There is no turning back now that you’ve woken up the demon in me

3 marzo 102 PA, Confine tra Giustizia ed Indipendenza, pomeriggio inoltrato

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    Vigilante • My flesh will feed the demon.
    Pattugliare il confine in solitaria era un'attività tipica per la Von Row. Solitamente, i Vigilanti si muovevano a gruppi di almeno tre o quattro persone, giusto per stare sicuri di poter controllare meglio ciò che c'era da controllare, e soprattutto per potersi dare man forte a vicenda in caso di attacco da parte dei Vigilanti delle altre fazioni. Zaira, però, era atipica in tutto e per tutto, e più di una volta si era ritrovata ad allontanarsi dal gruppo per svolgere le sue ronde da sola, con la sola compagnia della sua fidatissima Denna; aveva sempre avuto tale vizio, ma da quando le avevano ucciso Tommen, la cosa si era accentuata.
    Quel giorno di inizio marzo, in cui ancora il freddo dell'inverno riusciva ad entrarti nelle ossa nonostante cominciassero a spuntare i primi germogli e a vedersi i primi raggi di Sole fare capolino da dietro una nuvola, Zaira si era allontanata dalla base di Giustizia subito dopo il pranzo; aveva avuto una lite con alcuni suoi compagni e aveva sentito il bisogno di allontanarsi, per evitare di creare inutili disordini all'interno della base stessa. Denna le gironzolava intorno, allontanandosi di tanto in tanto di qualche passo, precedendola, come se stesse seguendo il silenzioso ordine di assicurarsi che la sua padrona non corresse alcun tipo di pericolo: andava avanti, girava intorno agli alberi e spariva tra i cespugli con una rapidità inaudita, e poi, veloce come era sparita, tornava di nuovo a fare capolino e a trotterellare intorno alla ragazza. Zaira la lasciava fare perché sapeva che la lupa era per lei una forma di sicurezza aggiuntiva, un modo per prepararsi ad ogni eventuale tipo di attacco, nonostante lei non amasse contare su di nessuno eccetto se stessa. Ma i confini tra le Fazioni erano diventati sempre più pericolosi col passare del tempo, per altro la bella stagione non faceva che risvegliare gli "animali" dal loro semi-letargo invernale: non che i Vigilanti di qualsiasi Fazione non fossero attivi nel periodo invernale, ma il freddo tendeva comunque ad acquietarli un po', com'era logico che fosse. Ma bastava un po' di Sole e qualche foglia sugli alberi spogli a far rinvigorire i giovani combattenti del confine, perciò era poco indicato -specialmente per una ragazza all'apparenza fragile ed indifesa come lei- passeggiare tra i boschi al confine tra Giustizia ed Indipendenza, come Zaira stava facendo.
    All'apparenza, però, nulla scuoteva il confine tra le due fazioni: Zaira non aveva incontrato anima viva eccetto qualche animale, si era presa anche un po' di tempo per rilassarsi in riva al primo ruscello trovato, ma poi il freddo e il buio che già cominciava a calare l'avevano costretta a tornare indietro, a riavviarsi verso la base di Giustizia. Lei e Denna avevano ripercorso metà del tragitto nella più completa tranquillità, poi, ad un tratto, la lupa si era allontanata più di quanto avesse fatto mai in quella giornata; a Zaira non venne il dubbio che l'animale avesse potuto fiutare qualche genere di pericolo, motivo per cui non si era neanche sforzata nel richiamarla, soprattutto perché sapeva che sarebbe stato inutile: Denna era capace di stare lontana anche intere giornate, a nulla sarebbe servito un semplice richiamo in quell'occasione. Zaira aveva quindi continuato a camminare tranquillamente come aveva fatto fino a quel momento, ma ad un tratto percepì un rumore familiare, di ramoscelli che venivano troncati sotto la pressione di qualcosa. O di qualcuno. La ragazza prese a guardarsi intorno con circospezione, ogni senso all'erta, cercando di tendere l'orecchio quanto più poteva per capire da quale direzione giungessero la serie di suoni che percepiva: rami che si troncavano, foglie mosse e versi quasi animaleschi, ma che non riusciva a ricollegare a nessuna bestia conosciuta. Ad un tratto, poi, scorse con la coda del'occhio qualcosa muoversi alla sua sinistra, ma non fece in tempo a voltarsi per capire di cosa si trattasse che Zaira si ritrovò sbattuta a terra con una violenza inaudita. La cosa, pur avendola presa alla sprovvista, non la paralizzò in alcun modo: era nata per affrontare quel tipo di situazioni, in fondo. Si alzò agilmente, percependo un giramento di testa repentino, e una volta ritrovato l'equilibrio, la ragazza mise a fuoco la figura di un essere umano dalle dimensioni che poco avevano a che fare con quelle dei comuni mortali, il quale la stava caricando di nuovo ed era ormai a pochi metri da lei. Era grosso, ma terribilmente veloce a quanto pareva. -Merda..- sibilò a denti stretti lei e cominciando poi a correre contro di lui. Nonostante stesse per scontrarsi con una montagna, la cosa non la demoralizzava affatto e, anzi, si sentì sotto il pieno controllo di una scarica di adrenalina, motivo per cui doveva sfruttare la situazione e contrattaccare finché si sentiva così terribilmente carica.
    Zaira Von Row @


    Edited by Ðräcärys¸ - 27/11/2013, 17:18
     
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    Quella sera, Dastan aveva avuto l'impulso di uscirsene in solitaria. Peccato che però, in quanto capo della Base di Indipendenza, era stato seguito da una frotta di ragazzini curiosi di vederlo in azione. Dastan aveva sbuffato, appoggiandosi il fucile in spalla e cominciando a camminare più velocemente in modo da distanziarsi da loro. Pur facendo ancora abbastanza freddo, il ragazzo aveva deciso di vestirsi con un paio di jeans ed una maglia a mezze maniche, in barba all'influenza che sicuramente gli sarebbe venuta. Contando poi che erano in mezzo ai boschi e che il sole stava già scomparendo all'orizzonte, probabilmente non era stata proprio una furbata. Più cercava di passare avanti, e più si ritrovava dietro dei sedicenni fomentati che non vedevano l'ora di prendere a bastonate qualcuno. All'improvviso, L'Orso del Nord si voltò verso di loro, fissandoli negli occhi uno per uno. Quelli si impaurirono, rimanendo immobili davanti a lui. Mosse la mano che imbracciava il fucile, puntandolo a mezz'aria verso il punto in cui erano venuti. Il suo sguardo truce metteva inquietudine.
