There's a strange world around me

7 luglio 102 P.A primo mattino, dintorni di Giustizia.

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    Ewan quella mattina era decisamente in ritardo. Ogni suo gesto pareva essere rallentato del doppio rispetto alla norma e pensare che la sera prima si era persino ripromesso di tornare a casa presto. L'ennesima promessa finta gettata nel vuoto. Scosse il capo inalando una boccata di fumo degna di una ciminiera. Era un militare ma ancora non si capacitava di tale situazione. Lui, Ewan Hallmar il bastardo, era un militare. Non uno qualunque, bensì un Capitano. Non proprio un rango accessibile a tutti come il sergente, nono. Lui era uno dei quadri, uno importante... Ci aveva quasi creduto persino lui mentre lo raccontava al suo vecchio amico d'infanzia Daniel, con il quale la sera prima aveva dato sfogo alla bevuta in assoluto più distruttiva della storia conosciuta a loro sino a quel giorno. In realtà sapeva benissimo di essere un buon soldato, eccezione fatta per le insubordinazioni e le risse, ma l'idea di essere conforme al canone di normalità lo aveva disturbato, e non poco. Così "aveva deciso" di prendersi una pausa dall'azione per dedicarsi alla lodevole arte del segretariato d'ufficio. A tempo indeterminato, sino a nuovo ordine e blablabla. Sbuffò sconsolato guardandosi in giro con aria annoiata. Daniel viveva a Giustizia da anni ma Ewan mai si era degnato di andarlo a trovare, prima di ieri appunto. Nelle terre dell'est faceva sempre un caldo disumano e fumare una sigaretta sotto l'ombra di un albero in quello che pareva essere un percorso tra i campi diventava un'impresa. Osservò con la coda dell'occhio il mozzicone quasi spento tra le sue dita ed emise un verso, simile ad una risata strozzata. - Oh cazzo, siete delle maledette... Io vi accendo e finite subito...- Biascicò completamente sopraffatto dall'alcol che ancora aveva in corpo. D'improvviso si ricordò di aver dimenticato qualcosa e si tirò su dalla panchina, assumendo una posizione composta. Si passò una mano tra i capelli e si guardò in giro, sconvolto. - Aspetta, aspetta... Daniel! - La dimenticanza assunse così le sembianze del suo amico d'infanzia, biondo, occhi scuri, la sua nemesi senza speranza, ubriaco come poche volte nella vita che, abbracciato ad una mora gli parlava - o meglio, biascicava - frase senza senso. Ewan si trovò a ridere in solitudine come un perfetto idiota, stringendo nelle mani la bottiglietta d'acqua che gli aveva salvato la vita dallo spettro della disidratazione. Se la portò alla bocca e sempre ridendo fece qualche sorso. - Oh sia lodata l'acqua cazzo... - Disse con un filo di voce, tornando a sprofondare sulle assi di legno della panchina, in trance, come un perfetto senza tetto alcolizzato. Si sentì sollevato a sapere che a quell'ora del mattino sicuramente nessuno sarebbe passato da quelle parti, perciò avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per riprendersi, tornare a Giustizia e sperare che Daniel fosse tornato a casa sua. Si portò d'istinto una mano alle tasche dei pantaloni ma non vi trovò alcuna chiave. Ridendo si accese un'altra sigaretta, chiudendo gli occhi ed abbandonandosi al tepore del sole mattutino.
