We’re so much stronger than before, our fraying edges on the mend.

Base dei Vigilanti, mattino, 19 agosto 102 PA

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    Vigilante • I want the night just to colour the day,the morning to chase all my nightmares away.
    Dormire poco e male la notte -a volte neanche nel suo letto- mangiare il minimo indispensabile, fare avanti e indietro tra Giustizia ed Indipendenza un giorno si e l'altro anche era estenuante, ma ormai, dopo quasi un mese, Zaira ci aveva quasi fatto l'abitudine. Non poteva dire che fosse facile, tutt'altro anzi, perché di cavalcare in quelle calde giornate di Agosto la von Row ne avrebbe anche fatto a meno, se non fosse stato indispensabile. Indispensabile per lei, per altro, perché in realtà da un mese a quella parte non faceva altro che fare la "balia" ad un uomo pressoché in coma e già con un piede nella fossa, nonostante gli Anziani fossero sempre più speranzosi di rimetterlo in sesto al più presto. Zaira si sforzava di farsi forza e di essere fiduciosa, se non altro per tirare avanti ancora un altro giorno: aveva a stento sopportato la morte di Tommen, e per quanto Dastan non fosse neanche lontanamente come il suo primo ed unico uomo, comunque lei ci si era affezionata più di quanto avesse creduto, e le lacrime che quasi ogni giorno versava nel vederlo costantemente infermo sul letto, ne erano una prova, perciò non avrebbe assolutamente retto anche il peso di quella mancanza.
    Ormai a Giustizia sapevano perfettamente di non poter contare su di lei: molti dei suoi compagni Vigilanti erano furiosi a causa di quel comportamento da parte di quella che avevano sempre considerato il loro vero Capo ed arrivavano addirittura a darle della "traditrice"; altri ancora, quelli che la conoscevano meglio e che le volevano bene, non la biasimavano affatto per quel che stava facendo per quello che, dopo tutto, era il suo ragazzo. Zaira passava le sue intere giornate ad Indipendenza sperando che da un momento all'altro, dopo le cure magari, Dastan si risvegliasse e le regalasse il bel sorriso che solo in un'occasione aveva sfoggiato, ma più che sperare che si salvasse e fargli sentire che non era solo, lei di certo non poteva fare nulla; Ronald le diceva spesso di andarsi a riposare o di mangiare qualcosa, visto che aveva perso qualche chilo, ma lei non sentiva ragioni se non quando la fame o la stanchezza prendevano il sopravvento e la costringevano a tornare a Giustizia per riprendersi un po'. Ma tempo una notte, e la rossa tornava a quella che, per forza di cose, era diventata un po' come una seconda casa per lei, e dove, per fortuna, le persone avevano cominciato ad apprezzarla.
    E così aveva fatto anche in quell'occasione: il pomeriggio prima era tornata a Giustizia, innanzitutto per farsi un bagno che la aiutasse a rilassarsi, per cambiarsi i vestiti, mangiare qualcosa e farsi una dormita nel suo letto, e con l'occasione discutere anche le faccende di natura burocratica, anche se le mancavano la volontà e lo spirito. Ma Onore si stava muovendo fin troppo, tanto da arrivare a coinvolgere persino persone esterne ai Vigilanti e così stava facendo anche Giustizia, e probabilmente non sarebbe passato molto tempo prima che anche le due rimanenti Fazioni decidessero il da farsi. Comunque lei aveva ben poco da dire, era ovvio quale fosse il suo pensiero e quale sarebbe stato il suo schieramento, perciò si era preoccupata più di riposare che di pianificare. La mattina, neanche troppo di buon ora -si era fatta una dormita decisamente lunga- Zaira aveva sellato il cavallo ed era partita di nuovo alla volta di Indipendenza. La accolse uno strano silenzio, un segnale che non le piacque neanche un po' visto e considerato quanto fossero indaffarati in quella Base da quando il loro Capo era stato attaccato, un po' come se tutti i Vigilanti preferissero tenersi impegnati piuttosto che pensare alla situazione. Zaira entrò nella Base senza preoccuparsi, come al solito, di annunciare la propria presenza, e si diresse subito verso la stanza di Dastan. Trovò la porta completamente spalancata, ma non si sentiva nessuno all'interno e quando varcò la soglia, con enorme sorpresa, la scoprì vuota. Completamente vuota. La rossa rimase a fissare il letto vuoto in cui si sarebbe dovuto trovare Dastan per un paio di minuti buoni, rimanendo in silenzio ed in piedi appena oltre la porta, la bocca semiaperta. Si chiese istintivamente dove fosse l'Orso del Nord ed il suo cervello riuscì a produrre solo le peggiori ipotesi: l'avevano dovuto spostare al Boschetto perché le sue condizioni si erano aggravate e gli Anziani lo dovevano curare lì piuttosto che ad Indipendenza, oppure.. Oppure la peggiore di tutte. Non appena l'idea della morte di Dastan le sembrò tra tutte la più concreta, Zaira cominciò a tremare e dovette poggiare una mano al muro per sostenersi: non era possibile fosse andata a finire in quel modo, non dopo tutto quel tempo in cui gli Anziani l'avevano rassicurata e soprattutto non proprio in quel misero arco di tempo in cui lei si era assentata. -Ronald.- le venne istintivo chiamare quello che, tra gli Indipendenti, le era stato più vicino in quel mese, ma l'uomo sicuramente non poté udirla perché a stento la voce le uscì dalla bocca, tanto era grande la paura di quello che le avrebbe potuto dire. Prese quindi a vagare per la Base come un'anima in pena, cercando qualcuno che le potesse dare spiegazioni. Vide poi, di sfuggita, qualcuno uscire dalla sala centrale di Indipendenza, e non appena quello aprì la porta, dalla stanza uscì fuori anche un chiacchiericcio sommesso; quello che uscì non la notò neppure e Zaira non ebbe il coraggio di chiamarlo, così come non ebbe il coraggio di aprire subito la porta ed andare a chiedere a qualcuno cosa diavolo stesse succedendo quella mattina. Anche in quell'occasione, sostò un minuto abbondante davanti alla porta, una mano sulla maniglia. Di sicuro, se non fosse stata terrorizzata dalle novità, Zaira sarebbe entrata in quella stanza ed avrebbe alzato un polverone di proporzioni esagerate.