    « Filate via. » gli mormorò. Fu poco più di un sibilo, ma tutti i ragazzetti girarono i tacchi e cominciarono a correre nella direzione opposta rispetto a quella attuale. Dastan si raddrizzò, osservando soddisfatto le gambe dei giovani Vigilanti confondersi con l'erba alta. Portò di nuovo il fucile sulla spalla, camminando con tranquillità. Gli faceva bene stare da solo: poteva riordinare i pensieri e calmarsi. Non che servisse a molto, visto che Dastan si scaldava di nuovo con un attimo, ma perlomeno poteva dire di averci provato. Mentre affondava gli stivali nell'erba umida, un rumore lontano lo incuriosì. Aguzzò la vista, facendo scattare la testa verso l'alto, in modo da vedere meglio, ma non sembrava esserci molto. Si avvicinò il fucile al petto, riparandosi dietro ad un tronco d'albero. Poco lontano da lui, seminascosta da un abete piuttosto basso, c'era una donna. Aveva i capelli rossi come il sangue e vicino a lei c'era un lupo, che annusava tranquillamente di qua e di là. La conosceva, quella: era della Base di Giustizia. Sostanzialmente, una nemica. Era l'occasione perfetta per sfogarsi un po': anche lei sembrava essere sola, e Dastan avrebbe approfittato di una situazione del genere. Sistemò il fucile alla cintura, poi aspettò, studiando la situazione. La ragazza sembrava parlare con il lupo, che però la distanziò di un bel po'. Era il momento giusto. I piedi di Dastan spuntarono fuori dal suo nascondiglio, dandogli una potente spinta: avrebbe caricato la rossa. Percorse la distanza che li separava in qualche secondo, senza darle neanche il tempo di reagire. Adorava sentire il vento che gli sferzava le orecchie a causa della velocità e poi l'impatto violento con il corpo di lei. La spalla destra di Dastan andò a sollevare la ragazza, che fu spinta via a qualche metro di distanza. Il colpo le tolse il fiato per un attimo -e probabilmente anche la vista- ma Dastan era sicuro che si sarebbe ripresa in fretta. Come a confermare la sua tesi, la rossa tornò in piedi con una mossa agile, fronteggiandolo. Notò come lo squadrò da capo a piedi, evidentemente scoraggiata dalla sua stazza. Nonostante tutto, però, gli si lanciò contro, saltandogli addosso ed assicurandosi saldamente alla sua schiena. Gli sembrava un ragno fastidioso. Cercò di tirarle la maglia verso il basso, ma quella gli si strappò tra le dita. Un ringhio emerse dal profondo della gola di Dastan, che cercava di togliersi la tipa di dosso a tutti i costi. Poi, all'improvviso, avvertì il metallo freddo del suo coltellino sulla pelle: glielo stava sfilando dai passanti dei pantaloni.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Cosa credeva di fare lanciandoglisi contro, neanche Zaira stessa l'aveva ben capito. Stava per trasformarsi nell'onda che con forza si infrange contro lo scoglio, vista la netta differenza di dimensioni tra lei e lo sconosciuto che l'aveva attaccata. Ebbe poco tempo per vederlo in volto, ma tanto le basto per capire di non aver mai visto quell'uomo prima di allora: una persona di quelle dimensioni, con lo sguardo gelido e incattivito la si ricordava di sicuro, ma Zaira non aveva alcun tipo di ricordo a riguardo, motivo per cui -successivamente, visto che al momento la sua testa era impegnata a pensare a come sfuggire quella situazione e punire la sfrontatezza di quell'uomo- si ritrovò a pensare che almeno lui doveva averla già vista da qualche parte, in azione, quindi l'aveva collegata ai Vigilanti di Giustizia e di conseguenza l'aveva attaccata, altrimenti non si spiegava quella furia improvvisa. Non era nell'indole dei Vigilanti -almeno di quelli non eccessivamente esaltati- caricare uno sconosciuto, il quale sarebbe potuto essere una qualunque persona intenta a fare una passeggiata tra i boschi. Certo, si sapeva che passeggiare al confine non era cosa consigliata, troppo alto il rischio di incontrare i più folli tra i Vigilanti che si divertivano a fare a pugni con chiunque gli capitasse a tiro. Lei non si sarebbe mai permessa di farlo, per esempio, attaccava solo quando sapeva per certo di trovarsi di fronte ad un Vigilante della Fazione apposta, oppure quando doveva difendersi, come in quel caso.
    Quando Zaira si trovò ad un metro circa di distanza da lui, decise di saltargli addosso; in realtà non ci pensò molto su, il suo corpo scattò come una molla ed il tutto senza che lei potesse essere in grado di controllarlo, forse perché inconsciamente sapeva di non poter fare molto altro. Zaira affondò prontamente le unghie nella carne delle spalle del suo avversario, come a volersi assicurare la presa su di lui, quindi rimase per un attimo appesa lì, immobile, limitandosi ad affondare il più possibile le sue unghie, intenta a pensare a come agire adesso, prima che quello riuscisse a liberarsi del suo peso. L'uomo ringhiava come fosse stato un animale inferocito, un tipo di atteggiamento tipico dei Vigilanti più esaltati, il che portò Zaira ad arrabbiarsi ulteriormente all'idea di essere stata presa di mira da un folle che non aveva niente di meglio da fare che attaccare gli sconosciuti. Notò il braccio di lui salire per tentare di afferrarla e togliersela di torno, ma Zaira si aggrappò con ancor più forza a lui, tentando addirittura di mordere il suddetto braccio ma senza riuscire ad arrivarci, ma, fortunatamente, ad aiutarla ci si mise la maglia che si strappò tra le dita dell'uomo.
    All'improvviso, poi, quando ormai aveva perso la speranza di trovare un modo per ferirlo, Zaira notò qualcosa di molto simile ad un coltellino da tasca infilato tra i passanti dei pantaloni. Rapida come sempre si dimostrava in quelle situazioni, Zaira lo sfilò dai passanti e, senza pensarci due volte, affondò. A giudicare dalle dimensioni, quel coltello era in grado di ferire mortalmente solo se usato nel punto giusto, ma comunque era un'arma a portata di mano -visto che Zaira nascondeva il suo, di coltello, nello stivale- e quindi era un punto a suo favore. L'uomo cacciò un urlo, quindi Zaira affondò un altro colpo e poi approfittò del momento per scendere a terra. Senza perder tempo, lanciò un acuto fischio per richiamare Denna, poi sferrò un calcio all'altezza dello stomaco del suo avversario, un gesto che non lo fece crollare a terra -c'era troppo squilibrio tra la forza del calcio e la stazza di lui- ma visto che quello sembrava ancora essere concentrato sul dolore dovuto alle ferite inflitte dal pugnale, quel calcio lo fece barcollare un po', il tempo giusto per permettere a Zaira di indietreggiare un po' e studiare il suo avversario, in attesa della prossima mossa. Avrebbe voluto chiederegli chi diavolo era e cosa voleva da lei, ma il fiato le serviva per combattere e scattare prontamente per difendersi, non poteva sprecarlo, e comunque aveva come il sentore che l'uomo non le avrebbe dato risposta alcuna.
    Zaira Von Row @


    Edited by Ðräcärys¸ - 27/11/2013, 17:19
     
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    La lama fredda del coltellino gli scivolò sulla pelle. Dastan si contorceva e si muoveva con velocità, in modo da far cadere la ragazza. Quella, però, era ben salda a lui. Sapeva che stava per succedere qualcosa di brutto. Solitamente non lasciava il coltellino lì, ma quella sera aveva il fucile, quindi aveva pensato di poter procedere senza alcun problema. Quel tipo di arma la conservava nelle tasche delle giacche, o magari incastrata nelle maniche. Si era lasciato sfuggire un dettaglio fondamentale, quindi incassò i colpi, gemendo come un vero e proprio orso. La lama aveva tagliato la pelle con molta difficoltà, ma alla fine c'era riuscita: qualche goccia di sangue cominciò a stillare dalle ferite che quella continuava ad inferirgli, rendendolo nervoso ed ancora più arrabbiato. Incassò il calcio senza fare neanche una smorfia, indietreggiando appena, poi riuscì ad afferrare le maniche della maglia della ragazza ed a spingerla in avanti. Quella schizzò dal lato opposto, fronteggiandolo ed ondeggiando. Dastan era diventato una bestia: gli occhi sgranati, i denti stretti e di muscoli gonfi per la rabbia lo rendevano quasi irriconoscibile. La rossa sembrava squadrarlo per capire come agire, ma Dastan non le permise di pensare. La andò di nuovo incontro, stavolta allungando un braccio e strattonandola di lato. Voleva tentare di farla cadere, così le si sarebbe seduto sopra e quella non si sarebbe più rialzata. Continuò a tirare, cercando di spingerla verso terra. Praticamente afferrò qualsiasi cosa, anche ciò che non avrebbe dovuto toccare in quanto uomo. Come se gliene importasse qualcosa, poi: doveva farla caracollare e poi picchiarla, non sposarsela. Alla fine, le mise le braccia attorno ai fianchi, caricandola e cominciando a correre. Aveva in mente di sbatterla contro il tronco di un albero, in modo almeno da toglierle il fiato per qualche momento, così avrebbe potuto sferrarle un colpo ben assestato e farla svenire. Si diresse quindi verso l'abete basso che prima l'aveva nascosta alla sua vista. Le braccia possenti stringevano l'esile corpo della rossa come se volesse inglobarla a sé, poi le sciolse quando arrivò al tronco. Il suo corpo si schiacciò contro quello della ragazza, diventando quasi un tutt'uno. Avvertì lei gemere di dolore, così ringhio di soddisfazione. L'impatto fu potente, tanto che anche Dastan fu costretto ad indietreggiare. C'era qualcosa di selvaggio in quella lotta, qualcosa di primitivo, e la cosa lo interessava non poco. Gli occhi, ora non più tanto furenti come prima, trasudavano curiosità, e l'adrenalina gli scorreva nelle vene come se fosse stato rincorso da qualcuno. Le ferite dietro alla schiena bruciavano, ma non facevano altro che tenerlo sveglio. Aveva sentito il fischio della donna, prima, ma il lupo sembrava non essere ancora arrivato. Meglio così: magari lo avrebbe sbranato, quindi non ci teneva a vederlo. Dastan boccheggiò per un istante, anche lui un po' provato sia dalla lotta che dell'impatto con l'albero, ma fece in modo di non staccare gli occhi da lei. Quasi come a volergli portare sfortuna, qualcuno si mosse dietro le felci selvatiche: era un ragazzetto di Indipendenza che l'aveva seguito fin lì.