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    Come ogni mattina, Lissa si svegliò di buon’ora. I raggi di un sole che filtrava debole dalle finestre della sua camera l’avevano svegliata con dolcezza, carezzandole miti il viso candido. Si era alzata dal letto con un sospiro, stiracchiandosi appena come una gatta sorniona. Cominciava ufficialmente un’altra giornata, all’insegna della routine, dell’abitudine, dell’immutabile realtà nella quale Lissa viveva e che sembrava stringerlesi attorno come un cappio. A volte si ritrovava a domandarsi cosa, ancora, la trattenesse lì, cosa le impedisse di fuggire, di lasciarsi tutto alle spalle per partire alla volta del mondo intero. Da un po’, tuttavia, aveva smesso di porsi tale quesito: non aveva alcun senso continuare a rimuginare sulla faccenda, a infilare il dito in una piaga che faticava a risanare. In un attimo si preparò e si vestì di tutto punto, si pettinò i lunghi capelli color del grano maturo e fu pronta. Pronta per affrontare il proprio destino, avrebbe tanto voluto dire. Invece, ai suoi occhi si prospettava l’ennesimo fallimento di una vita male organizzata, dedicata a tutto fuorché se stessa. Una vita che non aveva mai desiderato ma, chissà come, vi si era ritrovata immersa fino al collo e non vedeva possibili vie di fuga. Si lisciò il lungo abito grigio perla, drizzando con cura tutte le pieghe e annodandolo ben stretto sulla schiena, finché non fu pronta. Uscì di casa che il sole faceva timidamente capolino dietro le scure punte aguzze della pineta che circondava la sua casa, i suoi bei raggi caldi che le imporporavano appena il viso e le facevano risplendere le belle ciocche bionde di mille sfumature e colori diversi. A Giustizia non avevano un’estate afosa da secoli: sino a quel momento, benché fosse luglio, il clima si era mantenuto mite, con giornate piacevolmente calde e serate fresche, con qualche pioggerella settimanale a rinfrescare il terreno. Il buon odore di erba fresca di rugiada e pane caldo la mise di ottimo umore, facendola sorridere: almeno cominciava bene la propria giornata. Si incamminò lungo lo stretto sentiero di selciato che si inerpicava lento su per una bassa collina, dietro la quale – oltre una breve vallata – si stagliava una modesta cittadina. A poco a poco, man mano che Lissa saliva, sprazzi della città comparivano alla vista oltre l’estesa vegetazione: ora apparivano delle torri, poi dei comignoli dai quali usciva denso fumo bianco e infine le belle tegole rosse dei tetti spioventi. Lissa si strinse al fianco la propria sacca di pelle, contente alcuni barattoli di rifornimento per la propria bottega. Dolcemente, il sentiero si assottigliò pericolosamente, curvando appena a destra e immergendosi in una sorta di galleria costeggiata da una serie di querce secolari e giovani faggi, i cui rami si erano intrecciati sino a formare una sorta di verdeggiante volta sopra il suo capo. Ogni tanto era possibile scorgervi qualche panchina posta ad intervalli sui lati del sentiero. Lissa cominciò a canticchiare una canzoncina appena accennata, il suono della sua voce come unico rumore in quel quieto e silenzioso mattino. All’improvviso, una nuvola di fumo leggero le si parò innanzi, facendola tossire. « Ma cosa... » tossicchiò ancora, strizzando gli occhi per scorgere la fonte di quel terribile odore. Si voltò fino ad incontrare una figura scura seduta su una panchina fumare con tranquillità, ombreggiata dal tronco di un’immensa quercia bruna. « Ma siete matto? » sbottò Lissa all’improvviso, la voce resa roca, « Non dovreste fumare qui, potreste accendere l’intero bosco. » Rivolse uno sguardo severo alla figura, sebbene non riuscisse neanche ad identificarla.