    Indugiò parecchio la von Row, tanto che alla fine non fu lei ad aprire la porta: un gruppo di ragazze uscirono dalla stanza, spalancandole la porta davanti agli occhi e fissandola poi con stupore. Avevano uno strano sorriso dipinto in volto, ma non le dissero niente e si allontanarono in fretta, ridendo. Zaira inarcò un sopracciglio, le seguì con la coda dell'occhio e poi tornò a guardare nella stanza: non l'aveva mai vista così affollata, tanto che si sentiva di affermare con sicurezza che tutti gli Indipendenti si erano radunati lì per chissà che cosa. La guardavano come se fosse stata una visione rara, un miraggio; alcuni dei presenti uscirono, altri si fecero da parte. Zaira incontrò lo sguardo di Ronald, tra i tanti che le venivano rivolti, e lo vide rilassato e felice. E allora capì, non immediatamente, ma appena le persone si fecero da parte creandole un varco fino alla parte opposta della stanza, tutto le fu più chiaro. Le lacrime le salirono agli occhi, ma questa volta avevano un sapore diverso, ed automaticamente il sorriso le si dipinse in volto. La Giusta percorse a grandi passi la stanza e su una delle poltrone ci trovò Dastan, sveglio, finalmente sveglio. Zaira si sentì venir meno, aveva sognato quel momento per tutto quel tempo ed ora che era arrivato se ne stava con le mani in mano ed incapace di dire qualsiasi cosa: il suo istinto le diceva di saltargli addosso, ma sapeva che gli avrebbe fatto troppo male, perciò si trattenne, si portò le mani al viso, all'altezza del setto nasale e poi le lanciò letteralmente verso il viso di lui, prendendoglielo e poi tirandolo leggermente verso di sé e baciandolo. In mancanza di parole ed impossibilitata a stringerselo a sé per paura di fargli male, quella era l'unica cosa fosse in grado di fare per esprimere la sua ritrovata felicità.
    Zaira von Row @


    Edited by varden - 28/3/2014, 22:42
     
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    Aveva aperto lentamente gli occhi. Era strano essere stato in coma per mesi e non ricordarsi tutto quello che, all'insaputa degli altri, aveva vissuto. Era stato vicino a Zaira in forma fantasma, se quello poi era stato davvero. Aveva cercato di farsi sentire in tutti i modi, eppure nessuno sembrava essere stato in grado di stabilire con lui una sorta di contatto. Solo lo Stregone biondo sembrava vederlo, e forse qualche altro Mago -compresa Astra, che era passata a trovarlo per motivi a lui totalmente ignoti. Comunque, nel momento esatto in cui Dastan aveva aperto gli occhi, era sparito tutto: settimane di sforzi invani e noia, completamente cancellati dalla sua memoria. La prima cosa che aveva visto era stata la strega bruna, Astrid. Gli aveva sorriso così dolcemente che Dastan non aveva saputo come risponderle, e poi lei lo aveva abbracciato. Il Vigilante si era ritrovato stretto così forte a lei che aveva creduto di farle male. La prima persona che stringeva dopo un mese. Si era reso conto di stare benissimo, di essere in grado di parlare e di muoversi come se non fosse successo nulla. La lenta guarigione degli Anziani gli aveva permesso di riacquistare tutte le sue abilità al suo risveglio, che all'inizio era parso a tutti abbastanza impossibile. Gli fu spiegato che Zaira era stata lì tutti i giorni e quasi tutto il giorno, che l'aveva accudito come meglio poteva e che era giunto anche qualche ex compagno dell'Esercito, ovviamente in subbuglio a causa di tutto ciò che era successo. Al pensiero, a Dastan tornò in mente la faccia di quel bastardo di Lloyd, e si ripromise che gli avrebbe sicuramente fatto molto male. Non voleva ucciderlo, perché non era al suo livello -visto che era magrolino e deboluccio- ma sicuramente lo avrebbe torturato. La seconda cosa che gli venne in mente fu il cibo: gli Stregoni lo avevano alimentato "artificialmente", ma erano tempi immemori che non metteva sotto ai denti qualcosa. Una volta uscito dalla sua stanza, poi, si era trovato tutti i suoi uomini addosso che lo stringevano. Qualche ragazza piangeva, e Ronald lo osservava da lontano con lo sguardo carico d'emozione. Gli sembrava strano tutto quello che stava accadendo. Aveva sempre pensato che se ne sbattessero altamente di lui, e invece erano stati lì ad aspettarlo. Gli Anziani gli avevano detto che era stato Ronald a chiamarli, e per quel motivo lo aveva abbracciato. Sì, aveva abbracciato un Indipendente, un suo compagno, il suo miglior compagno: un amico. Si era poi diretto assieme a tutti gli altri nella sala principale giusto per mangiare qualcosa. Gli servirono del pollo ed un po' di formaggio con un pezzo di pane. Dastan mandò giù tutto ad una velocità impressionante. Quando ebbe terminato, gli Indipendenti cercarono di chiedergli che cosa ricordasse del coma, ma Dastan non seppe rispondergli.
    « Ricordo le facce di chi mi ha pestato, però. » disse ad un certo punto, e tutti quanti indurirono lo sguardo. Era sicuro che li avrebbe avuti dalla loro parte, tutti.
    Nessuno sentì la porta principale che si spalancava, né fecero caso alla macchia rossa che percorreva il corridoio in tutta fretta. Solo quando le ragazze uscirono dalla stanza per fare una ronda si sollevò un chiacchiericcio eccitato. Dastan si guardò attorno, osservando le facce della gente che era più avanti. Ronald, che era in piedi, appoggiato con la schiena ad una finestra, sorrise verso la porta. A quel punto, Dastan capì, e fu forse il movimento più svelto che avesse mai fatto durante tutta la sua vita. Si alzò dalla poltrona con un balzo, incontrando immediatamente gli occhi pieni di lacrime di Zaira, che gli correva incontro. Con cautela -come se temesse di fargli male- ma comunque abbastanza velocemente, gli afferrò il viso e lo avvicinò al suo, in modo da baciarlo. Le braccia di Dastan andarono a circondare la vita di lei, poi la sollevò e la strinse a sé, unendosi a lei in un bacio così intenso e carico di significato che per poco non svenne. Sentire di nuovo il suo profumo, poter toccare la sua pelle, avvertire le sue labbra, il suo calore... che diavolo era tutto il resto, in confronto? Nulla. Esplose un applauso fragoroso, con tanto di fischi, eppure loro due non accennavano a separarsi. Sembrava che non si fossero visti per anni, o, beh, che uno dei due fosse quasi morto. Così era stato, infatti. Gli tornò in mente come si era sentito poco prima di perdere i sensi, quando gli erano venuti i conati di vomito per la rabbia e la frustrazione. Averla lì, all'epoca, era stato fondamentale. E, probabilmente, anche ritrovarsela aggrovigliata addosso come in quel momento. Sentiva il cuore battergli forte nel petto, e le braccia si strinsero ancora di più attorno alla rossa. Solo dopo un minuto buono Dastan si sentì le guance bagnate: aggrottò le sopracciglia, staccandosi impercettibilmente da Zaira e notando che stava piangendo. Anche a lui veniva da piangere -anche e si sarebbe trattenuto fino alla morte, perciò le afferrò il viso con le mani -facendola quindi scendere- e le asciugò le lacrime con i pollici, abbozzando un sorrisetto dei suoi.
