I know I'm not forgiven, but I hope that I'll be given some peace.

23 Luglio 102 PA, confine tra Indipendenza ed Onore, pomeriggio inoltrato

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    Non riusciva a muoversi. Ogni piccola parte del suo corpo urlava di dolore come se fosse stato punto da milioni di aghi, ma non parlava. Non ne era in grado, semplicemente. Anche solo sforzarsi di gemere sperando che qualcuno lo sentisse era pressoché impossibile. Aveva entrambe le gambe rotte -spezzate, per la precisione, così come la spalla sinistra ed il polso destro. Il torace era ammaccato ed era stato schiacciato dal peso di uno degli aggressori, impedendogli di respirare come si confaceva ad una persona normale. La schiena era ricoperta di ferite per colpa della frusta, ed il suo volto era una maschera di sangue. Il naso era rotto, gli era saltato qualche dente e non vedeva più bene dall'occhio destro, segno che doveva averci preso un bel gancio. Era caduto a faccia avanti, stremato, e così era rimasto nel corso di quelle due interminabili ore. Aspettava soccorsi che non arrivavano, perché così aveva voluto lui. I suoi Indipendenti avevano l'ordine di ritornare alla Base in caso il loro capo non si trovasse, e così, evidentemente, avevano fatto. La sua unica speranza, seppur abbastanza vana, era Zaira. La rossa non sapeva che quel maledetto Capo di Onore l'aveva convocato per discutere un accordo, perciò non poteva sapere neanche che fosse lì, proprio oltre il confine. Non appena aveva messo piede nella Fazione rivale, erano arrivati mercenari da ogni angolo e l'avevano accerchiato. Il Moro, o più semplicemente Lloyd, gli aveva teso una trappola, e l'aveva fatto ingaggiando cinque dei migliori mercenari in circolazione. Una volta portato a termine il loro compito, tutti quanti erano andati via, chi col suo drago e chi con il cavallo. Gli era sembrato strano che uno come il Moro volesse stringere un'alleanza con lui, ma aveva rispettato i patti solo per il bene della sua Fazione. E, ovviamente, ci aveva rimesso. Quella volta, Dastan era sicuro di stare per morire. Nessuno l'avrebbe mai trovato, e probabilmente, una volta morto, Lloyd avrebbe sotterrato il suo cadavere in qualche fossa comune, in modo che neanche Zaira avrebbe potuto compiangerlo. Gli venne un conato di vomito al pensiero, ma tutto ciò che gli uscì fu una lacrima solitaria, che non riuscì però a lavare via tutto il sangue secco sul suo volto. Ripensò ad un tratto a quella che era stata la sua vita, a come l'aveva sprecata ed a come fosse convinto di volerla rivivere esattamente allo stesso modo, nonostante tutto. Non si pentiva di aver ammazzato di botte un truffatore, così come non si vergognava di aver tolto la parola a sua madre dopo che lei l'aveva rifiutato. Erano state scelte dettate dall'autodifesa che Dastan aveva sempre avuto intriseca nel suo carattere. E, quel giorno, non gli era stata neanche un po' d'aiuto. Nulla avrebbe potuto contro cinque bestioni come quelli, armati di mazze chiodate, fruste e coltelli. Fortunatamente non avevano usato gli ultimi, ma era abbastanza sicuro di aver avvertito gli altri due sulla sua pelle. Lo avevano accerchiato in un attimo, cominciando a mollargli una scarica di pugni a raffica per atterrarlo. Una volta a faccia ingiù, lo avevano picchiato, permettendosi anche di afferrarlo per i capelli e sbattergli in faccia più di un pugno dato col tirapugni. Il suo volto era praticamente sfasciato, così come il resto del suo corpo. Respirava a fatica, ed ogni volta che inspirava poteva avvertire fitte ovunque. Anche la sua schiena non era ridotta bene. Quello che lo faceva arrabbiare di più, però, era il fatto che lo avessero attaccato in gruppo. Nessuno di loro era stato leale nei suoi confronti, e Dastan