voleva cacciarsi nei guai, effettivamente.
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    Non era difficile comprendere il motivo per cui ella non si fidava di lui. Innanzitutto, lo aveva capito subito. C’era qualcosa nel suo sguardo, come un’ombra, un velo opaco, che le impediva di guardarlo con sincerità. Connor la capiva, del resto. Anzi, lo meravigliava vedere come una donna così giovane fosse così avveduta. Si complimentò mentalmente con lei. Tuttavia, sarebbe stato pronto a difendersi. Non le avrebbe fatto del male, non l’avrebbe ferita ma, se fosse stato necessario, con la mole che si ritrovava l’avrebbe facilmente sottomessa. Vide la ragazza appoggiarsi al bancone con fare leggermente sospetto. La guardò intensamente per un istante, socchiudendo gli occhi e aggrottando le sopracciglia. Poi si riscosse, ammettendo che quell’atteggiamento avrebbe potuto farlo sembrare ancor meno affidabile. Shiva guaì piano, e strattonò la corda a cui era legata. Connor non la biasimava: era così abituata ad essere completamente libera che quel contatto forzato la innervosiva. Sollevò il capo, fissandolo con i suoi immensi occhi scuri, carichi d’aspettativa. “Mi spiace” le sussurrò Connor, carezzandola dietro le orecchie, “Devi resistere ancora un po’”.
    Quando spostò lo sguardo nuovamente sulla ragazza, scoprì che questa lo stava scrutando con attenzione. In quel momento, Connor l’avrebbe senz’altro paragonata ad una gatta. Una di quelle furbe, che riescono sempre nella caccia e poi tornano tutte impettite tra le braccia dei padroni. Connor si sentiva oggetto di quella sua immaginaria caccia. Sorrise – anzi, più che altro, ghignò - debolmente a quel pensiero: non era forse lui il cacciatore? Non aveva dubbi: a quella giovane piaceva giocare con il fuoco.
    All’improvviso, ella gli chiese se lo avesse mandato qualcuno. Considerò che Connor non sapeva dove la sua famiglia potesse abitare, eppure era andato proprio lì a cercarla. Connor la guardò per un secondo, poi scosse la testa. “In verità, non saprei come rispondervi” rise. “Se siete la persona che credo voi siate, saprete bene che è un mercenario è un qualcosa di nascosto in piena vista”. Non immaginava pienamente chi quella giovane potesse essere, ma di certo qualche idea gli era sorta in mente. Troppo fugace, troppo furtiva, domande troppo pertinenti. Ne aveva conosciute di donne furbe ed in gamba, ma lei sembrava batterle tutte. Cosa gli chiariva tutto ciò? Doveva avere a che fare con gente abituata a celarsi, a vivere in disparte, a non essere al centro dell’attenzione e, soprattutto, a nascondere qualcosa. E quella ragazza lì, quella minuta, furba volpe, qualcosa la nascondeva di sicuro. Ma Connor decise di continuare il suo gioco. “Non ne sarei poi così sicuro ma sì, il vento potrebbe avermi suggerito qualcosa”. Rise, incrociando le braccia al petto.
    La giovane si scusò per avergli fatto troppe domande, affermando che temeva di cacciarsi in guai più grossi di lei. Detto ciò lo guardo, sorridendogli maliziosa. Connor rise a sua volta, buttando il capo all’indietro. Era ben chiaro a cosa alludesse. “Oh, sarò anche un orso” cominciò, “Ma amo la frutta e la mia pelliccia è morbida e calda. Vorreste provare?” domandò a sua volta con una nota di malizia nella voce. Quel gioco cominciava davvero a divertirlo. Purtroppo però, rischiava di perdere di vista il proprio proposito. Sospirò, schiarendosi la voce. “Dunque, ditemi: vi sono altri orsi in questa caverna o mi tocca cercare altrove?”.
    Connor Diarmuind @
     
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    Roxanne ascoltava attentamente il ragazzo, ma qualcosa la distrasse un poco: aveva sentito dei rumori al piano superiore. Sperava che fosse solo Iona che si rigirava nel letto e non lui che si armava fino ai denti per venire a soccorrerla. E sperava inoltre che non fossero dei complici di Connor. Non le sembrava possibile, però: si sarebbero dovuti arrampicare sulla casa, ed in qualche modo lei li avrebbe sentiti. Mantenne l'espressione maliziosetta sul viso per coprire la distrazione, ma si lasciò sfuggire qualche frase. Probabilmente non era importante, ma Iona le aveva detto di prestare molta attenzione all'avversario per fare in modo di prevedere le sue mosse, o almeno cercare di farlo. Aveva sentito bene, però, tutte le sue provocazioni e la sua breve ma importante frase: lui credeva che lei fosse qualcuno in particolare. Così, Roxanne inarcò un sopracciglio, stringendo le braccia conserte al petto e facendo dei piccoli passi verso l'omone. Non la spaventava neanche un po', ad essere sinceri: forse perché aveva la faccia da bravo ragazzo, ed il modo in cui si muoveva gli ricordava tutto fuorché un criminale. Sapeva, però, di non doversi fidare di nessuno, meno che mai delle persone che sembravano tutt'altro. In sostanza, sarebbe dovuta stare attenta anche ai predicatori ed ai panettieri. Persino ai militari, ma quelli lei li conosceva bene. Quando gliel'aveva ricordato, a Iona era venuto un brivido.