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    Il fumo delle sigarette gli grattava aspro la gola e di tanto in tanto lo faceva tossire. Puntualmente Ewan guardava la sigaretta maledicendola ma portandosela sempre alla bocca, come ormai faceva da innumerevoli anni. - Ah, i vizi che ti lascia l'esercito...- Pensò, portandosi una mano alla bocca dello stomaco. Eh sì, dopo una serata alcolica le prime sigarette hanno sempre un sapore amaro. Fece per fischiettare quando un leggero rumore di passi, seguito da quello che pareva essere un rimprovero lo distolsero dal suo intento. Non si voltò neppure, limitandosi a vorticare una mano per aria. - Non ho alcuna intenzione piromane... Vi sembro forse un malintenzionato che lancia le sigarette accese per i boschi? - Domandò più a sé stesso che allo sconosciuto interlocutore, con tono palesemente ironico. Tossì piano, voltandosi appena contro il sole per vedere chi diamine fosse il mattiniero che aveva così tanto buon tempo da perdere, e rimase un poco sorpreso nello scorgere chiare forme femminili nella figura avvolta dalla luce. Si portò una mano davanti agli occhi, assumendo un'espressione da pesce lesso, attonita. Strizzò gli occhi ma non ci fu nulla da fare. Non riusciva a capire quale ruolo nella società ricoprisse la donna. - Siete per caso una della pulizia urbana? No, domando, perché io li raccolgo sempre i mozziconi, sa? - Disse allargando le braccia con gli occhi ridotti a fessure, come per mostrare resa alla sconosciuta. Evidentemente non aveva ancora smaltito bene la sbornia perché neppure sforzandosi riuscì a far sparire il sorriso ebete dal volto. Doveva avere anche un'espressione alquanto molesta poiché dalla controparte non giunse alcun commento. Ewan si schiarì la voce, portandosi una mano al cuore e sollevando l'altra, sigaretta spenta stretta tra le dita.- Vogliate scusarmi e lasciate che mi presenti, senza importunarla ovviamente! - Chiuse gli occhi con forza come a volerli rinfrescare dal sole che li tagliava sorgendo. Aggrottò la fronte e socchiuse le labbra. Ci fu un istante di silenzio, poi Ewan aprì un occhio, come a voler controllare se il sole si fosse spento o no. Mano a mezz'aria, l'altra sul cuore. - Oh per carità non potreste spostarvi? Mi si brucia la retina così! Ho gli occhi sensibili Madame, avanti, è mattina presto, siate comprensiva...- Allargò entrambe le braccia e assunse un'espressione supplichevole, o almeno così credette di fare. Doveva aver decisamente esagerato la nottata precedente, ecco cosa usò per convincersi di tanta esuberanza mattutina, lui che fino alle dieci pareva un involucro vuoto totalmente insensibile agli stimoli esterni.
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    Lissa si avvicinò, cercando di scorgere meglio la figura. Si trattava di un uomo sulla trentina, dai capelli scuri e la barba folta, la pelle chiara, quasi alabastrina del suo volto in totale sintonia con i suoi occhi chiari. A giudicare dal suo abbigliamento – riconosceva quella divisa, poiché era tale e quale a quella che indossava un tempo suo padre – doveva essere un militare di alto rango. Non troppo, non aveva molte stelle al valore cucite sulla spalla, ma doveva essere una sorta di capitano o tenente. L’odore denso del fumo della sigaretta dell’uomo le faceva pizzicare il naso, mentre chinava leggermente il capo per scrutarlo meglio. A giudicare dal suo stato, l’uomo non doveva essere proprio in sé. Aveva gli occhi arrossati e lucidi, le mani leggermente tremanti e una strana espressione sul viso, quasi di costante riso. Ubriaco fradicio, sentenziò Lissa dopo un’attenta osservazione. « Non ho alcuna intenzione piromane... Vi sembro forse un malintenzionato che lancia le sigarette accese per i boschi? » biascicò l’uomo, senza tuttavia neanche guardarla. A dire il vero, sì, avrebbe tanto voluto rispondergli la giovane, ma rimase in silenzio. Per un attimo, temette per sé. Ogniqualvolta si ritrovasse davanti ad un uomo ubriaco o fuori di sé, tutta la determinazione e la forza di cui Lissa vantava svanivano nell’aria come il fumo della sigaretta di quell’uomo. Non sarebbe fuggita via, certo che no, piuttosto sarebbe rimasta in costante allerta, pronta anche a difendersi se ne avesse avuto la necessità. L’uomo si voltò, mentre con una mano sulla fronte cercava di scrutarla, schermandosi dai raggi sempre più vividi del sole in ascesa. « Siete per caso una della pulizia urbana? No, domando, perché io li raccolgo sempre i mozziconi, sa? ». Lissa si sentì quasi offesa. Incrociò le braccia al petto, assumendo quel particolare broncio che aveva messo su, quando era una bambina, ogniqualvolta desiderasse qualcosa dal suo inflessibile padre. « Non sono della pulizia urbana, vi sembro forse esserlo? » rispose, una nota di nervosismo nella voce limpida. Rimase immobile come una statua, non osando avvicinarsi all’uomo per paura di scaturire in lui il desiderio di un contatto ancor più ravvicinato. In quel momento, si chiese semplicemente perché non lo liquidasse semplicemente, proseguendo indifferente per la propria strada. « Vogliate scusarmi e lasciate che mi presenti, senza importunarla ovviamente! » esclamò all’improvviso l’uomo, e Lissa balzò in aria. Ormai lo osservava senza proferir parola da qualche minuto, persa nella completa osservazione di ogni suo movimento, ogni sua espressione del viso, ogni variazione della sua voce. « Oh per carità non potreste spostarvi? Mi si brucia la retina così! Ho gli occhi sensibili Madame, avanti, è mattina presto, siate comprensiva... » Per un momento, Lissa non capì. Poi avvertì il sole riscaldarle mite la nuca e capì. Si scostò, facendosi più avanti fino a coprire totalmente il campo visivo dell’uomo. Per una qualche ragione, aveva deciso di avvicinarsi a lui e fidarsi di quelli che, almeno a suo dire – per quanto potessero valere le parole di un ubriaco – erano buone intenzioni. « Ebbene? Presentatevi. » disse semplicemente, « Desidero sapere se siete un criminale che ha rubato una divisa da militare in un attimo di follia o siete così per natura. » Sollevò il mento, lasciandosi andare alla sua espressione più fiera, sorridendo appena.