era andato giù come un bambino indifeso. Si ritrovò a piangere silenziosamente, con la faccia per metà appoggiata sulla terra brulla. L'avevano umiliato. Nessuno si sarebbe mai permesso di dirgli che ce l'avrebbe potuta fare, perché era ovvio che non avrebbe potuto, ma lui si sentiva comunque una nullità. Ed aveva fin troppa voglia di ammazzare di botte Lloyd. Giurò a se stesso che, se non fosse morto, lo avrebbe inseguito fino alla fine del mondo. Le lacrime gli scivolavano sulle guance come gocce di pioggia, ma non riuscivano comunque a contrastare il sangue appiccicato e secco sulla sua faccia. Non era in grado di urlare né di muoversi, quindi, probabilmente, sarebbe morto lì.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Le avevano detto che il Capo di Onore cercava un accordo tra Fazioni ed a Zaira tutto ciò era suonato estremamente strano. Erano realmente sorti dei problemi tra i vari "vicini di casa", problemi piuttosto grossi che sembravano ruotare intorno alla sua relazione con Dastan, o almeno così le aveva detto il Capo di Giustizia non appena aveva fatto ritorno alla Base, motivo per cui la ragazza non era più andata ad Indipendenza per i successivi cinque giorni, cercando di capire quanto vere potessero essere quelle chiacchiere e, soprattutto, che cosa fare per evitare che scoppiasse una guerra sul serio, cosa di cui, per altro, Dastan era parso abbastanza sicuro fin da quando Aaron l'aveva avvisata. Lei non aveva intenzioni di rinunciare al proprio benessere e alla propria relazione perché un folle gonfio di superbia si era messo in testa di dichiarare guerra alla sua Fazione o a quella di Dastan, e sperava vivamente che anche lui la pensasse allo stesso modo. Il solo pensiero che tutto ciò avrebbe potuto minare alla sua ritrovata "stabilità" le aveva mandato il sangue al cervello e l'aveva tenuta sveglia tutta la notte a rimuginare e rimuginare, facendola dormire poi solo per un paio d'ore; ma appena sveglia, la von Row aveva ripreso a pensare assiduamente a ciò che ne sarebbe potuto essere di lei e Dastan, e anche delle loro Fazioni, dei loro compagni. E alla fine era giunta alla conclusione che da tutto ciò non ne sarebbe mai uscita se non sentendo cosa avesse da dire Dastan a riguardo, motivo per cui aveva mangiato un boccone al volo e poi aveva lanciato il cavallo alla volta di Indipendenza.
    Cavalcò più veloce che poté, arrivando ad Indipendenza impiegando molto meno tempo del normale, ma inutilmente. Bussando alla porta, con fare anche piuttosto innervosito e mostrando una chiara fretta di ricevere risposta, Zaira si sentì dire che "il Capo era partito da un'oretta buona per andare ad Onore e che non serviva che si preoccupassero per lui", una risposta che più di una volta le avevano dato, generalmente quando Dastan se ne stava a girovagare per il bosco da solo. Ad Indipendenza sembravano tutti tranquilli, come se la minaccia di una guerra non fosse così reale, perciò non c'era da meravigliarsi se nessuno si era preoccupato per le sorti del loro Capo che andava in visita in un'altra Fazione; ma lei era più apprensiva, estremamente più apprensiva, anche perché sapeva benissimo come stavano le cose e conosceva Llyod quel tanto che bastava per non poter stare tranquilla in alcun modo: temeva, anzi, ne era quasi certa, che avrebbe tirato a Dastan un tiro mancino. Immaginò il motivo che aveva spinto i due Capi ad incontrarsi, ma non riuscì a capacitarsi della stupidità di Dastan nell'accettare di vedere quel verme nella sua Fazione e non ad Indipendenza, dove sarebbe stato più al sicuro. Aspettò un po', circa una mezz'oretta, ma poi l'ansia e la pressione sempre maggiore esercitata da uno strano presentimento la spinsero a montare nuovamente in sella al cavallo e dirigersi ad Onore.