    « Perché, chi credete che io sia? » gli chiese. Sperava di non sentirsi dire "una stupenda principessa", o avrebbe dato di matto. Odiava quando gli uomini, per rimorchiarla, usavano degli stereotipi. Non tutte le donne erano principesse, così come non tutte le principesse erano delle vere donne. All'improvviso, poi, di nuovo quei rumori: Roxanne riuscì a non distogliere gli occhi da lui ed a mantenere l'espressione intrigata, come se non avesse sentito nulla. Probabilmente Iona si era svegliato, era l'unica spiegazione. Lui non era un tipo troppo delicato, quindi neanche il suo risveglio era mai lento e regolare. Era possibile che, non avendola sentita vicino a sé, si fosse preoccupato. Approfittò della possibile comparsa di Iona per rivelare qualcosa all'uomo davanti a lei, che aspettava con impazienza -così come il suo cane.
    « In questa Fazione siamo pieni di orsi. Tutti quanti ne hanno uno in famiglia, ed io non sono di certo un'eccezione. » gli rispose, inarcando un sopracciglio e guardandolo come a dire "non te lo dirò mai se ho un uomo o no". Perché, comunque, credeva che Iona sarebbe sceso a momenti. Tanto valeva cominciare a smettere di fare la piaciona e trattenersi un minimo. Si era divertita abbastanza.
    Roxanne Mumford @
     
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    cavaliere di drago • He’s not a tame lion.
    Iona aveva aperto gli occhi non appena si era sentito stranamente solo. Aveva cercato – tastando il letto con le mani – il corpo di Roxanne, inutilmente. Ella non c’era. Prima si era rigirato su un fianco, sbadigliando. Poi si era seduto sul letto, grattandosi la testa svogliatamente e cercando di capire che ore fossero. Un piccolo mormorio gli fece voltare la testa di scatto. Doveva essere il tramonto, dato che una tenue luce dorata filtrava appena nella stanza, ridisegnando il profilo di ogni singolo oggetto presente. Era un mormorio leggero, come se qualcuno stesse pregando. Iona si drizzò in avanti, teso come una corda di violino. Voltò la testa un paio di volte prima di capire da dove venisse. Saltò in piedi, incurante del rumore che avrebbe fatto. I suoi piedi produssero una serie di tonfi sordi, mentre camminava per la stanza, ora infilandosi i pantaloni, ora abbottonandosi la camicia. Pensò di non infilarsi gli stivali per far prima, ma il debole scintillio della lama nascosta al loro interno lo costrinse a ripensarci. Roxanne non c'era. E qualcosa gli suggerì che era meglio essere prudenti in ogni caso. Scivolò fuori dalla stanza senza far alcun rumore. Man mano che si muoveva per il corridoio, il vociare si faceva leggermente più distinto, come in una bolla. Ovattato e poco chiaro, ma più nitido man mano che si avvicinava al limitare.
    Si affacciò sulla scalinata, senza sporgersi troppo. La prima cosa che vide fu la figura di Roxanne, minuta e sottile, avvolta in un leggero vestito bianco. E poi lui. Il primo istinto fu di buttarglisi addosso e ringhiare come una bestia. Si trattenne nei limiti del possibile. Alla fine, si acquattò. Voleva vedere cosa stava accadendo: non gli sembrava che quell'uomo fosse in procinto di violentare Roxanne, ma tanto valeva stare sull'attenti. Poi notò il cane. O meglio, più che un cane pareva un incrocio tra un orso bruno e un lupo. Era letteralmente enorme e spaventoso, sebbene - come notò Iona - fosse legato. Per quanto riguardava l'uomo, poco lo differenziava dal cane. Era alto, molto alto, e possente. Doveva avere delle ossa robustissime, pensò Iona. Il suo abbigliamento gli suggerì essenzialmente due cose: la prima era che venisse dal Nord e non fosse un isolano, la seconda che doveva essere una di quelle persone che lavorano in solitario, tipo nei boschi o comunque... Non lo pensò. Non pensò che fosse un mercenario. L'esperienza gli aveva insengato a riconoscerne uno ad impronta, e quell'uomo non lo era. Qualcosa, però, gli parve famigliare. Il volto squadrato, le labbra sottili, il naso lungo e i capelli scuri. Se solo fosse riuscito a ricordare cosa... Era il momento di uscire allo scoperto. Camminò con lentezza, fino a raggiungere la scalinata. "Che succede qui?" tuonò, ben certo d'essere ascoltato.