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    La figura femminile non proferì molte parole, eccezione fatta per ribattere al commento sulle operatrici della pulizia urbana, chiaramente offesa da tale insinuazione. Ewan però si era già dimenticato di averle detto simili cose, troppo impegnato a ripararsi gli occhi dal sole o ad assumere un'espressione contenuta, almeno in parte. La donna raccolse finalmente il disperato appello del Capitano e si avvicinò a lui, coprendogli finalmente il sole. La figura che si delineò davanti a lui era quella di una giovane donna dai capelli biondi, vestita e truccata di tutto punto. Fresca e felice come un fiore a primavera. L'esatto opposto di Ewan che appariva un militare alcolizzato strizzato nella divisa, barba incolta, occhiaie e capelli spettinati. Decisamente un'entrata in scena ad effetto. Strabuzzò gli occhi e rise, portandosi alla bocca la bottiglia d'acqua. Tornò dunque ad osservare la giovane donna, chiedendosi cosa diamine ci facesse in quel luogo. - Eh no, direi che non siete proprio una della pulizia urbana. Chiedo perdono Madame, i riflessi del sole e dell'alcol hanno minato la mia mente sino a questo punto...- Esorti squadrandola dal basso verso l'altro, senza volgarità. In cuor suo sapeva che a richiederglielo, tre ore dopo, non avrebbe ricordato alcuna signorina con il viso angelico e l'abito elegante ma questo evitò di esternarlo. - Con calma milady, lasciate che vi ringrazi per avermi coperto finalmente il sole che devo dire mi stava debilitando ancor più di quanto già non lo sia...- Si sistemò poi alla ben e meglio la divisa, allacciandosi i bottoni del colletto e sistemando le tasche. Osservò nuovamente la giovane mentre spostava lo sguardo da lei alle sigarette, ininterrottamente. Sbuffò allungando poi una mano verso la ragazza. - E sia Madame... Mi chiavo Ewan Hallmar, o meglio, Capitan Ewan Hallmar per servirla...- Lasciò brevemente sospesa la frase e fece un leggero inchino con il capo. - ... Tra un paio d'ore però... - Aggiunse, alludendo al suo pietoso stato di presenza. - Sono così anche naturalmente Madame, ma diciamo che i bagordi notturni hanno accentuato questo mio tratto distintivo... Vogliate scusarmi se sono poco galante ma non vi sembra l'ora di presentarvi? - Chiese infine, passando da un discorso all'altro senza un apparente logica. Era così Ewan, diretto e sfacciato, con classe ovviamente. Si portò per l'esasperazione una sigaretta alla bocca e l'accese, sbuffando una nuvoletta grigia che si disperse nell'aria, senza infastidire troppo la sconosciuta, che se ne stava lì ad osservarlo con sguardo fiero come una qualsiasi donna d'alto rango. - Sapete? Mi sembrate più simpatica delle altre donne di classe voi... Dite che è l'aria che gira da queste parti o siete così naturalmente? - Domandò ironico alludendo alla nota poca loquacità che la borghesia riservava alla plebe. Rise di nuovo. Se avesse potuto si sarebbe preso a schiaffi da solo, o amato alla follia.