    La strada era parecchio lunga se presa da Indipendenza, e chiaramente Zaira ci mise parecchio a raggiungere il confine tra la sua Fazione e quella del Moro; trovò una quiete surreale ad attenderla, dettaglio che subito le fece accendere il campanello d'allarme in testa. Una tale calma la si poteva trovare tra Giustizia ed Indipendenza, ma al confine con Onore le cose erano rimaste come sempre, caratterizzate da scorribande e scontri più o meno violenti, anche di giorno. Si aspettava di essere accerchiata da un momento all'altro, o di essere attaccata in qualche modo, ma la von Row riuscì a varcare il confine tra Giustizia ed Onore incolume. Una volta al di là del confine, però, Zaira realizzò di non sapere dove andare a cercare: aveva la spiacevole sensazione che Dastan non fosse mai arrivato alla Base di Onore, dove probabilmente si sarebbe dovuto svolgere l'incontro, ma forse era solo la sua paura a spingerla a farsi mille inutili congetture. Lasciò che il cavallo andasse da sé, camminando sulla strada che portava dritti alla Base e solo per caso i suoi occhi si posarono su un qualcosa in mezzo all'erba, distante qualche metro dalla stradina. Zaira non riuscì a muoversi in quella direzione, non subito almeno: quello che vedeva sembrava era un oggetto -forse- ricoperto di terra e non solo: sembravano macchie rosse, piuttosto scure viste da quella distanza, ma sarebbe potuto essere benissimo del sangue, il che la paralizzava. Se quello sdraiato lì nella terra fosse stato Dastan? Lei non era del tutto certa che avrebbe retto il peso di saperlo lì, morto magari. Ma sapeva anche, ancor meglio di tutto il resto, che non poteva rimanere lì inerme, con le mani in mano, che se poteva fare qualcosa, doveva farla. Smontò quindi da cavallo e cominciò ad avvicinarsi, dapprima lentamente e poi, quando si rese conto che quello che era sdraiato lì a terra non poteva essere che un uomo, cominciò a correre.
    Vedere Dastan a terra, coperto di sangue e con gli arti scomposti -almeno quelli inferiori, sicuramente spezzati- le tolse completamente il fiato per un paio di secondi e la portò poi a cadere in ginocchio accanto al corpo di lui. -Dastan.- decise di provare a chiamarlo, con una voce tremante e decisamente poco convinta, poi continuò ancora cercando di scuoterlo un po', schiaffeggiandolo leggermente nel tentativo di farlo rinvenire -perché era vivo, doveva esserlo, considerando che il suo petto si abbassava e si alzava. Non in modo regolare e neanche in modo troppo percettibile, ma Dastan ancora respirava. -Dastan, ti prego, tu no..- le parole le morirono in gola, completamente. Voleva dirgli che non poteva morire, non adesso, non in quel modo, non per motivi del cazzo. Non poteva lasciarla sola, non così presto, non ancora. Zaira fissava il volto dell'uomo, aspettandosi che da un momento all'altro lui aprisse gli occhi, si muovesse e desse qualche segno di vita, e continuò a scuoterlo per far si che ciò accadesse. E alla fine Dastan, forse sentendola, cercò di aprire gli occhi e di dire qualcosa, ma tutto ciò che gli uscì fu una specie di rantolo di puro dolore. Vedendolo reagire, la rossa si riscosse: poteva ancora salvarlo. -Resisti Dastan, solo un po'.- Che potesse udirla o meno, Zaira lo incitò ancora a combattere e poi si alzò e corse verso il suo cavallo, montando in sella e lanciandolo al galoppo, facendolo correre come se l'inferno si stesse aprendo dietro di loro e correre fosse l'unica via di salvezza.

    -Mettetelo qui. Piano, dannazione, piano!- lo Stregone/medico di turno urlava a squarcia gola ai tre ragazzi che tenevano Dastan per le braccia, le gambe e le spalle -Gli vanno evitati altri traumi.-
    Gli indipendenti erano accorsi subito non appena Zaira, le mani imbrattate di sangue, gli occhi gonfi di lacrime piante durante il tragitto, aveva fatto irruzione nella Base gridando che le serviva aiuto e che a Dastan era stata tesa una trappola. Ronald, uno dei più fedeli all'Orso del Nord, era stato il primo a sellare il cavallo e partire, ed era stato imitato da altri due di cui lei non conosceva il nome. Avevano galoppato come folli ed avevano trovato Dastan dove Zaira lo aveva lasciato, ovviamente, ma completamente privo di sensi; cercando di essere più delicati possibili, lo avevano poi sistemato su uno dei cavalli ed erano tornati ad Indipendenza, dove nel frattempo erano arrivati alcuni Stregoni esperti. Zaira voleva rimanere nella stanza di Dastan, vedere cosa succedeva, ma non gli fu permesso in alcun modo; gli Stregoni avevano bisogno di calma totale, e lei non gliel'avrebbe concessa.