    « Capo! » lo chiamò, ingenuamente. Dastan, quell'unica volta nella sua vita, si voltò. Non seppe perché l'aveva fatto, né perché non ci avesse pensato prima. A che scopo abbassare la guardia per un ragazzino cretino? Il biondo sgranò gli occhi, così Dastan fece scattare di nuovo la testa verso la rossa. Era troppo tardi: l'ultima cosa che vide fu la suola degli scarponi di lei. Avvertì un ringhio animale, un dolore lancinante allo zigomo destro e poi più nulla. Cadde a terra come un fantoccio inanimato, a faccia ingiù. Era una vittima. L'unica volta in vita sua. Ed era tutta colpa di quel biondino scemo. Ma lui, perchè diavolo si era girato verso la voce? Gemette, poi le grida attorno a lui si affievolirono ed il mondo cessò di girare.
    Dastan Dauthdaert @


    Se non ti va bene come lui l'ha trattata, cambio :3 Comunque, l'ho fatta sbattere all'albero così lei può attaccarsi al tronco in alto e sferrargli il calcio quando si gira XD
     
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    La reazione del suo avversario non si fece attendere molto: dopo essersi prontamente raddrizzato, l'uomo cercò di afferrarla in tutti i modi possibili. Era grosso e aveva sicuramente una presa ben salda, certo, ma Zaira aveva dalla sua parte una certa agilità che più volte le aveva salvato la pelle in situazioni come quelle, anche se era pur sempre vero che non si era mai ritrovata ad avere a che fare con qualcuno dalle dimensioni così esagerate. Scartò più volte di lato e lo fece sempre all'ultimo secondo, tanto che l'uomo arrivò più volte a sfiorarla praticamente ovunque; Zaira giurò che gli avrebbe fatto scontare anche quelle palpate, se pur involontarie. All'ennesimo tentativo dell'uomo di agguantarla, però, Zaira perse per una frazione di secondo soltanto la sua prontezza di spirito, ma le fu "fatale": il suo avversario riuscì ad afferrarla per i fianchi, stringendola forte a sé e cominciando quindi a correre. La ragazza ci mise un secondo a capire che cosa avesse avuto in mente l'uomo, motivo per cui cominciò ad agitarsi nel tentativo di sfuggire alla presa, senza successo però. -Non ti azzardare.- sibilò a denti stretti, ma prima che potesse riuscire a dire o fare altro, l'opera del suo avversario fu portata a termine. Zaira si sentì schiacciata in una morsa soffocante, mortale; le sembrò che il cuore le si fermasse, così come le si era fermato il respiro. Sbatté la schiena intera contro l'albero, e per il contraccolpo sbatté anche la testa, e come se già questo non fosse abbastanza, il suo avversario si lasciò andare con violenza contro di lei, tanto che Zaira non seppe dire se a toglierle il respiro fosse stato il colpo all'albero o tutto il peso dell'uomo che le aveva sostanzialmente schiacciato i polmoni. Il colpo doveva essere stato forte persino per lui, comunque, perché Zaira, dopo aver riacquistato il minimo indispensabile di vista e lucidità, lo vide indietreggiare e fissarla con estremo interesse. La ragazza digrignò i denti, adesso era lei l'animale inferocito. Ma anche ferito. Non riusciva a muoversi, e nonostante tenesse lo sguardo truce fisso sul volto del suo avversario in attesa di scorgere la scintilla di follia che le avrebbe fatto capire che la mossa finale stava per essere sferrata, Zaira sapeva per certo che non si sarebbe saputa di fendere, o meglio, non sarebbe stata pronta a reagire, a togliersi di mezzo.
    La fortuna volle, però, che l'uomo venisse distratto dalla voce di un ragazzetto, che lo chiamò con l'appellativo di "capo", una semplice parola che però svegliò Zaira dal suo stato di quiete forzata. L'uomo si voltò a vedere di chi si trattasse e allora la ragazza ne approfittò: individuò immediatamente un ramo basso, alla sua portata, e facendo appello a tutte le sue forze vi si aggrappò. Sentì un dolore lancinante in ogni parte del corpo, e a fatica cercò di ignorarlo e, invece, cominciò a fare leva su quel poco di forza che le rimaneva sulle braccia per dondolarsi. Le bastarono pochissimi secondi per prendere quel minimo di velocità che le serviva per mettere in alto la sua mossa, e quando ritenne arrivato il momento Zaira raccolse le ginocchia al petto e nello stesso momento in cui il suo avversario tornò a girare il volto nella sua direzione, la ragazza sferrò il suo calcio. -Va all'inferno, stronzo!- ruggì, mentre sentì i suoi stivali colpire il volto di lui, che subito crollò a terra. Zaira lasciò il ramo e rotolò a terra vicino al corpo dell'uomo, poi il suo sguardo saettò nella direzione del ragazzino che fuggì a gambe levate. Boccheggiando, Zaira si trascinò verso il corpo dell'uomo e immediatamente portò due dita alla gole di lui per sentire se ancora era vivo o se il colpo era stato, in qualche modo, mortale. Fortunatamente, ancora respirava. Pochi secondi dopo arrivò Denna, che subito di acquattò accanto alla sua padrona. -Fila a chiamare gli altri.- le ordinò, ma la lupa sembrava non intenzionata a volerla lasciare, motivo per cui Zaira dovette ruggire un altro ordine, così duro che la bestia prese a correre veloce come il vento in direzione della base di Giustizia. Pochi minuti e sarebbe tornata con i rinforzi. Zaira aveva appena steso un pezzo grosso, non se lo sarebbe lasciato sfuggire così facilmente, ma per portarlo alla base aveva bisogno di aiuto.
    Zaira Von Row @


    Edited by Ðräcärys¸ - 27/11/2013, 17:20
     
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    Qualche ora dopo...