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    I fumi dell’alcol? Lissa se ne rendeva perfettamente conto. Non poteva non notare lo sguardo spento del giovane uomo che, sebbene fosse quantomai arzillo e vivace, non tradiva il suo stato completamente confusionale. Lissa lo osservò a lungo, tenendosi tuttavia a debita distanza. Sebbene giunta a quel punto non lo temeva più poi tanto, qualcosa le diceva in ogni caso di stare all’erta. Conosceva bene i militari e sapeva altrettanto con certezza che non tutti potevano essere onorevoli come lo era suo padre. Alcuni si divertivano ad abusare del proprio potere, godevano di tutta una serie di privilegi di cui la divisa permetteva, in un qualche modo, di abusare. Non ci si poteva fidare, dunque, di tutti i militari. Benché meno di uno ubriaco. Lissa avrebbe saputo come difendersi, certo, non si sarebbe lasciata andare: ma quanto poteva, minuta e fragile com’era, contro un uomo di quella stazza? Si ritrovava ad essere debole e sprovveduta, se lui avesse cercato di abusare di lei, l’unica cosa che avrebbe potuto fare sarebbe stato tirargli un calcio negli stinchi. In ogni caso, però, riteneva – e sperava, soprattutto – che non ce ne sarebbe stato alcun bisogno. L’uomo le allungò una mano, sbuffando una densa nuvoletta di fumo chiaro, e Lissa fece un balzo all’indietro a quel tentato approccio inaspettato. « E sia Madame... Mi chiavo Ewan Hallmar, o meglio, Capitan Ewan Hallmar per servirla... ». Lissa si avvicinò con cautela, afferrandogli con delicatezza la mano e stringendola appena, prima di ritrarla con velocità. L’uomo parlava con un tono lento, quasi cadenzato dagli sbuffi di fumo che fuoriuscivano dalle sue labbra. Se prima l’aveva ringraziata per aver coperto con la sua misera figura il sole tanto cocente, ora le si presentava con spavalderia, esibendo un elegante inchino. A quel gesto, le scappò un sorriso divertito. Per quanto preferisse tenersi a distanza, non poteva non ammettere quanto egli, con la sua goffaggine dettata dallo stato di ubriachezza, potesse essere a suo modo divertente. « Lissa » disse, afferrandosi le vesti ed esibendosi in un breve inchino, « Lissa Seagard, ma forse non ho alcuna intenzione di servirvi ». L’uomo cominciò a biascicare qualcosa circa il proprio stato chiaramente impietoso, asserendo di non essere in forma in quanto sotto gli effetti stordenti dell’alcol. Lissa sollevò un sopracciglio, squadrandolo dall’alto verso il basso, poi sospirò. Uomini: sapevano sempre come rovinarsi l’esistenza, o peggio, la reputazione. « Sapete? Mi sembrate più simpatica delle altre donne di classe voi... Dite che è l'aria che gira da queste parti o siete così naturalmente? ». A quelle parole, la giovane aggrottò le sopracciglia, stringendo le braccia al petto. A suo dire, quella conversazione stava protraendosi fin troppo oltre, e in più era in ritardo per aprire la propria bottega. Meglio chiudere al più presto. « Non sono una donna di classe, ma avete ragione: sono ugualmente più simpatica » disse, ridacchiando leggermente, « E per natura, sì. Ora, vogliate scusarmi, ma sono in ritardo. Buona giornata ». Fece un ennesimo inchino, allargando appena le braccia, poi si voltò e si incamminò nuovamente lungo lo stretto sentiero che l’avrebbe condotta in città.