    Zaira von Row @
     
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    Gli sembrò che fossero trascorsi anni. Ogni piccolo respiro, ogni battito di ciglia ed ogni movimento impercettibile delle dita delle mani erano per lui come scalare una montagna. Sopravvivere in una situazione del genere era pressoché impossibile. Vedeva sempre più sfocato, il respiro gli si mozzava improvvisamente, e sicuramente i dolori a tutto il corpo non lo aiutavano. Quello che sperava era che non ci fossero ferite interne, magari agli organi. Nonostante tutto, voleva vivere. Si era sempre detto che avrebbe accettato la morte quando sarebbe venuta a prenderlo, e forse fino a qualche mese prima lo avrebbe fatto. L'avere una persona che, comunque, teneva a lui in modo particolare l'aveva cambiato. Non aveva mai avuto accanto a sé una donna come Zaira, e forse quel modo di vivere aveva cominciato a piacergli. Insomma, lo stare assieme. Ancora una volta, gli venne un conato di vomito, ma probabilmente i muscoli erano troppo deboli per farlo rigettare veramente. Quando si arrabbiava -e quando ci si aggiungeva la disperazione- Dastan funzionava così. Tutto il suo corpo si ribellava a quella che era una situazione anomala per lui, visto che si era sempre trovato ad infliggere, e non a farsi infliggere. Avrebbe riflettuto su quelle cose. Forse la vita da Vigilante non faceva per lui. Magari, se per qualche assurdo motivo fosse sopravvissuto, se ne sarebbe andato. Avrebbe fatto il falegname a Libertà, in modo che nessuno lo avrebbe più tormentato. Né antichi nemici, né parenti, né compagni di Indipendenza. In quel momento, si era accorto come fosse tremendo essere pestati quasi a morte. Probabilmente era così che si era sentito Jason, anche se forse non aveva avuto il tempo neanche di pensare a ciò che stava succedendo. Gli era svenuto tra le braccia, eppure Dastan aveva continuato fino ad ammazzarlo. Il ricordo del suo volto deformato gli riempì il cervello quasi come a punirlo. Era sicuro che si sarebbero scontrati anche nell'aldilà.
    Quando ormai sembrava aver perso tutte le speranze, avvertì dei rumori. Un cavallo, probabilmente. Cercò di muoversi, o perlomeno di alzare un braccio, ma tutto ciò che fece fu rantolare. I passi degli zoccoli, però, si fermarono. Qualcosa si riaccese in Dastan, qualcosa che era sempre stato lì ma si stava affievolendo pian piano, come una piccola fiamma che tutto d'un tratto si ravvivava: la speranza. Ci fu un momento di silenzio, durante il quale il cavaliere doveva probabilmente aver smontato di sella. Sperò con tutto il suo cuore che, chiunque fosse, lo vedesse. E, se fosse stato un nemico, che lo finisse. Non poteva soffrire ancora così tanto, non voleva. All'improvviso, però, i passi si fecero frenetici, fino a quando qualcuno non si inginocchiò accanto a lui. Una zaffata di profumo familiare gli arrivò alle narici, e fu solo perché non ne era in grado che non scoppiò a piangere: Zaira. Il pensiero gli saettò fino ai Vigilanti di Onore, che sperava se ne fossero andati. Se l'avessero trovata lì, di certo non l'avrebbero risparmiata. Lo chiamò, tentando di scuoterlo, ma il Vigilante non sapeva come farle capire che c'era, era ancora vivo, ma non riusciva a muoversi. Gemette così piano che probabilmente lei non lo sentì. Lo chiamò ancora, con la voce spezzata, ed udirla parlare in quel modo non fece altro che frantumargli il cuore. Non era normale che una come lei vivesse due morti di due fidanzati, no. Perché era venuta lì? Non avrebbe potuto lasciarlo morire? Guardarlo un'ultima volta ed andarsene? Tanto, ormai, era più che sicuro che non ci fosse nulla da fare. Neanche un Anziano avrebbe potuto salvarlo. Lei continuò a scuoterlo, evidentemente non sapendo che anche solo sfiorarlo gli procurava dolore. Con un ultimo sforzo, Dastan riuscì a rantolare più forte che poteva, ritrovandosi a piangere di nuovo. Probabilmente Zaira non se ne sarebbe accorta, ed era meglio così. Gli chiese di resistere, poi si alzò e corse di nuovo al cavallo, andando via. Per un attimo, la vide cavalcare, e percepì di nuovo la sensazione dei suoi capelli che gli solleticavano il corpo, o le labbra che si poggiavano sulle sue, e capì che non era più una relazione così blanda come aveva creduto. Lei ci si era impegnata, ed era venuta persino fino a lì per aiutarlo. Perso in quei pensieri, l'animo di Dastan cedette e lui svenne, cadendo in un buio sempre più oscuro.