    « Ciao, rossa. » le mormorò, così piano che solo lei lo avrebbe sentito.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Non le sembrava di vivere la realtà, pareva molto più plausibile l'idea di essere stata catapultata all'improvviso nel suo mondo perfetto, in cui lei era felice ed appagata e tutto filava liscio, con Dastan e con il resto del mondo. Zaira stentava sul serio a credere che dopo tutto quel tempo, l'uomo era riuscito a farcela; sapeva che era forte, ma giorno dopo giorno aveva perso sempre un po' di più la speranza, forse perché reagire per la seconda volta alla morte di una persona a lei cara non le era possibile quasi per nulla. Non sarebbe sopravvissuta ad un altro trauma del genere, sarebbe stato del tutto impossibile.
    E invece poteva tirare un sospiro di sollievo, rilassare i nervi tesi al massimo da un mese a quella parte, perché Dastan se ne stava seduto su una poltrona con fare molto rilassato, come se non fosse mai successo nulla, come se non avesse avuto metà delle ossa spezzate o fosse stato pieno di ematomi su tutto il corpo. Zaira se lo vide venire incontro con un movimento fluido e fulmineo, ma non le passò comunque per la mente l'idea di saltargli addosso, urlare per la gioia o quant'altro, convinta com'era che l'Orso del Nord non stesse ancora perfettamente in forma. E invece, non appena lei gli si avvicinò e lo baciò, Dastan se la strinse forte a sé e la sollevò da terra come fosse stata una piuma dal peso insignificante. Zaira rimase tremendamente stupita da quella ripresa miracolosa, ma non lo diede a vedere perché ormai la felicità le stava annebbiando il cervello e non le permetteva assolutamente di pensare e ragionare con lucidità, rendendosi quindi conto di quel che l'uomo stava effettivamente facendo.
    Dastan non l'aveva mai abbracciata in quel modo, aveva messo passione nei baci, ma mai negli abbracci; ma in quel momento sembrava una persona diversa, che non vedeva l'ora di stringersi l'altra a sé dopo tutto quel tempo. Zaira non mancò di ricambiare quella stretta così forte, dolce e sicura che per lei era completamente nuova, stringendo le braccia intorno al collo di lui ed afferrandogli ciocche di capelli con le dita con una tale forza che sembrava non volerlo lasciare andare più o che addirittura volesse diventare un tutt'uno con quell'uomo che credeva non avrebbe mai più abbracciato o baciato. Ecco, anche il bacio fu diverso: Zaira era stata delicata nell'afferrargli il viso e poggiare le sue labbra su quelle di lui, ma l'Orso del Nord aveva preferito mettere da parte la tenerezza e baciarla come solo lui sapeva fare. E Zaira si abbandonò completamente a quel bacio, percependo appena il suono dell'applauso che era scoppiato spontaneamente dai presenti, come se in realtà non fossero stati circondati da tutte quelle persone che battevano le mani, fischiavano e gridavano bensì ci fossero stati solamente loro due, separati da spessissime mura dal resto del mondo.
    La felicità di Zaira raggiunse livelli decisamente elevati, livelli che neanche lei avrebbe mai pensato di poter raggiungere, soprattutto dopo la morte di Tommen; ecco, forse era stato proprio quello a contribuire alla sensazione che il momento che stava vivendo fosse speciale, forse proprio perché era già pronta a rivivere lo stesso dolore di tempo addietro, ora che tutto sembrava essersi risolto per il meglio Zaira non riusciva a controllare la sua gioia, tanto che la sfogò piangendo. Aveva cercato di trattenere le lacrime, che comunque le avevano inondato gli occhi ed erano pronte per rigarle il viso, ma inutilmente: con Dastan che la abbracciava e baciava a quel modo non poté che lasciarsi andare anche su quel fronte. L'uomo se ne accorse immediatamente, probabilmente perché percepì le lacrime di lei sul proprio viso, e prontamente la rimise con i piedi a terra e le passò i pollici sulle guance, nel tentativo di asciugargliele. Quindi la salutò, con il tono ed il sorriso malizioso di sempre. Zaira sorrise -anzi, rise- ed altre due lacrime le sfuggirono: era completamente fuori controllo, fuori di sé. Avrebbe voluto rispondere con un saluto a sua volta, con belle parole, con altri sorrisi, baci o abbracci, ma fu completamente bloccata. Sentì immediatamente la voce di Ronald risuonare per la stanza e suggerire a tutti di uscire; uno ad uno, chi sbruffando, chi parlottando e chi sorridendo e rimanendo in silenzio, tutti i Vigilanti di Indipendenza uscirono dalla sala principale della Base. Zaira avrebbe potuto scommettere tutto sul fatto che buona parte di loro avrebbe cercato un posto buono -porta o finestra che fosse- per sentire cosa avrebbero avuto da dirsi i due, ma poco le importava. Guardò Dastan scuotendo appena appena la testa, in un primo momento sembrò non riuscire a dire nulla -di nuovo- ed invece se ne uscì con una delle sue frecciatine, mascherata dal tono che non era assolutamente sarcastico e dalla risata che metteva a nudo il suo reale stato d'animo. -Vedo che una volta tanto le minacce sono andate a buon fine.- borbottò, continuando a scuotere la testa e poi tornò a stringerglisi addosso, poggiando la testa all'altezza del petto di lui. -Ti avrei veramente seguito a ruota se..- non riuscì neanche a formulare il pensiero, figuriamoci se riuscì a dirlo a parole -Questa volta non ce l'avrei fatta.- concluse, stringendolo ancora di più.