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    La giovane donna fece un balzo indietro, come spaventata dallo scatto del capitano, che aveva tutto fuorché cattive intenzioni. Evidentemente però la sua stazza e il suo stato non proprio sano avevano messo in allarme la ragazza, che si presentò infine come Lissa, stringendo appena la mano del giovane prima di ritirarsi qualche passi indietro. Ewan sorrise appena, cosciente dei pensieri che turbinavano nella mente di Lissa, che lo liquidò sottolineando il suo status sociale "normale", augurandogli buona giornata e sparendo nello stretto sentiero che portava in città. Ewan rimase immobile sulla panchina, osservando la figura di Lissa diventare sempre più piccola e senza comprenderne bene il motivo decise di seguirla. Si alzò velocemente, stirandosi e sistemandosi la divisa. Sbadigliò corrugando la fronte sentendosi quasi male al pensiero dello sforzo fisico che lo attendeva per raggiungere la giovane. Partì così a leggero passo di corsa, tossendo leggermente, mentre la distanza tra loro si dimezzava. - Aspettate Milady! Vi prego... Io... Io non sono di queste parti! Mi sono perso... - Urlò riuscendo finalmente a raggiungerla ed a superarla, fermandosi qualche metro davanti a lei. Si piegò in avanti, appoggiando le mani sopra le cosce, ansimando. - Forse non era ancora il momento adatto per questa corsa, eh...- Biascicò tra sé e sé, prima di rimettersi in posizione eretta e tornare a sorridere. Il tasso di alcolemia nel suo sangue stava pian piano scemando e di questo Ewan fu felice. Osservò la giovane che chiaramente pareva piuttosto interedetta e seccata. - Come vi dicevo pochi istanti fa, non sono originario di Giustizia e non saprei come fare a raggiungerla... Starò buono e composto Milady, sono un gentleman io... Però vi prego... - Non finì la frase poiché un colpo di tosse la stroncò sul nascere, costringendolo a piegarsi nuovamente per raccogliere la bottiglietta che nella corsa gli era scivolata fuori dalla divisa. Fece qualche sorso, lasciandosi andare poi in sbuffi di soddisfazione prima di riprendere il discorso. -... Permettetemi di venire con voi in città, altrimenti non tornerò mai a casa e sapete, il mio Maggiore non è proprio il classico bonaccione permissivo...- Allargò le braccia e sorrise bonariamente, dopotutto se avesse voluto farle qualcosa, anziché superarla correndo l'avrebbe colta di sorpresa, alle spalle. Pareva che la divisa non trasmettesse più la sicurezza che donava ai cittadini della Sword's Hilt un tempo e questa tendenza preoccupava il giovane Capitano, nonostante non lo desse a vedere. Si passò poi una mano tra i capelli scuri attendendo un cenno dalla giovane, che immobile lo osservava.
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    Il sole continuava a salire nel cielo limpido di quella mattinata, riscaldando con il suo piacevole calore il viso di Lissa. Ella però non aveva troppo tempo per goderselo. Era già in ritardo per l’apertura della bottega e, in più, quello strano tizio che aveva incontrato solo qualche minuto prima aveva persino cominciato a seguirla. I passi di Lissa si erano fatti più svelti quando aveva compreso le intenzioni del giovane, ma c’era stato ben poco da fare e la sua minuta statura era stata superata da quella più allenata e imponente di lui. Lissa lo fissò preoccupata, ormai stanca di quella situazione. Avrebbe di gran lunga preferito che lui fosse rimasto lì, in stato quasi comatoso su quella panchina. « Aspettate Milady! Vi prego... Io... Io non sono di queste parti! Mi sono perso... » biascicò, con il fiato grosso per la corsa. Lissa sollevò un sopracciglio, fermandosi di colpo. Sebbene una parte di lei fosse ormai convinta che ben poco aveva da temere di quell’uomo, l’altro lato di sé – quello più vispo, più attento – la costringeva a rimanere sulle sue. « Seguite la strada che avete percorso ieri sera per raggiungere quella panchina e vi ritroverete » rispose con sufficienza, poi lanciatogli un altro sguardo di curiosità, continuò sulla sua strada, superandolo. « Come vi dicevo pochi istanti fa, non sono originario di Giustizia e non saprei come fare a raggiungerla... Starò buono e composto Milady, sono un gentleman io... Però vi prego, permettetemi di venire con voi in città, altrimenti non tornerò