    1752141dastanprigione
    Vigilante, umano • tell it like it is, tell them
    Si era svegliato nella penombra di una cella. Riconosceva all'istante i posti come quelli, c'era stato fin troppe volte. Il soffitto, le pareti ed il pavimento erano bianchi, senza contare le sbarre stondate e la lettiga su cui era stato steso con molta poca delicatezza. Aveva aperto gli occhi perché aveva sentito delle persone parlare solo dopo un lungo silenzio, il che voleva dire che aveva dormito parecchio. L'ultima cosa che ricordava era lo stivale della rossa colpirgli in pieno il volto, poi l'odore della terra e del sangue che aveva cominciato a riempirgli la bocca. Ancora sentiva quel sapore metallico, probabilmente perché nessuno si era preso la briga di medicarlo. Non poteva credere di essersi lasciato sfuggire il dettaglio del coltello, e neanche il biondino aveva aiutato. Si era distratto troppo facilmente: avrebbe dovuto lavorare su quella sua debolezza. Sentì qualcuno bisbigliare qualcosa, poi una voce giovane gli rispose: « Sì. Lo chiamano L'Orso del Nord perché è enorme ed ha ammazzato il suo migliore amico a suon di pugni in faccia. » disse. I due continuarono a parlare, ma Dastan non aveva ancora la forza per alzarsi. Poco dopo, i ragazzetti se ne andarono, ed il Vigilante cercò di sgranchirsi come meglio poteva. Si alzò prima a sedere, avvertendo fitte ovunque, poi, barcollando, si mise in piedi. Spostando lo sguardo verso il letto stretto e sporco, notò macchie di sangue qua e là. Alcune non erano sue, poteva giurarci: erano troppo scure ed incrostate. Altre, invece, erano di un rosso più intenso ed al tatto erano umidicce: quello era il suo sangue. Quella vista gli ricordò che aveva delle ferite anche sulla schiena. Superficiali, certo, ma poté sentirle bruciare come avessero voluto sottolineare il fatto di essere lì. Aveva passato mezz'ora a camminare avanti ed indietro, non sapendo che fare: sapeva di essere alla Base di Giustizia, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, ma a quanto pareva non succedeva mai nulla lì. Aveva poi deciso di attaccarsi alle sbarre e fare un po' di flessioni, giusto per risvegliare i muscoli assopiti dal sonno forzato. Non aveva avuto il coraggio di guardarsi nello specchio sudicio che c'era in cella: aveva avuto paura di vedersi sformato e pieno di sangue. Non che queste cose gli facessero schifo, però non gli andava di scoraggiarsi. Doveva fronteggiare di nuovo la rossa, e su quello non ci pioveva. Solo che quella volta avrebbe vinto lui. Passò alcune ore a fissare il vuoto ed a girare attorno alla cella, percorrendo un cerchio immaginario. Qualcuno gli aveva tolto la maglia a mezze maniche e tutto ciò che aveva addosso, perciò si ritrovava con la canotta, i pantaloni scuri e gli stivaloni. Non aveva più il fucile, né i coltelli: quello nella scarpa era sparito, quello infilato nei passanti gliel'aveva sfilato la rossa e quello assicurato al torace non c'era più. In sostanza, addosso aveva solo le cinture fissate al petto, al polpaccio ed alla vita. Nient'altro.
    Sospirò, mettendosi seduto sul letto -in un punto non sporco. Era un bel casino. Non sapeva se i suoi Vigilanti si sarebbero spinti così in là da venirselo a riprendere. In realtà, lo dubitava fortemente. C'erano dei gruppi nettamente divisi, ad Indipendenza: uno avrebbe sostenuto Dastan fino alla morte, l'altro avrebbe volentieri provveduto ad accopparlo. Si portò una mano al volto, strofinandoselo: non sapeva cosa fare, laggiù. All'improvviso, poi, come a volerlo aiutare, si udì un rumore metallico e poi dei passi.
    « Zaira, lascia perdere. È un caso perso. » riuscì ad intercettare. La voce gli arrivò lontana e con l'eco, come se quella persona -un ragazzo, probabilmente- fosse in un'altra stanza. Quella che doveva essere Zaira gli rispose, ma Dastan non riuscì ad udirlo perché la sua voce fu sovrastata dal rumore della porta che si chiudeva. Il Vigilante unì le mani, appoggiando i gomiti sulle ginocchia: gli stava facendo visita qualcuno, quindi avrebbe parlato da bravo ragazzo educato. Si era ripromesso di non guardarlo subito in faccia, ma il suo sguardo fu catturato da una chioma di capelli rossi, che rifletterono la luce del sole che tramontava.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Vigilante • My flesh will feed the demon.
    Gli aiuti non tardarono molto ad arrivare, come Zaira aveva previsto; mentre aspettava, aveva impiegato il tempo perquisendo l'uomo togliendogli tutte le armi che aveva trovato -nascoste in luoghi troppo prevedibile, per altro- così da renderlo un po' meno pericoloso nel caso si fosse risvegliato.
    Non appena i suoi compagni la videro le si precipitarono incontro con fare preoccupato, ma la ragazza li rassicurò velocemente riguardo le proprie condizioni, dicendo che stava bene; in realtà non era affatto vero, sentiva dolori in ogni parte del corpo, la testa soprattutto le faceva malissimo, ma era ancora in grado di intendere e di volere, poteva camminare senza problemi e raggiungere la base di Giustizia con loro, e una volta lì si sarebbe fatta visitare dal primo mago-medico che avrebbe trovato. -Non ha armi addosso, ma è pericoloso comunque.- li avvertì, come a dire "siete liberi di dargli una botta in testa per metterlo di nuovo KO nel caso si svegliasse". I quattro ragazzi che l'avevano raggiunta annuirono contemporaneamente, quindi presero il ragazzo fuori misura e fecero ritorno alla base di Giustizia.

    QUALCHE ORA DOPO...

    Erano bastate poche ora che già le voci sul nuovo prigioniero, su chi l'avesse catturato e come avesse fatto, erano cominciate a girare di bocca in bocca con la stessa velocità di una freccia scoccata col vento a proprio favore. C'erano già state diverse persone che erano andate a cercare Zaira per complimentarsi e per esprimere il proprio stupore, ma la cosa più interessante era stata l'informazione che alcune di queste persone si erano lasciate sfuggire: quello che Zaira aveva steso -con un colpo di fortuna, diciamocelo- era niente di meno che il capo della base di Indipendenza e che, per la sua stazza, veniva chiamato l'Orso del Nord. -Sei l'unica a non aver mai sentito parlare di lui e l'unica ad averlo messo fuori gioco, incredibile!- aveva esclamato un ragazzetto, sulla ventina anche lui, che con i suoi miseri poteri di mago le stava medicando le ferite alla schiena e alla testa. Zaira non commentò quelle parole, che seguitarono ad essere ripetute dal maghetto in estasi per altro, ma ci rimuginò per tutta la durata della medicazione e anche dopo, quando si prese un'oretta per riposarsi. ma non riuscì a dormire, la curiosità la stava logorando: voleva sapere di più su quel folle che aveva fatto gettare dietro le sbarre -nonostante lei non fosse che una semplice Vigilante, anche se la considerazione che avevano nei suoi confronti era piuttosto elevata e quasi al pari di un capo- e perciò non riuscì a rimanere nella sua stanza; per fortuna gli unguenti e gli incantesimi da quattro soldi del mago, per una volta, sembravano aver dato i loro frutti, perché Zaira si sentiva decisamente meglio dopo le cure ed il riposo, così si sistemò e si diresse a passo svelto verso le prigioni.