    Zaira von Row @
     
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    Era stato bello riunirsi a Zaira. Anche se non se lo ricordava, Dastan aveva sofferto molto a causa di quella distanza. Il Vigilante ancora non si rendeva conto della portata dei sentimenti che effettivamente provava per lei. Dastan era un novellino in tutto quello che riguardava l'infatuazione, la frequentazione ed il fidanzamento. Si comportava come meglio credeva, ma non era detto che fosse sempre giusto. Anche perché non aveva avuto dei buoni punti di riferimento. Lei continuava a piangere nonostante lui l'avesse salutata, dandole quindi la certezza che stava bene, che ricordava tutto e che non se ne sarebbe più andato -o almeno sperava. La rossa si asciugò le lacrime col dorso della mano, tirando su col naso, senza mai staccare lo sguardo da quello di Dastan. Sapeva bene quanto doveva essergli mancato, eppure non era in grado di consolarla in altro modo. Non era un tipo abituato a certe manifestazioni d'affetto, e già lo sbaciucchiamento in pubblico l'aveva un po' scosso. Certo, se non si contavano tutte le volte in cui avevano fatto l'amore piuttosto sguaiatamente, Dastan non aveva mai dato sfoggio delle sue emozioni, qualunque esse fossero. Era l'Orso del Nord perché era massiccio, sì, ma anche perché era crudo, pratico e letale. E tutto poteva sembrare, nel momento in cui si erano baciati, tranne che quello. All'improvviso, poi, Zaira gli cinse il petto, stringendosi a lui. Dastan la superava di diverse spanne, ed avere quella donnina così stretta a se stesso gli fece pensare che nessuno l'aveva mai abbracciato in quel modo. Forse quella che aveva pensato essere la donna della sua vita, a diciassette anni, ma poi più nessuno. Neanche la madre si era mai degnata di farlo. Dopo un po', poi, la rossa cominciò a dire che non ce l'avrebbe fatta se fosse morto, e che lo avrebbe seguito a ruota. Al Vigilante ci volle qualche secondo per arrivare al succo del problema: Zaira gli aveva in pratica detto che si sarebbe ammazzata se lui fosse spirato. Aggrottò le sopracciglia, abbassando lo sguardo sulla testa di Zaira, che era ancora stretta attorno a lui. Le afferò le braccia con fermezza, senza farle male, e la scostò da sé. La guardò negli occhi con un'espressione decisamente severa, segno che era tornato il vecchio Dastan di sempre. Anzi, in realtà non se n'era mai andato per davvero.
    « Non dire stronzate, Zaira. » la rimproverò quindi, lasciandole poi le braccia e fronteggiandola. Fece una piccola pausa, durante la quale i suoi occhi scrutarono quelli di lei, forse alla ricerca di un piccolo bagliore di menzogna.
    « Non ne sarebbe valsa la pena, cazzo. Sei giovane, hai tutta la vita davanti. Hai ancora una famiglia che ti vuole bene e degli amici che ti stanno vicino. Non azzardarti mai più anche solo a pensare a una cazzata del genere, rossa. » concluse. Era molto serio riguardo quel punto: lui, in fondo, non aveva nulla da perdere, se non la Base e lei stessa. Sarebbe potuto morire, non sarebbe cambiato il mondo. Ma lei... lei aveva dei genitori che la credevano al sicuro, dei fratelli e delle sorelle che le volevano bene, ed un'intera Fazione ai suoi ordini. Probabilmente quello che aveva Zaira con i Giusti era un rapporto diverso da quello che aveva lui con gli Indipendenti. Per quel motivo si sarebbe dovuta riscuotere tempo addietro. Lasciò il tempo a lei di rispondergli, ma sapeva già che si sarebbe incavolata. La conosceva bene, ormai. Se non l'avesse fatto, voleva dire che l'esperienza della sua morte l'aveva toccata veramente nel profondo, e Dastan sperava non fosse così.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Zaira percepì subito il cambiamento nell'abbraccio di Dastan non appena lei finì di parlare, e non fece in tempo a realizzarlo che si ritrovò a fissare Dastan negli occhi. Lo sguardo tenero di poco prima aveva lasciato il posto alla solita, vecchia durezza, la quale, per quando comune fosse stata, non mancò comunque di destare stupore in lei: Zaira non avrebbe mai pensato che quelle parole avrebbero avuto quell'effetto, un po' contrario a quello che si era aspettata, in realtà. Insomma, sapeva che Dastan non era proprio un sentimentale, ma non aveva il cuore di pietra e conosceva perfettamente la sua storia, perciò la rossa si era aspettata un minimo di comprensione da parte sua. E invece si sentì rimproverare, si sentì dire che quelli non era discorsi che doveva fare, che neanche avrebbe mai dovuto pensare, perché era giovane ed aveva qualcosa per cui vivere, anche se fosse morto lui. Non riuscendo a credere a ciò che sentiva, Zaira aggrottò automaticamente le sopracciglia, sostenendo lo sguardo di Dastan e cercando di capire se facesse sul serio. Era più che chiaro che non stesse scherzando, lui non scherzava mai e quando aveva quello sguardo la von Row sapeva benissimo a cosa sarebbe andata in contro, se avesse ribattuto. Dastan si era svegliato da non molte ore, sicuramente, e si era rincontrati solo da pochi minuti, e già rischiavano di discutere, e lei non riusciva proprio a credere che fosse possibile. Non si aspettava chissà che genere di reazione da parte sua, non desiderava affatto la sua compassione né che le facesse strane e non richieste promesse che avrebbe potenzialmente potuto non mantenere, però che si immaginasse come l'avrebbe potuta vivere lei quella situazione, per la seconda volta, ecco, quello se l'era aspettato.