    Dastan Dauthdaert @


    anziani • Erwin, Astrid, Balder, Simon • age unknown
    Ronald li aveva chiamati all'improvviso, semplicemente collegando le loro menti con quella di un suo compagno Stregone. "Sbrigatevi, il nostro Capo sta per morire!" aveva urlato. Quei quattro Anziani conoscevano bene il caro vecchio Ronald: il fratello era stato uno Stregone brillante al Boschetto, e nonostante lui fosse un Vigilante, lo era venuto spesso a trovare. Gli Anziani avevano trovato in Ronald un buon esponente della sua categoria, e si erano affezionati parecchio a lui. Per quel motivo, quando li aveva chiamati, erano accorsi in sella a quattro magnifici stalloni bianchi. Qualcuno li avrebbe potuti anche scambiare per creature della foresta, se li avessero visti correre in quel modo. Arrivati ad Indipendenza, avevano trovato una frotta di ragazzini attorno al fatidico Capo, che sembrava privo di sensi. Gli venne incontro una ragazza dai lunghi capelli rossi, ma loro la ignorarono ed ordinarono di trasportare Dastan -così si chiamava il malcapitato- sul suo letto. Inutile dire che lo fecero senza pensare e furono anche maldestri, perciò Erwin fu costretto a sgridarli. Una volta accomodato il Capo, gli Stregoni Anziani entrarono nella sua stanza e si chiusero la porta alle spalle. Quello che ne seguì fu tremendamente difficile anche per loro. Ore su ore di cantilene per cercare di favorire la guarigione, piccoli incantesimi locali per riparare quello o quell'altro osso, e sicuramente la rossa che batteva sulla porta non li aiutava. Gli altri capirono che Astrid era irritata dal suo sopracciglio inarcato. Dopo ben sei ore, ciò che era stato possibile era stato fatto. Il corpo del giovane giaceva sul suo letto, apparentemente senza vita. Le labbra erano viola, il volto pallido, seppur ancora un po' sporco di sangue. Simon l'aveva pulito alla bene e meglio, perché pensava che sarebbero stati in grado di curarlo. Fu Balder ad uscire dalla stanza per primo, e fu lui ad accogliere la rossa ed a trattenerla quando quella scoppiò a piangere e si dibatté. Astrid la guardava con le lacrime agli occhi, sicura di non voler mai provare ciò che stava provando lei. Al pensiero, lanciò uno sguardo carico d'amore a Simon. Poi le si avvicinò con calma, poggiandole una mano sulla spalla e pensando un incantesimo che l'avrebbe tranquillizzata. Una sorta di sedativo, insomma. Zaira si afflosciò su se stessa, con nessun'altra idea che piangere. Lei la raggiunse poggiandole poi entrambe le mani sulle braccia e costringendola a guardarla.
    « Ascoltami, Zaira. Dastan non è completamente morto. Lo abbiamo semplicemente... addormentato. Dovrai essere paziente, e soprattutto non troppo speranzosa. Noi, nel corso di queste settimane, proveremo a curarlo pian piano. Ma... nulla è certo. »le disse soltanto. Le diede un bacio sulla guancia, ed i quattro Anziani, chi col sudore sulla fronte e chi pallido in volto per lo sforzo, andarono via. Avevano fatto il loro dovere, ma soprattutto tutto ciò che era stato possibile. Ronald li guardò sfilare davanti ai suoi occhi pieni di lacrime, poi si accasciò addosso al muro. Astrid, per evitare di farsi vedere mentre piangeva, corse via prima degli altri. Le dispiaceva sempre lasciare una persona in quello stato, perché nulla era sicuro. Sarebbe potuto morire il giorno dopo come avrebbe potuto rialzarsi pimpante dopo un mese. Sospirò, dando una leggera spinta al cavallo e partendo al galoppo.
    Seniors @
     
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    Vigilante • Another story of the Bitter Pills of Fate.