    Vi trovò diverse persone a guardia delle sbarre, tutte facce note e che le rivolgevano un sorriso carico di ammirazione non appena lei gli sfilava davanti agli occhi, ma la ragazza tendeva ad ignorare quel genere di cose, nonostante dentro di sé si sentisse gonfia di orgoglio. -Voglio parlare col prigioniero.- esordì, non appena arrivò in prossimità della cella dove era stato rinchiuso l'Orso del Nord. Brandon, il ragazzo "di guardia", le rispose che era meglio per lei lasciar perdere, il prigioniero era un caso perso, ma Zaira non aveva di certo un carattere così poco determinato. Con la testa gli fece segno di lasciarla passare, un gesto così secco, duro, che Brandon non si oppose; sbuffò, roteando gli occhi al cielo, ma la lasciò passare. L'Orso del Nord se ne stava seduto in un angolo della cella, fissando il pavimento, ma alzò gli occhi non appena lei entrò nello spiazzò davanti alla cella. Zaira sostenne a lungo lo sguardo duro del giovane, quindi sorrise beffardamente. -E così ti chiamano l'Orso del Nord.- cominciò a dire, col tono chiaramente provocatorio -Una trota boccheggiante sulla riva del fiume mi avrebbe sicuramente dato più filo da torcere.- Stronzate, chiaramente, perché se non fosse stato per il ragazzino che l'aveva fatto distrarre probabilmente lei non sarebbe riuscita a fare ciò che aveva fatto, ma doveva e voleva, comunque, dimostrarsi sicura di sé. Zaira si guardò quindi intorno, individuando quella che aveva l'aria di essere una vecchia poltrona sgangherata poco dietro di lei, e andò a sedervisi, accavallando una gamba, poggiando il gomito sul ginocchio e chiudendo la mano a pugno, su cui poi andò a poggiare il mento. Non smetteva di sorridere, piena di compiacimento e soddisfazione; tendeva a vantarsi e a burlarsi di lui solo perché sapeva che non poteva farle del male, almeno in quel momento. -E dimmi, Orso, hai anche un nome?- domandò poi, sempre col tono beffardo -No, perché sai com'è, mi sembra veramente assurdo e più che mai sbagliato chiamarti Orso, ma l'unico altro appellativo che potrei darti sarebbe... capo.- e pronunciò quell'ultima parola caricandola di sdegno -Non so quale dei due appellativi sia più lontano dalla verità, quindi ti prego, illuminami.-
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    La rossa si palesò, camminando con un'andatura decisamente snob. Era come se sentisse l'odore delle persone spocchiose ed in qualche modo ciò gli facesse ribollire il sangue. Sostanzialmente, era allergico alla gente troppo sicura di sé. Non che lui non lo fosse, solo che era una persona diversa. Era sicuro di ciò che poteva fare con le braccia, con le gambe e con le nocche delle mani, ma certamente non si considerava una bella persona. Invece quelle come Zaira -presumeva che quello fosse il suo nome- erano proprio convinte di essere eccellenti in tutto e per tutto, di agire in nome della giustizia e tante altre cavolate. Un po' era anche colpa della Fazione in sé: erano un popolo di montati, di spostati. Tutti pronti a morire per la signora giustizia, ma era chiaro che in realtà non era così. Dastan aspettò che la rossa terminasse il discorso, senza staccare mai gli occhi da lei né cambiare espressione. Aveva sempre la sua solita faccia seria ed impassibile, quasi come se gli fosse morto il gatto. Zaira si sedette su una vecchia poltrona, guardandolo con un'espressione maliziosetta e trionfante. Gli disse che, nonostante lo chiamassero Orso, era pressoché innocuo. Poi gli chiese se avesse anche un nome e gli ricordò che aveva sentito il ragazzino della sua Base chiamarlo capo. Dastan rimase immobile a guardarla, per niente divertito dalla situazione, meno che mai dalle sue battutine veramente scadenti. Aspettò qualche momento, poi sciolse le mani e si alzò, dandosi la spinta con le cosce. Si avvicinò alle sbarre e ci si appoggiò, posando i gomiti su quelle orizzontali. Le sue braccia spuntavano, ma era pressoché immobile: avrebbe veramente parlato con Zaira.
    « Tu continua a chiamarmi Capo, visto che è l'unico modo con cui puoi permetterti di chiamarmi. » le rispose, secco. La guardava fissa negli occhi, come a volerla sfidare. Ed era proprio quello che stava facendo: voleva provocarla, fare in modo che si arrabbiasse e che lo fronteggiasse di nuovo. Non aveva paura della rossa, né di tutti gli altri imbecilli che si trovavano lì a Giustizia. Era stato facile sconfiggerne cinque, una volta, non sarebbe stato molto diverso dalla gentaglia che c'era lì. La guardava di sottecchi, tra una sbarra e l'altra, mentre il sole gli colpiva il volto solo per una piccola porzione: metteva in evidenza solo i suoi occhi azzurri, niente di più. Non che poi fossero occhi speciali, anzi, erano piuttosto comuni. Solo che, uniti alla sua stazza ed alla sua fama, non facevano altro che peggiorare le cose. Voltò un poco la testa, notando che la porta che divideva le prigioni dal resto della Base era chiusa: aveva voluto un colloquio privato? Tornò a guardare Zaira dritto negli occhi, ancora senza cambiare espressione.
    « Quando è stata l'ultima volta che qualcuno non ti ha distratto la preda, Zaira? » le chiese, ironico, usando il suo nome e poi sorridendo beffardo. Aveva così insinuato che non fosse in grado di mettere al tappeto una persona senza che questa non si fosse distratta. Il che, naturalmente, per lui era la verità. Non gli sembrava troppo in forze, nonostante intravedesse i muscoli dalla maglia e ricordasse molto bene il calcio ricevuto alla faccia. Non si mosse neanche di un centimetro, ma era sicuro che la rossa fosse fomentina e che quindi se la sarebbe ritrovata ad un palmo dal naso.
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    Che si trovasse di fronte ad un osso duro, Zaira non l'aveva mai dubitato. Le sue parole sembrarono incuriosirlo quel tanto che bastava per farlo reagire un po', ma non lo scalfirono in alcun modo né sembrarono essere in grado di provocarlo granché. Ma l'Orso del Nord non era l'unico "pezzo di marmo" della situazione, Zaira lo era altrettanto, almeno finché non la si provocava in maniera seria. La rossa si sentì rispondere che l'unico modo in cui l'avrebbe dovuto chiamare era capo, l'unico appellativo che le era permesso usare, al che la ragazza scoppiò in una grossa risata. Seriamente divertita, Zaira arrivò addirittura a versare un paio di lacrime per il troppo ridere e si portò una mano al volto per asciugarsele e per tapparsi la bocca, nel tentativo di riacquistare un po' di contegno. -Ehi ehi ehi, ragazzaccio, io posso permettermi qualsiasi cosa!- rispose quindi, ancora in preda all'ilarità, ma più contenuta adesso -Non sono io la perdente confinata dietro le sbarre, posso fare e dire ciò che più mi piace.- Non aveva mai chiamato "capo" neanche chi effettivamente lo era, per lei, figuriamoci se ci avrebbe chiamato un perfetto sconosciuto!
    Dal modo in cui, poi, l'Orso del Nord le si rivolse in seguito, Zaira capì che questo voleva chiaramente provocarla, vedere quanto avrebbe retto e fino a dove sarebbe arrivata, ma sfortunatamente per lui, Zaira era piuttosto ferrata nel mantenere la calma di fronte a provocazioni come quelle da lui lanciate. Troppe volte la gente aveva dubitato di lei a causa della sua apparente fragilità fisica, ed effettivamente non avevano granché torto: spesso e volentieri, Zaira rischiava di rimetterci la pelle nello scontrarsi con tipi "extra-large", nonostante questo non imparava mai a mettere la testa a posto e non capiva che, per la sua sicurezza -molto relativa, visto che era una Vigilante e gli scontri erano pressoché all'ordine del giorno- si sarebbe dovuta occupare di avversari più alla sua portata. Generalmente, però, c'era sempre Denna con lei, che l'aiutava a mettere KO persone altrimenti difficili da sistemare, ed era questo dettaglio che portava Zaira a continuare a cercare lo scontro con persone eccessivamente pericolose. Ma di tutto questo, alla fine, l'Orso del Nord sarebbe anche potuto non essere a conoscenza, no?