    -Tutti quei colpi in testa devono averti fatto peggio che mai, Dastan.- gli rispose quindi, con durezza e palesemente indignazione. Sentì immediatamente le lacrime fermarsi ed il sangue cominciare a ribollirle nelle vene: come al solito, l'Orso del Nord aveva trovato il modo per rovinarle i bei momenti che viveva. -Possibile che non ci arrivi proprio, che neanche ti ci avvicini al vero nocciolo della questione?- riprese, e si capiva che più passavano i secondi e più lei si innervosiva -Hai idea di cosa voglia dire vedere una persona che ami morirti tra le braccia? O che cosa voglia dire andare avanti senza vedertela vicino? Io non credo.- Zaira sembrava sputare veleno e continuava a scuotere la testa con l'espressione incredula dipinta in volto, incapace di riprendersi e pensare che si, forse era anche abbastanza logico che ad una persona che il suo dolore non l'aveva mai provato quella faccenda del "morire per amore" potesse suonare piuttosto assurda. In realtà la von Row sarebbe morta dal dolore, più che per amore: non poteva dire di amare Dastan, non ancora almeno, però se fosse morto avrebbe sicuramente riaperto l'enorme ferita in lei che ancora non si era completamente rimarginata, e l'avrebbe ingigantita a tal punto che il dolore per le due perdite sarebbe diventato un peso troppo grande da sopportare. Era una ragazza forte, l'aver superato il trauma per la perdita di Tommen gliel'aveva dimostrato, ma sarebbe stato ingiusto chiederle di sopportare anche quello per la perdita di Dastan.
    Zaira si passò una mano tra i capelli, portandoseli all'indietro e poi si lasciò cadere su una poltrona. Aveva dormito la notte prima, ma si sentiva comunque stanca, probabilmente era più una stanchezza mentale che fisica la sua, perché il solo pensiero di dover riprendere a discutere con lui -per quanto in sé per sé fosse un buon segno, perché significava che l'Orso del Nord era veramente tornato in forma- la sfiniva. -Io un'altra perdita non l'avrei sopportata, fattene una ragione.- aggiunse a quel punto, cercando di tagliare corto perché le mancava la voglia di litigare, ma cercando di mettere bene in chiaro le sue idee e le sue motivazioni, pur sapendo che Dastan non avrebbe cambiato atteggiamento.
    Zaira von Row @
     
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    Ovviamente, Zaira si arrabbiò. Nel vederla innervosirsi, quasi sorrise: la sua espressione, insomma, si addolcì appena, particolare visibile dagli occhi. Dastan era sostanzialmente nato per farla arrabbiare, si stava rendendo conto di quella cosa. Non era il momento di scherzare, comunque: aveva iniziato un discorso molto serio, e la rossa non era d'accordo. Per quello avrebbero dovuto discutere -come, tra l'altro, facevano sempre. Lei scuoteva la testa, contrariata, osservandolo con gli occhi ridotti a fessure. Non poteva di certo aspettarsi che Dastan sapesse che cosa volesse dire perdere la persona amata, perché lui, semplicemente, non aveva mai amato nessuno veramente. Cominciò quindi a parlare, dicendogli che i colpi alla testa dovevano avergli fatto veramente male. Automaticamente, il cervello gli riportò tutte le percosse che aveva subito, e gli tornarono in mente le mazze chiodate, le cinte ed i tirapugni. Deglutì, stringendo appena il pugno e continuando a fronteggiare Zaira. Gli chiese come fosse possibile che non ci arrivasse, e poi gli domandò ancora se avesse idea di che cosa volesse dire veder morire una persona che "amava". A quella parola, Dastan aggrottò le sopracciglia, facendo scattare la testa all'indietro, incredulo. Quindi... lo amava? Non era possibile. Non lui. Sì, sapeva di voler bene a Zaira, ormai, ma addirittura amarla? Non poteva saperlo, certo, perché non l'aveva mai provato prima. Forse lui ancora non sapeva distinguere un'infatuazione, un interessamento, a quello che poteva essere un vero innamoramento. La rossa parlò con la frustrazione nella voce, come se volesse dannatamente che lui capisse. Alla fine, sembrò dover prendere fiato a causa dell'ira che aveva -forse involontariamente- messo nel suo discorso, portandosi una mano tra i capelli e scuotendo ancora la testa. Si abbandonò sulla poltrona, senza mai guardarlo, come se fosse troppo arrabbiata anche solo per rivolgergli uno sguardo. Era strano come quei due cominciavano in un modo e finivano in un altro. Il loro rapporto era qualcosa di troppo complesso, di infinitamente difficile. Non erano in grado di descrivere i sentimenti che uno provava per l'altra e viceversa, eppure continuavano a stare appiccicati. Non poteva essere solo sesso, non doveva. Era tutta un'altra storia. Dastan rimase in piedi a guardarla, sempre con l'espressione turbata in volto. Ancora non poteva credere che gli avesse detto certe cose.
    « Addirittura. » bisbigliò, ma probabilmente lei udì la parola a tratti. Prese un bel respiro, scuotendo la testa a sua volta, poi strinse la mandibola e puntò gli occhi sul volto di Zaira, che lei volesse guardarlo o meno non gli importava.
    « Perché, tu pensi di amarmi? » le chiese, di botto, parlando a voce alta. Era stato uno sforzo incredibile anche solo pensare di formulare una frase del genere, e una volta detta gli suonò diecimila volte più ridicola. Non sapeva se lei avrebbe risposto o meno, ma d'altra parte non avrebbe potuto costringerla. Non avrebbe accettato un'altra domanda, però, non una della serie "e tu, invece?". Non si mosse neanche di un centimetro, aspettando il verdetto con gli occhi piantati sul viso di lei. Probabilmente, desiderava una risposta positiva. Ma sapeva anche che l'avrebbe temuta, perché, in tal caso, anche lui avrebbe dovuto rivedere le sue priorità.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Zaira ebbe la vaga impressione che Dastan si stesse divertendo a vederla prender fuoco, un po' come faceva sempre: provocarla sembrava essere il suo passatempo preferito, soprattutto da quando aveva pienamente realizzato quanto fosse facile farla arrabbiare. Dal momento che lei aveva preso la cosa molto seriamente, però, l'uomo evitò di palesare il suo divertimento, risparmiandole un'ulteriore arrabbiatura. Però le sue parole sembrarono non avere granché effetto su di lui, almeno finché non arrivò a buttare in mezzo l'amore; Zaira si accorse a malapena della reazione di Dastan, più specificatamente non capì subito quale parte del discorso lo avesse -finalmente- fatto reagire. Però fu lui, poi, a chiarirle le idee, e senza troppi giri di parole le chiese se pensava veramente di amarlo. Zaira, che aveva deciso di fissare il nulla piuttosto che lui, mentre parlava, si costrinse a voltarsi e guardarlo con sguardo leggermente spaesato. Sfarfallo gli occhi e aprì la bocca per dire qualcosa, ma ci ripensò e tacque. Come al solito aveva parlato senza riflettere troppo su quello che stava per dire, senza pesare le parole; con Dastan non si poteva permettere troppe disattenzioni, almeno non con quel genere di argomenti in ballo, perché erano cose che lui arrivava a prendere molto più seriamente di quanto potesse mai fare lei, ed indubbiamente una parola che alle orecchie di lei poteva suonare semplice, per l'Orso del Nord aveva tutt'altro tipo di suono.