    Iona Càel C. F. Diarmuind @
     
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    Come previsto, Iona comparve davanti alle scale -vestito, fortunatamente- con la sua solita espressione corrucciata, come se si stesse effettivamente chiedendo che cosa stesse succedendo. Roxanne si accorse di conoscere ormai Iona quando lui palesò i pensieri di lei, domandando ad alta voce che cosa stava succedendo. Sorrise al pensiero di aver imparato così tanto del suo ragazzo: ormai sapeva capire che cosa pensava solo osservando le sue espressioni. Trasformò il sorriso trionfante in uno dolce, andandogli incontro ed afferrandogli il braccio con entrambe le mani. Gli occhi di lui erano attenti, ma si vedeva che neanche Iona era preoccupato. Strinse appena la presa, ricordandosi in quel momento che era ancora il suo compleanno, fino a prova contraria. Connor -che Roxanne aveva ormai deciso essere un suo parente- gli aveva fatto una sorpresa senza neanche saperlo, probabilmente. Considerando che non ricordava neanche chi abitasse lì, probabilmente non aveva a mente i compleanni. Guardò attentamente Iona, poi si voltò verso l'altro uomo e lo indicò, alzando un braccio.
    « Iona, lui è Connor Diarmuind. » si limitò a dire. Credeva che, se il suo ragazzo avesse avuto un parente di nome Connor corrispondente alla fisicità dell'uomo che teneva il cane per il guinzaglio, allora altre parole sarebbero state superflue. Conosceva uno Iona solo, abbandonato e ferito. Lei, in qualche modo, era stata l'unica in grado di prendersi cura di lui -senza contare Hrones. L'amore per Iona, quindi, era arrivato alle stelle, vivendo praticamente in simbiosi. Sapere che avrebbe potuto ritrovare la sua famiglia -o almeno una parte di essa- la rendeva felice. Ogni cosa che facesse sentire bene Iona, a lei piaceva; ciò che gli causava turbamenti, invece, di riflesso non le andava a genio. Ormai era così: era abituata a vivere con lui ogni attimo. Tranne quando se ne andava e non tornava per giorni, anche se con il suo addestramento quella parte stava lentamente cambiando. Spesso poteva affiancarlo in qualche missione, e si era diverita più volte a ragionare assieme a lui, mettendo su un piano.
    Allungò un braccio ed andò ad infilare la mano destra tra i capelli di Iona, sulla nuca. Sapeva quanto a lui piacesse, ma soprattutto l'aveva fatto per avere qualcosa a cui aggrapparsi. Si resse a lui, quindi, appoggiandosi anche al suo petto, mettendosi poi in punta di piedi e baciandogli la guancia.
    « Tanti auguri, amore mio. » gli sussurrò con voce dolce.
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    Connor sorrise a quell’affermazione. “In questa fazione siamo pieni di orsi” gli aveva detto lei, “Tutti quanti ne hanno uno in famiglia”. Connor pensò a lungo, meditando attentamente, valutando le parole. Un orso. E gli orsi non sono cani, né draghi. Voleva forse intendere qualcosa di preciso? Qualcosa che al momento a Connor sfuggiva? Aggrottò leggermente le sopracciglia, assumendo un’aria pensosa. Non aveva ancora ben capito se la ragazza desiderasse semplicemente prenderlo per i fondelli o si divertiva a giocare con lui, proponendogli indovinelli. Qualunque fosse la ragione, Connor si disse che non l’avrebbe retto a lungo. Solitamente era quel tipo di persona estremamente paziente, dote necessaria per essere un buon cacciatore. Non si possono catturare prede se non si ha la pazienza necessaria per attenderle dritte nella propria trappola. Ma se c’era una cosa che lo infastidiva e, anzi, lo innervosiva parecchio, era sentirsi preso in giro. E cio, di certo, prescindeva dalla caccia: non ricordava ci fossero animali amanti delle burle. Decise di dare un’ultima opportunità alla ragazza. E con ultima opportunità, non significava che le avrebbe fatto qualcosa di male, certo che no. Ma forse l’avrebbe giusto terrorizzata un po’. Insomma, era pur sempre un uomo di una certa stazza. Fare un po’ più il serio avrebbe prodotto i suoi effetti. Ma non in quel momento. Prima voleva darle un’altra chance. Respirò a fondo, prima di fissare il proprio sguardo in quello di lei. « Oh, non lo metto in dubbio. Ma, lasciando perdere gli orsi... ». Non fece in tempo a finire la frase, che lo sguardo della ragazza si spostò rapidamente oltre.
    Connor la seguì con gli occhi. Si ritrovò a fissare la lunga e imponente scalinata di legno scuro, mentre una figura, nella penombra, a poco a poco si avvicinava a loro. Connor non si rese subito conto di chi potesse avere davanti, ma notava la fermezza con cui la figura si avvicinava. Un attimo di insicurezza lo colse. Poi riconobbe, o meglio, notò che si trattava di un uomo. Alto quanto lui, stessa corporatura, all’incirca. Stessi capelli, viso un po’ squadrato, occhi sottili. “Eccolo, il mio drago” pensò. Solo alla fine, quando questi si fu fermato praticamente dinanzi a lui, lo capì. Non lasciò che la ragazza parlasse, quando questi le chiese cosa stesse accadendo. L’emozione lo colse, costringendolo quasi a biascicare: « ... Iona! ».
    Connor Diarmuind @
     
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