    L'essere stata messa in discussione, comunque, non le aveva fatto minimamente piacere. Non voleva accendersi come una torcia per la rabbia, era lì per "socializzare" con il prigioniero, il quale non era certo nella posizione migliore per potersi prendere gioco di lei. -A dire il vero sei stato una novità, Orso.- ribatté, ostentando una certa tranquillità, ma affilando un po' lo sguardo e quindi tradendosi. Effettivamente aveva detto la verità, nessuno distraeva mai i suoi avversari, semplicemente si faceva aiutare quando non erano alla sua portata. A quel punto si alzò e si avvicinò alle sbarre con passo lento e ben scandito, sicuro di sé esattamente come il sorriso che le illuminava il volto. Arrivò più vicina di quanto avesse progettato di fare, ma non temeva neanche un po' la reazione dell'uomo, che se pure le avesse fatto del male ci avrebbe rimesso e l'avrebbe seguita all'inferno. -Sarai sicuramente un capo molto valido, visto la facilità con cui ti lasci prendere.- continuò quindi a dire, incrociando le braccia al petto -Non mi stupisco del fatto che i bambinetti di sedici anni siano costretti a seguirti per assicurarsi che non ti cacci nei guai.- Con uno scattò repentino e secco, poi, Zaira portò le mani a stringere la sbarra orizzontale sulla quale se ne stava appoggiato con le braccia l'Orso del Nord, avvicinando il suo volto a quello di lui fino a sentirne il respiro sul proprio viso. -O magari sei un combattente ed un capo così tremendamente scadente che quel ragazzino ti ha distratto apposta per farti eliminare dalla scena una volta per tutte.- Parlò con tono di voce particolarmente aspro ed un sorriso decisamente poco amichevole le si dipinse in volto. Voleva provare a trovare il punto debole del Capo di Indipendenza, e ci avrebbe investito tutto il tempo a sua disposizione quel giorno in quell'impresa. Anche perché la divertiva parecchio fare quel genere di interrogatori poco "tradizionali", anche se poi non la portavano ad ottenere niente di utile, come sentiva che sarebbe successo in quel caso.
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    Conosceva la storia della rossa. A dire la verità, probabilmente erano poche le persone che non la conoscevano. All'epoca, si era sparsa la voce che Tommen -l'ex capo di Giustizia- si fosse perdutamente innamorato di una ragazza minuta e dai capelli rossi come il fuoco, e che se la fosse portata con sé tra i Vigilanti. Dastan aveva sempre rispettato Tommen, in qualche modo, e la cosa era reciproca: si erano scontrati innumerevoli volte, senza che qualcuno ne uscisse mai vincitore. Decidevano semplicemente di smettere per non ammazzarsi a vicenda. Lei, però, non gli sembrava minimamente al livello di Tommen. Era facilmente irritabile, e lui aveva già capito bene o male quali fossero i suoi punti deboli. Non che fosse difficile, visto che la maggior parte delle donne avevano gli stessi problemi, o così sembrava a lui. Dastan non ci capiva nulla di ragazze Vigilanti, ma una cosa la sapeva: mai dire cose brutte sul fatto di essere mingherlini, bassi o, più semplicemente, femmine. La osservò mentre cercava di ferirlo e di dirgli cose orribili, senza cambiare espressione né muoversi. Lei, come previsto, gli si avvicinò pericolosamente, minacciandolo indirettamente. Gli disse che lei poteva fare quello che voleva e che, in fin dei conti, era lui quello dietro le sbarre. Poi insinuò che non fosse un bravo capo, provocandolo, ma Dastan continuò a fissarla senza dirle nulla. Anche perché, sinceramente, non sapeva che dirle. Sapeva benissimo che tutte quelle cose erano false, perciò non ci avrebbe neanche perso tempo a smentirle. Alla fine, sospirò rumorosamente, sfilando le braccia dalle sbarre e tornandosene sul letto sudicio, dove si sedette. Appoggiò la schiena alla parete, incrociando le braccia al petto ed allungando le gambe. Guardò ancora la rossa, scuotendo appena la testa, come se stesse pensando a qualcosa in particolare. Tirò un altro sospiro, arricciando poi le labbra.
    « Ah, povero Tommen. » disse. Sapeva che la rossa si sarebbe arrabbiata anche solo a sentir nominare quel nome. Fece una piccola pausa, giusto per gustarsi la sua espressione cambiare, poi inarcò un sopracciglio, guardandola serio. « Cosa gli hai dato, un cazzo di intruglio stregato? Non era così stupido da farsi fottere da una come te. » le disse. Era stato decisamente crudele, lo riconosceva, ma lui era così. Non se ne faceva un problema. Anche perché ormai aveva dimenticato che voleva dire essere gentili con qualcuno. Dastan tendeva sempre a schernire, a far innervosire, ad istigare. Era il modo in cui si relazionava con gli altri. Eppure i suoi compagni a Indipendenza, anche i più piccoli, lo rispettavano. Lo riconoscevano come Capo e stavano ai suoi ordini. Si aspettava un'irruzione di Zaira nella sua cella ed un bel pugno in faccia, considerando che aveva nominato il suo amore Tommen. Dastan non pensava realmente che lei l'avesse incantato, anche perché la rossa sembrava avere coraggio da vendere. Semplicemente, pensava che Tommen si fosse stufato di farsi le sue compagne a Giustizia ed avesse deciso di costruirsi una vita. Peccato che fosse stata stroncata così presto. A Indipendenza i ragazzi avevano provato a festeggiare, ma Dastan li aveva interrotti bruscamente, spaccando la luce ad olio per terra ed urlando. Una volta che si erano fermati tutti, aveva mormorato: « Non si festeggia mai quando muore qualcuno. »
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    Di nuovo, le sue parole sembrarono non suscitare alcuna reazione nell'Orso del Nord, il che cominciò a far pensare a Zaira che quel ragazzo fosse pressoché incapace di provare qualcosa di diverso dalla furia assassina che, sicuramente, si impossessava di lui quando si trovava sul campo di battaglia. Se così fosse stato, Zaira avrebbe sprecato soltanto fiato, e nonostante la conversazione avesse un chissà che di divertente, l'idea del parlare a vuoto, di innervosirsi a vuoto, non la allettava eccessivamente.
    Proprio mentre la ragazza si stava per lasciar sfuggire un sospiro seccato e rassegnato e stava seriamente prendendo in considerazione l'idea di tornarsene nella sua stanza, il prigioniero pensò bene di dire proprio quello che si sarebbe dovuto risparmiare. Chiunque nominasse Tommen era per lei fonte di rabbia, di frustrazione e di dolore, e qualcosa nell'espressione compiaciuta dell'uomo fece intuire a Zaira che questi aveva capito di aver colpito nel punto giusto. Perché Tommen, effettivamente, era il suo punto debole, da sempre, fin da quando l'aveva conosciuto e, a maggior ragione, dopo la sua morte. La cosa peggiore, poi, era che in quanto capo della base di Giustizia, chiunque aveva sentito parlare di lui, e quindi anche di lei, e la sua morte, nonché la reazione della sua donna, avevano fatto il giro di tutte le fazioni, perciò chiunque sapeva che, per mandare la Von Row su tutte le furie, bastava nominare il suo grande e defunto amore.
    Zaira sentì la rabbia montarle dentro come un orso di fronte all'uomo che lo minaccia, ma non voleva dare in escandescenza per due motivi: in primo luogo perché non voleva darla vinta all'Orso più di quanto avesse già involontariamente fatto, ed in secondo luogo perché era una questione che, doveva risolvere in tutti i modi: andava bene reagire al nome di Tommen, ma non con rabbia ogni volta, non quando se la sarebbe potuta risparmiare. Era un problema con cui Zaira condivideva ogni giorno da quando Tommen l'aveva lasciata, un problema che cercava di risolvere ma che tornava inesorabilmente a tormentarla più di prima, giorno dopo giorno. Proprio al fine di contenere la rabbia, Zaira strinse fortemente le mani attorno alle sbarre, arrivando a sentire dolore per quanto forte era la sua stretta, e chiuse gli occhi, sorridendo poi amaramente mentre li riapriva. -Non hai nessun fottutissimo diritto di parlare di lui, straniero.- commento a denti quasi serrati, ma parlando quanto più lentamente e "pacatamente" le riusciva. Il discorso "Tommen" però, come al solito, le aveva azzerato la parlantina e tutto ciò che di buono e positivo c'era in lei al momento. A quel punto si staccò dalle sbarre ma non si mosse di un millimetro e continuò a fissare l'Orso del Nord con sguardo di fuoco, mentre nella sua mente cominciava a riemergere un ricordo. Tommen conosceva quell'uomo -ovviamente, visto che erano i due capi- e una volta le aveva riassunto la sua storia. Zaira, però, non era sicurissima si trattasse proprio di lui, non aveva mai avuto "il piacere" di incontrare i capi delle altre Fazioni e non ricordava perfettamente ciò che Tommen le aveva raccontato. Ma poteva comunque provare, e vedere se quelle parole erano in grado di scuotere il prigioniero.