    Mentre lo fissava, Zaira si poneva la stessa domanda che le aveva fatto lui: lo amava? Sul serio? Lei l'amore l'aveva conosciuto, sapeva perfettamente come ci si sentiva da innamorati, ma non le era mai sembrato di essere arrivata a provare per Dastan la stessa cosa che aveva provato per Tommen. Non escludeva la possibilità, ma la vedeva ancora molto lontana. O almeno così le era sempre sembrato che stessero le cose. Se prendeva in considerazione i momenti passati insieme a rotolarsi nel letto o a discutere per cose inutili, dove né l'uno né l'altra si erano impegnati a dire belle parole, sicuramente la risposta sarebbe stata un "no". No, come avrebbe potuto amare qualcuno che sembrava continuare a volerla vedere solo per fare sesso e per divertirsi un po' nel vederla furiosa? D'altra parte, però, c'era proprio da considerare il fatto che, nonostante tutto ciò, erano ancora insieme, ed entrambi avevano continuato a cercare l'altro, come se non fossero stati capaci di stare troppo lontani. Ed in più, se ripensava a come si era sentita nel trovarlo disteso tra l'erba, coperto di sangue, e a come aveva passato quell'ultimo mese, vivendo con l'ansia, con la paura che non si risvegliasse più, forse non era poi tanto lontana dall'amarlo. Si sentì improvvisamente molto confusa, e con un gran mal di testa che le spuntò sul momento, non appena cominciò ad arrovellarsi il cervello nella speranza di capire fino a che punto era arrivata, il che era una vera e propria impresa, su cui gravava anche lo sguardo di Dastan, che rimaneva puntato su di lei in attesa di una risposta. L'uomo non le stava mettendo fretta, eppure la von Row aveva come la sensazione di doversi sbrigare a dargli una risposta, magari per non rischiare che lui, dal suo silenzio, deducesse cose sbagliate.
    Pensando e ripensando per un intero minuto, vagliando bene tutto ciò che avevano passato dal primo momento in cui si erano incontrati ed a come lei si era sentita e continuava a sentirsi quando lo aveva vicino, Zaira arrivò alla conclusione che forse si, lo amava, o comunque provava qualcosa di molto simile all'amore. Insomma, la risposta non sarebbe stata un vero e proprio "si", ma neanche un "no". Solo che non sapeva se e come dirglielo senza fargli pensare cose sbagliate, non era neanche sicurissima che Dastan sarebbe saltato per la gioia nel sentirla rispondere positivamente. La rossa sospirò, abbassando lo sguardo, chiudendo gli occhi per una manciata di secondi in cerca delle parole giuste, che in realtà non esistevano e lei lo sapeva bene. Doveva dirgli le cose come stavano -o voleva credere che stessero- nulla di più, nulla di meno. -Ho il sospetto di esserci pericolosamente vicina.- disse poi, dopo quel mezzo minuto di silenzio, rialzando nuovamente lo sguardo su di lui, sentendosi subito più leggera ed anche irrimediabilmente curiosa di vedere come avrebbe reagito: la cosa era abbastanza sconvolgente per lei, perciò non osava immaginare come l'avrebbe presa lui.
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    Non sapeva come sentirsi. Si rendeva conto di aver messo Zaira in difficoltà, poteva notarlo dall'espressione confusa di lei, ma non aveva potuto fare altrimenti. Era stato più forte di lui: la curiosità, in questi casi, riusciva a divorargli lo stomaco fino a farlo cedere ed a fargli chiedere ciò che non avrebbe dovuto domandare. Non era stata una mossa saggia, doveva ammetterlo, ma non era un tipo che rifletteva troppo. Sbagliando, probabilmente. Da seduta, la rossa abbassò leggermente la testa, ed i capelli rossi le scivolarono in avanti, celandola a lui. Dastan rimase in piedi per qualche tempo, poi, non vedendola reagire, si sedette a sua volta. Sospirò, unendo le mani e strofinandosele. Non si era offeso, no: era giusto che lei ci riflettesse, ed il fatto che non gli avesse ancora risposto probabilmente indicava che lei era combattuta. Ma lo era anche lui, e perciò non era assolutamente un problema. Si fissò le dita, pensando a qualcosa da dirle per poterla consolare anche minimamente, ma non gli veniva nulla in mente. Era terribile non essere in grado di tenersi la propria ragazza, quella con cui avrebbe dovuto condividere tutto. Si passò una mano sul volto, rendendosi conto di quanto fosse completamente incapace di trattare certi argomenti. All'improvviso, però, Zaira si animò, sostenendo il suo sguardo e dicendogli che si stava pericolosamente avvicinando ad amarlo. Dastan non staccò mai gli occhi da lei, come a voler capire se stesse mentendo o meno. La rossa non era una che diceva bugie, e per quello le credette. Non doveva essere stato facile rispondergli, quello doveva ammetterlo. Era stato il primo a chiederle una cosa simile, perché lei non si era mai azzardata. Il suo sguardo si intristì appena, poi tornò a fissarsi le mani, annuendo lentamente -come per autoconvincersi. Non poteva dire che gli dispiacesse, ma non poteva evitare di pensare che, quasi sicuramente, Zaira sarebbe rimasta coinvolta in qualcosa di sconveniente, oppure sarebbe stata ferita da Dastan. Perché, sostanzialmente, era così: ogni cosa che lui toccava, marciva. Così era stato anche con la Base, anche se alla fine si erano rivelati tutti amici suoi. Si passò di nuovo una mano sul volto, lasciandola all'altezza degli occhi, in modo da farli rimanere chiusi e pensare. Non riusciva a credere di poter tirare avanti con Zaira, anche se avrebbe voluto farlo. Dastan, col suo animo pessimista, riusciva spesso a buttarsi giù da solo. Era stata lei, però, a dirgli che avrebbero potuto provare a stare assieme, a vedere come sarebbe andata. Voleva forse dire che era consapevole dei rischi? Lasciò cadere la mano, tirando su la schiena e fissando di nuovo la rossa negli occhi, sostenendo il suo sguardo.