    Vederlo completamente immobile sul cavallo su cui l'avevano sistemato era una visione dura da sopportare, un'immagine dalla quale Zaira non aveva staccato mai gli occhi fino a che non erano arrivati ad Indipendenza, nonostante la volontà di guardare altrove. Faceva troppo male vederlo e non poter fare assolutamente nulla per lui. Ma non avere il permesso di stargli accanto e di guardarlo mentre combatteva per la vita o si lasciava andare alla morte, quello la feriva ancora di più. Per questo, fuori dalla stanza di Dastan, Zaira non si dette pace neanche per un secondo: gli Anziani le avevano detto di attendere fuori, ma chiaramente non avevano pensato minimamente a specificarle la durata delle loro cure, che durarono per ore, ore interminabili in cui a nessuno fu permesso di entrare -la porta era addirittura stata bloccata con qualche incantesimo- e nessuno dei quattro Anziani uscì da lì per dare a lei ed a tutti gli altri ammassati lì fuori qualche notizia, bella o brutta che fosse. Più i minuti passavano e più Zaira diventava incontrollabile ed intrattabile; la notizia dell'agguato a Dastan aveva già raggiunto Giustizia e Sam era volato da lei nel giro di un paio d'ore, ma neanche la presenza di quel suo grandissimo amico, per lei quasi un fratello, aveva potuto consolarla o esserle in qualche modo d'aiuto.
    -Sono ore che sono lì dentro, Sam, ore!- gli disse non appena riuscì a sciogliersi dall'abbraccio di lui, così veloce che non era riuscita ad evitarlo -Ore che cantano quei cazzo di incantesimi senza degnarsi di dirci se stanno facendo effetto o meno!- Aveva la voce rotta dalla rabbia, dal nervoso, dall'angoscia e dalla paura. Non avrebbe potuto sopportare un'altra morte come quella, di cui per altro si sarebbe potuta sentire in colpa per il resto della vita; era un pretesto per far scoppiare la guerra, quella loro storia, ma se non fosse stato per lei e per quella relazione, di certo Dastan se ne sarebbe stato molto più tranquillo ed avrebbe rischiato almeno due pestaggi in meno. Non avrebbe retto il peso del senso di colpa, non anche questa volta: se Dastan fosse morto, lei gli sarebbe andata sicuramente dietro.
    Sam la guardava con un'espressione mortificata, come se anche lui si sentisse in colpa per essere del tutto impotente, e non era l'unico: c'era anche Ronald fuori dalla stanza del suo Capo, e con lui altri volti a lei familiari, e tutti la guardavano con la stessa espressione mentre lei passeggiava avanti e indietro senza sostanza, mentre si mordeva le labbra con forza quasi fino a farle sanguinare o si sfregava le mani con fare nervoso, il tutto mentre ripeteva che voleva notizie. -Sono passate almeno quattro ore, cazzo!- sbottò ad un certo punto, avvicinandosi alla porta e tentando di aprirla. Non riuscendoci, prese a battere con forza i pugni contro di essa, urlando agli Anziani di uscire dalla stanza e far sapere loro qualcosa. -Così non migliori la situazione, Zaira.- le disse Sam, con la massima calma, afferrandola e trascinandola lontana dalla porta, mentre lei si dimenava e gli urlava di lasciarla andare. Si sentiva sempre meno in forze, eppure, allo stesso tempo, sapeva che la sua rabbia l'avrebbe portata a sfondare quella porta se solo non fosse stata incantata. Ed avrebbe potuto sfuggire anche alla presa di Sam, se solo questo non l'avesse fatta girare ed avesse piantato gli occhi nei suoi. -Devi darti una calmata, non aiuti gli Anziani così facendo e non aiuti neanche lui.- le sue parole suonarono come un amaro rimprovero. -É che... io... io non..- prese a balbettare lei, e all'improvviso sentì gli occhi gonfiarsi di nuove lacrime, quelle che aveva tentato di ricacciare indietro durante tutte quelle ore, ma che in quel momento, probabilmente, non avrebbe potuto fermare. Sam l'abbracciò e questa volta Zaira non si oppose: pianse tutte le sue lacrime, singhiozzando come se non ci fosse stato un domani. -Non posso perdere anche lui, Sam, non lo sopporterei.- riuscì a confessargli tra un singhiozzo e l'altro. Si aspettò qualche altra parola di conforto da parte dell'amico, ed invece a parlare fu Ronald, che le si avvicinò e la sfiorò appena con la mano, un gesto piuttosto imbarazzato ma spontaneo. -Il Capo è più forte di quel che pensi, Zaira, ed ha più di una ragione per tenersi stretta la vita.- disse il ragazzo, abbozzando anche un sorriso -Devi crederci, devi credere che ce la farà.- Zaira fissò Ronald dritto negli occhi, continuando a piangere ma smettendo di singhiozzare: nessuno lì l'aveva mai vista di buon occhio, Ronald un po' meno degli altri ma lei era certa che l'avrebbe sempre e comunque preferita lontana dalla Base e da Dastan. Eppure ora era lì, a consolarla, ed era partito alla volta di Onore quasi senza il bisogno che lei gli desse spiegazioni. La rossa l'avrebbe voluto ringraziare, ma non riuscì a parlare e fu un enorme sforzo per lei cercare di sorridere.