    -Se sei ancora vivo è perché Tommen era un signore.- commentò, in tono piatto ma chiaramente forzato; la quantità di rabbia che aveva dentro non era facile da nascondere. -Forse per la prima volta nella tua vita puoi definirti fortunato, altri ti avrebbero fatto fare la fine che tu stesso hai procurato a quel povero ragazzo nell'esercito.- Si fermò, giusto per scrutare l'espressione di quello che a tutti gli effetti era un avversario per lei, per cercare di capire se aveva prodotto l'effetto desiderato con quelle parole. Sembrarono non averlo scosso più di tanto, ma Zaira era decisa a concludere in bellezza. -Forse dovrei lasciarmi persuadere dalle idee altrui e lasciarti veramente in pasto ai cani, ma troppa cattiveria li ucciderebbe. Non uccidiamo la gente per semplice rabbia o vendetta, noi.- Era decisa: se quelle parole non avessero smosso un po' la situazione, se ne sarebbe andata e, per come si sentiva in quel momento, l'avrebbe tranquillamente lasciato a marcire in quella cella.
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    Come aveva previsto, la donna si infuriò. Poté notare benissimo l'ira accenderle lo sguardo e le nocche diventare bianche per la forza con cui strinse le sbarre. Il sorriso di Dastan si allargò ancora di più, mentre faceva ciondolare le gambe di qua e di là, tranquillo. Con tutto quello che aveva passato lui, anche se avesse tirato fuori qualcosa di grave non si sarebbe infervorato. Era troppo abituato alla gente che si comportava male con lui, ormai ci aveva fatto il callo. Zaira chiuse gli occhi, come per cercare di calmarsi, ma il Vigilante notò chiaramente quanto fosse ancora irritata da tutta la situazione. Probabilmente aveva trovato il tasto dolente, il punto debole della ragazza. Sapeva che sarebbe stato facile sfidarla, in un certo senso la conosceva. Gliene avevano parlato bene tutti quanti, ma Dastan le aveva comunque dato addosso fino alla fine, nel suo stile. La donna inarcò un sopracciglio, affilando lo sguardo, segno evidente che voleva rispondergli a tono. Gli disse che non aveva alcun diritto di parlarare di Tommen, che se era vivo era merito suo e che altrimenti avrebbe fatto la fine di Jason. Come faceva lei a sapere di quel falso doppiogiochista? Dastan inarcò un sopracciglio, fissandola. Anche solo sentire il nome dell'ex amico gli riportava alla mente le mille immagini della sua morte: lui che lo colpiva, i denti che partivano, il sangue che sgorgava, le su urla ed infine il suo corpo ridotto ad un fantoccio esanime. Strinse appena la mandibola, evidenziandola un po', ma nient'altro. Jason era l'unica persona che Dastan aveva ucciso, ed ancora adesso una parte di lui lo rimpiangeva. L'altra, quella più opportunista e crudele, credeva di aver fatto la cosa giusta. Avvertì una fitta alla testa, ma non si mosse. Lasciò che la ragazza continuasse a parlare: gli disse che non lo aveva dato in pasto ai cani solo perché era troppo cattivo e perché loro non uccidevano le persone per rabbia o vendetta. Dastan abbassò la testa fino a portare il mento al petto, fissandosi le cosce e le braccia strette al petto. In silenzio, poi, cominciò a ridere. Si portò le braccia dietro la testa, alzandola e tornando a guardare Zaira. Ora rideva di gusto, ovviamente sempre per schernirla. Dastan aspettava solo che entrasse per poterla sbattere al muro e fracassarle qualche osso. Non gli stava bene che l'avesse buttato in cella, in qualche modo doveva vendicarsi. Magari, quando sarebbe uscito -perché sarebbe uscito, visto che comunque non avrebbe parlato e che non gli serviva a nulla- sarebbe poi tornato con gli altri per ottenere vendetta. Continuò a ridere, poi sospirò, come se fosse rimasto senza fiato per lo spasso.
    « No, certo, voi uccidete la gente per giustizia. » la prese in giro, inarcando un sopracciglio. Non poteva dire che fosse falso, perché aveva visto dei maledetti militari fare a pezzi un contadino solo perché non aveva pagato le tasse. Lui non le aveva mai pagate, tra l'altro, ma dopo aver ridotto un paio dei loro soldati esattori ad una maschera di sangue, l'Esercito si era rassegnato. Aspettò che Zaira reagisse, sempre muovendo le gambe con fare tranquillo. Non sapeva se la rossa fosse nata a Giustizia, ma ormai ne faceva parte e tanto gli bastava. Era una nemica, in un certo senso. La guardava divertito, ma aveva anche un pizzico di malizia nello sguardo, come a volerla provocare anche da altri punti di vista. Non che Dastan facesse certe cose, perché lui non pensava mai al sesso: però era comunque divertente osservare le reazioni delle persone. Si passò la lingua sulle labbra, avvertendo il sapore metallico del sangue ed un piccolo taglio bruciargli come se avesse un fuoco sulla faccia. La suola dello scarpone di Zaira aveva colpito a fondo.
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    Nonostante la reazione ottenuta non fosse quella immaginata, Zaira si sentì comunque pienamente soddisfatta di essere riuscita nell'intento. La si faceva felice con poco, alcune volte, volte come quelle, in cui si aveva a che fare con questioni di scarsa importanza. La ragazza si gustò compiaciuta il cambiamento repentino dell'espressione dell'uomo, che durò veramente poco, ma non abbastanza da sfuggire alle attenzioni di lei che aveva gli occhi puntati su di lui. A voler esagerare, si sarebbe potuto dire che Zaira aveva trovato un punto debole del prigioniero, ma non era così sciocca da credere di averlo in pugno per quello da quel momento in avanti, anzi: sentiva di essere ancora lontana dal trovare la vera "crepa nel muro", quella che avrebbe fatto crollare la struttura, se non interamente anche solo in parte -per parlare di un essere umano in termini architettonici- ma il suo era comunque un inizio.