    « Anche io. » ammise, scuotendo appena la testa. Gli spuntò un sorrisetto un po' amaro e un po' malizioso, ma ritornò a fissarsi le mani in modo divertito. « O almeno credo. » confessò, stringendosi poi nelle spalle. Non poteva dire di esserne sicuro. Con lei era stato tutto diverso, sì, ma sapeva davvero quando amava? Se ne rendeva conto? Probabilmente, no. Aveva provato più volte a chiedersi che cosa avrebbe fatto se Zaira fosse stata picchiata da qualcuno, o, peggio, se avesse scelto di frequentare un altro ragazzo, e si era risposto sempre allo stesso modo: si sarebbe arrabbiato. Quello, sostanzialmente, significava avere a cuore una persona. Non sapeva, però, che cosa cambiava quando la si amava. Anche se non sapeva che il suo volerla lasciare per farle vivere una vita felice era, effettivamente, amore.
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    Vigilante • Ci provo, ma non ci riesco: sei un rompicapo da cui non esco.
    Il silenzio fu in qualche modo obbligatorio tanto per lei quanto per Dastan: era l'unico modo per prendersi un momento per riflettere, solo ed esclusivamente per pensare a cosa rispondere. Lei si era fatta i suoi due minuti complessivi di silenzio, forse anche qualcosa di più, e quando gli confessò che non era molto lontana dall'amarlo, fu il turno di Dastan di zittirsi -come già aveva fatto, per altro- ed isolarsi dal resto del mondo. Zaira lo osservò attentamente mentre gli occhi di lui passavano da quelli di lei alle proprie mani: quello era uno dei tanti modi che aveva l'uomo per riflettere, ossia fissarsi le mani o fissare il pavimento, come se da lì potesse arrivare una qualche genere di ispirazione che lo aiutasse a decidersi e, in quel caso, a dare una risposta. La von Row non si aspettava affatto di sentirgli dire che il suo era amore ricambiato, perché non credeva che Dastan l'amasse; non che non ne fosse capace, aveva una strana ed inspiegabile fiducia in lui e nei suoi sentimenti, ma forse non si era ancora "sciolto" abbastanza da arrivare ad amarla nel vero senso della parola. Il suo poteva essere affetto, ma non amore, un po' come era per lei d'altronde. Zaira approfittò di quei secondi di silenzio per riflettere ancora sui propri sentimenti: più pensava e ripensava a quello che avevano passato insieme ed a come fosse stranamente ed in qualche modo immotivatamente legata a lui, e più la ragazza si convinceva di essere veramente ad un passo dal perdere completamente la testa per quell'uomo che nessuno riteneva meritevole d'amore. Ed in realtà neanche lei avrebbe saputo dire cosa ci trovasse in lui: non era tipo da parole dolci o carezze, non era una persona con cui si riusciva a conversare pacificamente -specie se si aveva un carattere come quello di lei- e non era certo il miglior partito della zona: se solo l'avesse voluto, Zaira avrebbe potuto aspirare ad altro, puntare più in alto. E invece no, in Dastan aveva visto qualcosa che non sapeva neanche lei cosa fosse, ma riteneva che al di là dei litigi, lui fosse la persona migliore che le potesse stare accanto: era capace di tenerle testa, di spronarla e di farle saltare i nervi come pochi riuscivano a fare, ma in un modo tutto suo sapeva anche farla stare terribilmente bene. Dastan era il suo rompicapo preferito, provava e riprovava a risolverlo ma non ci riusciva, e forse non ce l'avrebbe mai fatta.
    Zaira incontrò lo sguardo dell'Orso del Nord non appena questi tornò ad alzare la testa e a fissarla. Si era immaginata di sentirsi dire che lui non ci era neanche lontanamente vicino ad amarla, che era troppo presto per dirlo o addirittura che non era il caso che si facesse illusioni o si montasse la testa. Zaira era pronta a tutto questo, l'avrebbe accettato senza troppi problemi poiché sapeva che i sentimenti non si potevano forzare in alcun modo. Ed invece, venendo spiazzata completamente, si sentì dire che molto probabilmente non era la sola a ritrovarsi in quella situazione indefinita. Dastan accompagnò quella confessione con un sorriso indefinito anch'esso, e Zaira, dal canto suo, si ritrovò a trattenere il respiro per un paio di secondi e per poco gli occhi non le uscirono fuori dalle orbite. Quell'opzione non l'aveva minimamente considerata, non si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire che anche lui si stava innamorando. Innamorando. Certo, Dastan era capacissimo di provare sentimenti e lei l'aveva sempre saputo, ma non si era aspettata fosse già arrivato a quel punto. Quella confessione le piombò addosso come una valanga e poi le fece spuntare un sorriso, assolutamente più definito di quello di lui: esprimeva sincerità, nient'altro che sincerità. -Credimi, non avrei mai pensato di sentirtelo dire.- disse, del tutto all'improvviso e riflettendo, sostanzialmente, ad alta voce.
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    La reazione di Zaira non fu così eclatante come si era aspettato. Si limitò a guardarlo e sorridergli, e nonostante Dastan avvertisse il suo sguardo su di lui, non riuscì a fronteggiarla. Non sapeva quale fosse il motivo per il quale non aveva il coraggio di guardarla negli occhi: forse per non vedere una certa felicità che sarebbe sicuramente sparita col passare del tempo. Continuò quindi a fissare il pavimento, per niente convinto di tutto quello che stava succedendo. Era quasi morto -anzi, senza il quasi- e si ritrovava con un'ottima ragazza al suo fianco. Possibile che non riuscisse a far andare bene le cose? A conciliare il suo pessimismo con tutte le cose belle che gli erano capitate? Beh, effettivamente gliene erano capitate ben poche, ma sicuramente Zaira era una di queste. Avrebbe dovuto accendere una candela al dio dei draghi per ringraziarlo. Eppure... qualcosa non tornava. Gli sembrava impossibile averla accanto per tanto, troppo tempo. Era davvero un tipo da vita tranquilla ed in famiglia? Beh, se voleva dei figli doveva esserlo per forza. Una parte di Dastan era convinta di poterci riuscire, mentre l'altra era sicura che si sarebbe solo annoiato. Anche se con Zaira, anche se nella Fazione della Libertà, anche se con un figlio Cavaliere di Drago. Sarebbe stato inoltre in grado di provvedere al sostentamento della sua famiglia? Le parole di Zaira lo riportarono immediatamente alla realtà, facendogli realizzare che forse stava correndo un po' troppo. Non era detto che Zaira fosse la donna della sua vita, ma indubbiamente Dastan aveva ventisei anni. Il tempo cominciava a scorrere anche per lui. La rossa gli disse che non si sarebbe aspettata mai di sentirselo dire da lui, e Dastan si decise a guardarla negli occhi, con un'espressione indecifrabile: c'era del dispiacere in quegli occhi, ma anche una forte determinazione. Era come se sapesse che sarebbe andato tutto a rotoli ma volesse continuare lo stesso. E, sostanzilamente, il succo era quello.