    Le lacrime continuarono a rigarle il viso per un'altra ora abbonante, ma non singhiozzava più ed aveva evitato di riprendere a battere i pugni contro la porta, ma non aveva smesso di passeggiare e sbruffare. Alla fine, poi, dopo tutto quell'interminabile tempo, gli Anziani uscirono dalla stanza di Dastan e si diressero subito verso di lei, chiamandola per nome. Il più anziano la guardava senza dirle nulla, e ciò le fece scorrere un brivido lungo la schiena, facendola pensare al peggio e facendola anche riprendere a singhiozzare. Balder la sostenne ed Astrid, che gli si affiancò, le fece un incantesimo -probabilmente, non disse nulla in realtà- che la fece calmare anche contro la sua volontà. Quindi Balder riprese la parola e le disse che non era morto, ma che non era neanche vivo, quindi non doveva cantare vittoria troppo presto. Forse a causa dell'incantesimo che le avevano fatto, forse proprio perché non sapeva come dover reagire a quella notizia, né bella né brutta, fatto sta che Zaira non ebbe alcun genere di reazione. Continuò a piangere e singhiozzare e tremare, guardando fisso davanti a sé, guardando il vuoto lasciato dagli Anziani che ad uno ad uno uscirono dalla stanza di Dastan e se ne andarono, con la promessa che avrebbero continuato a curarlo nei prossimi giorni. Calò poi il silenzio intorno a lei: probabilmente tutti si aspettavano che entrasse nella stanza o che lasciasse passare loro. Ma doveva entrare lei, lei soltanto. A fatica, sentendosi ora estremamente debole, Zaira mosse prima un piede e poi l'altro, accostando un po' la porta alle sue spalle ed avvicinandosi molto lentamente al letto. Ora che il sangue era stato ripulito alla bell'e meglio, si vedevano tutti gli ematomi ed i tagli lasciati da quelli che l'avevano pesato, e risaltavano ancor meglio sulla pelle pallidissima che aveva; facevano male solo a vederli, e Zaira non osava immaginare come si era potuto sentire Dastan. Si sedette sul letto, fissandolo in silenzio e poi prendendogli una mano, come se inconsciamente credesse che quel contatto potesse aiutarlo in qualche modo. Tirò sul col naso, quindi si asciugò le lacrime. -Non ti azzardare a lasciarmi Dastan, mi hai sentito?- cominciò a dirgli a quel punto -Perché mi costringerai a seguirti e continuerò comunque a tormentarti anche nell'adilà, perciò non... non lasciarmi.- Se riuscì a mantenere la voce semi-ferma fu solo perché sapeva di dover essere forte, non per se stessa, ma per Dastan. Gli sarebbe rimasta accanto tutta la notte, anche a costo di non dormire o di farlo in quella posizione, seduta semplicemente sul bordo del letto, ed avrebbe continuato a pregare, a sperare che in qualche modo si salvasse.