mai a casa e sapete, il mio Maggiore non è proprio il classico bonaccione permissivo... »Lissa doveva ammettere che quell’uomo cominciava ad esserle sempre più simpatico. In un qualche modo, ridotto in quello stato, era quasi buffo. A tratti sembrava quasi un bambino che, perso tra le bancarelle di un mercato, desidera tornare dalla propria madre ma teme di essere sgridato per essersi allontanato senza di lei. Un risolino leggero le scappò dalle labbra quando lui citò il Maggiore dell’esercito presso cui era in servizio. Essendo cresciuta con un padre che a suo tempo era stato persino comandante dell’esercito, Lissa poteva ben capire cosa significasse. Non si poteva in alcun modo andare contro le sue decisioni: tutto doveva essere assurdamente perfetto, tutto strettamente organizzato, quasi ogni mera cosa si riducesse ad una marcia o ad un attacco militare. Suo padre era una persona pignola, severa, dal carattere piuttosto difficile e Lissa era cresciuta con il costante terrore delle sue decisioni non sempre corrette e dell’impossibilità di dire o fare come più desiderasse. In poche parole, Lissa era sempre stata una sorta di prigioniero politico. Non aveva vissuto l’infanzia spensierata che ogni bambino merita di vivere, anzi: una volta per puro capriccio suo padre le aveva tagliato i capelli cortissimi, alla moda militare, e Lissa aveva pianto per un mese intero. In ogni caso, fu proprio il ricordo di quei brutti quarti d’ora passati alla mercé di suo padre che la convinse ad avere fiducia in quell’uomo. « E va bene » acconsentì, « Venite con me, vi mostrerò la caserma ». Lo fissò per un attimo, poi sospirò: « E magari posso anche fare qualcosa per lo stato in cui vi trovate » annuì brevemente, poi gli fece cenno di seguirla.
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    Inizialmente la giovane lo osservò con sufficienza, chiaramente infastidita dalla sua perseveranza ed Ewan non poté fare a meno di comprenderla. Quando ci si metteva risultava decisamente convincente e stressante sotto ad un certo aspetto. Lissa gli intimò di ritrovare la strada che l'aveva condotto alla panchina e di arrangiarsi, proseguendo la sua camminata fino alla città dove probabilmente lavorava. L'uomo avrebbe voluto ricordarle che ricordava poco o niente della nottata, quindi un dettagli irrisorio come la strada percorsa era stato sicuramente cancellato dalla sua memoria. Non ce ne fu bisogno, poiché dopo qualche minuto di silenzio la giovane parve cambiare tono ed intenzioni, acconsentendo al militare di seguirla. Ewan allargò le labbra in un ampio sorriso e fece un inchino pronunciato, affiancando la giovane sul sentiero. - Oh vi ringrazio Milady. Siete troppo buona per essere vera...- Disse semplicemente, stiracchiandosi e sbadigliando sonoramente. Alzò poi gli occhi al cielo, trovandolo quasi completamente azzurro. Doveva essere mattina da un pezzo. - In realtà non devo arrivare alla caserma subito, sarebbe opportuno scoprire dove diamine si sia cacciato il mio amico, ma una sistemata non mi farebbe male, no...- Avrebbe voluto guardarsi allo specchio ma si convinse in fretta che non era poi così male non sapere in che stato di scompostezza si trovava. Lanciò una breve occhiata alla giovane prima di tornare a fissare diritto davanti a sé. - Percorrete questa strada tutte le mattine? Sicuramente non vi capita spesso di accompagnare militari in post sbornia... Santo cielo che figura grossolana che sto facendo...- Sospirò, immaginando l'espressione di stupore misto a scherno che avrebbe fatto il suo superiore se mai avesse osato presentarsi conciato in quel modo ad una marcia. Sicuramente le scartoffie degli uffici gli sarebbero mancate e le avrebbe rimpiante. Sbuffò nuovamente infilandosi le mani in tasca. - Ditemi Milady, di cosa vi occupate esattamente? - Chiese infine con cortesia, tirando un leggero calcio alla ghiaia e tossendo piano. Dall'aspetto pareva una donna di classe, magari impiegata presso qualche ufficio importante, albero o struttura pubblica. Magari invece si sbagliava e a dispetto dell'immagine svolgeva una mansione più comune, quale la cameriera o la segretaria. Rimase in silenzio a fantasticare sulla professione di Lissa, attendendo una sua risposta o commento.
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