    L'Orso del Nord abbassò poi la testa, quindi scoppiò a ridere. La sua era una risata chiaramente beffarda e finalizzata a mandarla di nuovo su tutte le furie, ma questa volta Zaira non si lasciò coinvolgere come l'uomo pensava che avrebbe fatto. Invece di reagire male, la ragazza cominciò a ridere insieme a lui, una grassa risata la sua; si stava divertendo, adesso, nonostante bruciassero ancora dentro le parole di quell'uomo e il ricordo di Tommen. Alzando la testa, poi, L'Orso del Nord le rispose lanciandole l'ennesima frecciatina, e accusando lei -e tutti i Vigilanti della Fazione- di uccidere solo per giustizia.. Zaira si ritrovò improvvisamente a sbuffare e ad alzare gli occhi al cielo, con fare visibilmente scocciato. -Mio dio, sai fare di meglio Orso, sei superiore ai luoghi comuni dannazione!- borbottò lei con tono di sufficienza. Non si rese neanche conto di avergli fatto una specie di complimento indiretto, reputandolo superiore a tutti quelli che, non essendo in grado di pensare con un proprio cervello, credevano alla storia che a Giustizia di uccidesse non per rabbia, Nè per vendetta e neanche per difendersi, ma semplicemente si uccidesse, appunto, per fare giustizia. Zaira se la rise dopo aver detto ciò e si appoggiò nuovamente alle sbarre, e sulle braccia andò a posare il mento. -Se quell'assurda storia avesse un fondo di verità, saresti già cibo per vermi da ore, più o meno da quanto sei stato così furbo e attento da lasciarti stendere.- continuò a dirgli. Questa volta nel tono di voce non c'era veramente la volontà di tentare di ferirlo con le parole, Zaira stava semplicemente mettendo in luce quello che a tutti gli effetti era un dato di fatto
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    Dastan cominciava a stufarsi. Parlare con lei non era interessante come aveva pensato. Sbadigliò, stiracchiandosi meglio che poteva a causa dei dolori, mentre lei parlava di luoghi comuni e del suo essere superiore agli altri. A quel punto, Dastan si alzò dal letto, guardando Zaira di sottecchi: quindi credeva davvero che lui fosse un essere pensante. Non ci avrebbe scommesso neanche una moneta d'oro, eppure eccola lì a complimentarsi con lui ed a dirgli di passare oltre le apparenze e gli stereotipi. Dastan passeggiava per la cella avanti ed indietro, infilandosi le mani nelle tasche come se fosse stanco. In effetti, lo era: quel discorso non stava portando a niente. Misurava la stanza a grandi passi -considerando la sua falcata non nella norma- e pensava a qualcosa da dirle in modo da costringerla ad aprirgli la cella. Sapeva che Zaira non si sarebbe fatta infinocchiare dalle sue provocazioni, anche se avesse colpito nel segno con Tommen. Era troppo furba. Poi, all'improvviso, la rossa riprese a parlare, dicendogli che se gli stereotipi fossero stati veri, probabilmente lui sarebbe stato già morto e sepolto da quando si era distratto. A quel punto, Dastan si fermò. Rimase immobile, fissando il vuoto, come se qualcuno gli avesse tolto la carica ed ora fosse un giocattolo inanimato. I suoi occhi azzurri guardavano il letto sudicio, ma si vedeva che stava riflettendo. Era chiaro che Zaira puntasse sulla sua distrazione per farlo innervosire. Tutto ciò gli aveva fatto generare un pensiero: non si sarebbe mai più dovuto far prendere dal panico. Aveva realizzato in quel momento di essersi voltato per paura: i ragazzi di Indipendenza erano il suo unico contatto con il mondo. Se qualcuno gli avesse fatto del male, Dastan si sarebbe probabilmente infervorato. Quella, però, era una debolezza. Voltò piano la testa verso la rossa, camminando nella sua direzione. Si abbassò e portò il viso alla sua altezza, distanziandola di appena qualche centimetro. Avrebbe potuto darle una testata, morderla o quello che voleva, da così vicino, ma non lo fece. Si limitò a fissarla negli occhi, che erano dello stesso azzurro. Aspettò qualche secondo, giusto per farle capire che faceva sul serio, ma la sua espressione non era divertita né neutra. Si notava chiaramente quanto fosse minaccioso.
    « Tu dici? » le chiese. Si stava ovviamente riferendo al suo ritenerlo superiore. Dastan sapeva che Zaira non avrebbe avuto mai più il coraggio di uccidere qualcuno, non dopo averlo fatto con l'assassino di Tommen. Il che, a parer suo, era una gran cosa. Si avvicinò ancora un po', fino a sentire il profumo dei suoi capelli rossi ed il suo respiro sulla pelle martoriata ed incrostata di sangue.
    « Ci vuole poco ad uccidere, Zaira. È molto più difficile lasciare in vita qualcuno che odi con tutto il tuo fottutissimo cuore. » mormorò, fissandola. Non si stava esattamente complimentando, le stava semplicemente dicendo che lui non era come tutti credevano. L'aver ammazzato Jason era stato uno sbaglio, una debolezza. Avrebbe voluto torturarlo in mille modi ed ucciderlo ancora ed ancora, se solo fosse stato possibile, ma sapeva che anche quello era un suo punto debole. Voler arrivare a togliere la vita a qualcuno era un modo sbrigativo per liberarsi di un problema. Si spostò lentamente da lei, dandole le spalle e tornando a sedersi sul letto. Non aveva più ammazzato nessuno dopo Jason, ma ci era arrivato parecchie volte troppo vicino. Sospirò, fissando il pavimento, poi scosse lentamente la testa e fece un gesto scocciato verso Zaira, senza guardarla.
    « Se hai intenzione di continuare a rompere il cazzo con le tue chiacchiere, puoi pure andartene. » l'avvertì.
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    In un modo o nell'altro, Zaira sembrava essere riuscita a raggiungere parzialmente il suo scopo: le sue parole portarono il prigioniero a cominciare a camminare avanti e indietro per la piccolissima cella, così piccola per lui che, dopo aver mosso due passi, doveva girarsi e tornare indietro, e così andò avanti per un paio di minuti, fino a che altre sue considerazioni non lo fecero fermare completamente. Zaira notò che qualcosa l'aveva toccato, ma non avrebbe saputo dire di preciso che cosa; inarcò un sopracciglio vedendolo lì, fisso nella sua posizione quasi come fosse una statua, lo sguardo che non schiodava dal letto. La ragazza avrebbe dato oro per sapere cosa frullava nella mente dell'altro, per sapere soprattutto in che modo era riuscita a colpirlo, così da sfruttarlo in un incontro futuro. Perché Zaira lo sapeva che si sarebbero rincontrati fuori da quel contesto.
    Ad un tratto, poi, l'Orso del Nord si voltò verso di lei, piantando lo sguardo gelido dritto nel suo; Zaira non mosse un muscolo, se non quelli che le permisero di inarcare il sopracciglio ancor più di quanto stesse già facendo e di sorridere beffardamente. L'uomo le si avvicinò con fare piuttosto minaccioso, se pur velato da una sottile forma di ironia, e le diede il suo punto di vista riguardo l'elargire condanne o sentenze di qualsiasi genere. Il discorso di lui non faceva una piega, Zaira era stata la prima che per vendetta aveva ricorso alle armi e messo a nudo il suo lato meno umano, ciò nonostante dopo quella volta non aveva più ucciso, nonostante il possibile odio covato nei riguardi del suo avversario. E, probabilmente, di questo L'Orso del Nord era a conoscenza. La von Row allontanò appena di qualche millimetro il viso da quello di lui, giusto per poterlo osservare meglio. -Tu dici?- ribatté, imitando volontariamente il tono di voce di lui poco prima e dicendo esattamente le sue stesse parole. -Io dico che dipende dall'indole. Tu lo trovi difficile perché propendi verso tutt'altro tipo di soluzioni.- continuò quindi a dire, roteando una mano che ciondolava dalla sbarra della cella -E' più difficile guardare in faccia l'essere a cui stai per togliere la vita, vedere nei suoi occhi il terrore e la consapevolezza di star vivendo gli ultimi attimi della propria esistenza. Quello è davvero difficile, quello è ciò che a lungo andare ti rende un mostro.- Perché si fosse ritrovata a fare discorsi di quella profondità con un tipo che di profondo non aveva assolutamente nulla, Zaira non se lo seppe spiegare mai. Sta di fatto che lo fece, e fu per lei una forma alternativa di divertimento e compiacimento.
    L'Orso del Nord, però, doveva essersi stancato un po' di tutto -e da una parte poteva benissimo capirlo, perché Zaira era consapevole di essere piuttosto petulante quando ci si metteva- e la invitò ad andarsene in malo modo. La donna non si scompose, piuttosto si fece una risata. -Non ho cominciato io, lo sai.- commentò -Se non avessi avuto la brillante idea di rompere il cazzo tu per primo, probabilmente adesso saresti alla base di Indipendenza, a bere vino e scoparti una qualche puttana del luogo.-
    Zaira Von Row @
     
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