    Zaira von Row @
     
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    Era un posto strano. Non avvertiva rumori, eppure sapeva di stare bene e di essere, dopotutto, in forma. Le forme attorno a lui erano sfocate, sfumate, ma poté riconoscere la Base di Indipendenza, e più precisamente la sua stanza. Le voci gli giungevano lontane, e l'eco era troppo forte per poter distinguere che cosa diavolo stessero dicendo. Dastan si aggirava per la Base con passo lento, come se fosse stato effettivamente rallentato da un incantesimo. Poi, successe una cosa strana: davanti a lui, passò una macchia indistinta, di colore rosso fuoco, e fu veloce come la luce. In qualche modo, lui era l'unico ad andare così piano. Gli giungeva un pianto fastidioso alle orecchie, ma non sapeva dire come mai non lo sopportasse a tal punto. Gli pareva che fosse così triste da fargli rigirare lo stomaco, e c'era qualcosa in quella voce che gli spezzava il cuore. Sapeva solo che, probabilmente, era morto. Altrimenti non sarebbe stato possibile vedersi steso sul letto, inerme, seppur in modo sfocato e confuso. Ciò che lo inquietò di più, però, fu il gruppo di persone attorno a lui che cantavano qualcosa, come se stessero facendo un rituale particolare: Stregoni. Non si fidava delle persone con la magia, non amava quel genere di cose. Perché li avevano fatti venire lì? Non sarebbe stato meglio lasciarlo morire? Non avrebbe mai vissuto come un vegetale. Piuttosto, si sarebbe morso la lingua per soffocare nel suo stesso sangue, o avrebbe trattenuto il fiato fino a morire. Dovevano lasciarlo andare. All'improvviso, un grido tagliente gli fece male ai timpani, tanto che fu costretto a coprirsi le orecchie ed a strizzare gli occhi. Era strano, perché era tutto rallentato, eppure i suoni gli giungevano più forti che mai, in quel momento. Dei pugni contro la porta, poi, lo fecero voltare di scatto: fissò la serratura della porta saltare di qua e di là, eppure non cedeva. Magia. Tornò ad osservare gli Anziani, ed uno di loro si ritrovò a fissarlo dritto negli occhi. Sbatté freneticamente le palpebre, cercando di capire se Dastan fosse una visione o semplicemente un fantasma. A quel punto, l'Orso del Nord si fece avanti, allungando un braccio verso il biondo.
    « Che cazzo mi state facendo? » gli chiese, ma quando lo toccò scoprì di essere intangibile. La sua mano scomparve in mille granelli di polvere, e poi riapparve quando questi si unirono. Il biondo deglutì, osservandolo, poi tornò alla sua versione reale, cantilenando qualcosa. Dastan lo guardava sbalordito. Come era possibile che gli stesse succedendo tutto quello? Non aveva mai pensato alla morte in quel modo. Si era sempre aspettato, semplicemente, come di addormentarsi, e poi più nulla. Invece era lì, alla Base, a girovagare come un manichino. Mentre gli Anziani cantavano gli incantesimi, Dastan si sentiva sempre meglio. Non era comunque tornato in sé, ma la sua anima -se quella era- era sempre più in forma. Arrivò persino a distinguere per bene le persone ed a sentire ciò che dicevano in tempo reale. La bruna, l'unica donna, aveva l'espressione contratta a causa di tutto quel chiasso prodotto di fuori, ma sembrava si stesse impegnando seriamente. Si chiese chi fossero, e come mai fossero venuti ad aiutarlo. Gli sembrò che fossero trascorsi solo pochi minuti quando gli Anziani, in gruppo, si diressero verso la porta e la aprirono. Dastan li seguì, uscendo dalla sua stanza. Ciò che vide fu straziante. Zaira piangeva e tremava, mentre gli Indipendenti fissavano gli Anziani con gli occhi sgranati e pieni di lacrime. La rossa si accasciò addosso a quello che gli pareva Sam, ma Dastan non ebbe alcuna reazione. In quella situazione, non riusciva né a piangere né a sfogarsi, come se fosse solo un riflesso di se stesso. Vedere Zaira ridotta in quel modo gli faceva male, ma non aveva modo di esternarlo. I minuti -o forse ore, o giorni- passavano veloci. Proprio mentre Dastan la guardava, la rossa si alzò ed entrò in camera sua, sedendoglisi accanto. Gli prese la mano -che, probabilmente, era fredda come il ghiaccio- e Dastan avvertì la sensazione della sua pelle contro quella di lei. Gli disse che non poteva lasciarla, e che l'avrebbe tormentato nell'aldilà se l'avesse fatto. Il Vigilante le si avvicinò con dei passi lenti, guardandola in volto: era distrutta. Allungò una mano per carezzarle la nuca, ma quella scomparve di nuovo. La frustrazione era fin troppo cresciuta in lui, che se avesse potuto avrebbe spaccato tutto. Non era vita quella: aggirarsi per la Base senza poter toccare Zaira, né tantomeno parlarle.
    « Ci proverò, Zaira. Ci proverò. » le rispose.
    Dastan Dauthdaert @
     
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