    « Non so se essere contento oppure rendermi conto di essere completamente fottuto. » disse. Aveva dichiarato apertamente le sue preoccupazioni a Zaira, che sicuramente avrebbe capito che genere di pensieri ronzavano per la testa del Vigilante. La sua non-morte aveva scatenato centinaia di altre piccole battaglie, e la Sword's Hilt sembrava svegliarsi da un letargo lungo una quindicina d'anni, pronta ad armarsi di nuovo e mettere le Fazioni una contro l'altra. Era nella natura degli uomini: prima o poi, qualcuno si sarebbe dovuto scontrare. Era stato solo un caso che fosse stato Dastan il primo. Sospirò sonoramente, appoggiandosi allo schienale della poltrona e portandosi una mano al volto in modo pensoso. Di sicuro non sarebbe andato tutto bene tra loro, perché ora c'era pure la guerra in mezzo. Ci sarebbero state lotte, scontri a sangue, imbrogli. Dastan sarebbe voluto fuggire da tutto ciò, magari andare nelle Terre Verdi, ma dubitava che Zaira avrebbe lasciato la sua disgustosa Giustizia. Si sistemò meglio sulla poltrona, senza essere in grado di nascondere le sue preoccupazioni.
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    Vigilante • Ci provo, ma non ci riesco: sei un rompicapo da cui non esco.
    L'idea del Dastan estremamente combattuto la divertiva ed innervosiva allo stesso tempo: l'uomo sembrava essere sempre sul punto di mollarla perché, sostanzialmente, sembrava aver paura, paura di stare con qualcuno, di amare e di essere amato, e la cosa aveva di per sé un lato comico, ma indubbiamente a lungo andare l'avrebbe stancata. Zaira aveva bisogno di sicurezza e nulla più, era certa che Dastan gliel'avrebbe data, ma se si fosse resa conto che così non sarebbe potuto essere, probabilmente l'avrebbe lasciato; in quel momento, comunque, l'intera faccenda continuava a divertirla, ed in maniera minore anche ad incuriosirla. Dastan tornò a guardarla solo nel momento in cui Zaira gli disse che non avrebbe mai pensato di sentirlo parlare in quel modo, ed il suo sguardo esprimeva sentimenti contrastanti: aveva un chissà cosa di tenero, quando la guardava in quel modo. L'Orso del Nord le disse a parole quello che aveva tentato di esprimere con lo sguardo: non sapeva se gioire o meno per quella nuova consapevolezza. Zaira sorrise. La risposta a quella domanda mascherata era semplice, ovvia, quasi del tutto scontata: era fottuto, terribilmente fottuto, e la cosa peggiore era che anche lei navigava nel suo stesso mare. Eppure era contenta, appagata ed in pace con se stessa, e si aspettava che anche lui provasse quegli stessi sentimenti: magari in maniera minore, magari senza neanche rendersene conto, ma Zaira si aspettava contentezza anche da parte sua.
    Allo stesso tempo, però, la Giusta sapeva anche che tutti i dubbi e le preoccupazioni Dastan non erano dovute semplicemente al suo essere poco esperto nel campo nell'amore, ma erano legate a qualcosa di decisamente più grosso, ossia la situazione che si era venuta a creare a seguito della loro pseudo-conclamata relazione. Insomma, non si sarebbero parlati in quel modo, a cuore così aperto, se non avessero rischiato di non parlarsi mai più, ed il problema maggiore era che avrebbero potenzialmente potuto correre quel rischio tutti i giorni a venire, fino a che le acque non si fossero calmate. E chissà quando e sé l'avrebbero fatto. Il solo pensiero che la loro relazione era stata usata come "goccia che aveva fatto traboccare il vaso" per far scoppiare una guerra la infastidiva e le dava la nausea: non si capacitava del fatto che, dopo aver dovuto rinunciare al grande amore della sua vita, il destino la metteva di nuovo davanti alla stessa situazione, dandole la possibilità di scegliere questa volta. Stupida non era, e sapeva perfettamente che se pure lei avesse accettato di lasciare Dastan per tentare di far calmare i bollenti spiriti del Moro di Onore, di sicuro il fuoco della guerra non si sarebbe spento così facilmente. Tanto valeva rischiarsela, insomma, rischiare e lottare per tenersi stretto ciò che le apparteneva e ciò a cui si era resa conto di tenere quasi più della sua stessa vita.
    Zaira si alzò allora dalla sua poltrona, avviandosi verso Dastan e scuotendo la testa, quindi si fermò dietro di lui e fece scivolare le mani sulle spalle, vicino al collo, cominciando a praticare una specie di massaggio, come se così sperasse di poterlo aiutare a rilassarsi. -Sei fottuto, e lo sai bene.- gli sussurrò all'orecchio -E non sei il solo.- A quel punto gli si parò davanti e poi si andò a sedere sulle sue ginocchia, ormai senza neanche la paura di fargli male perché aveva capito che l'uomo si era completamente ripreso. -Non era facile mesi fa, di sicuro ora sarà meno che mai una passeggiata.- riprese a dire, guardandolo negli occhi e arrivando quasi a far sfiorare i due nasi -Ma ormai ci siamo dentro fino al collo e fortunatamente non siamo da soli, quindi smettila di arrovellarti il cervello inutilmente.- La sua frase suonava un po' come una specie di rimprovero, nonostante il tono calmo e quasi dolce che Zaira aveva usato. In realtà non stava facendo altro che tentare di calmarlo e di non farlo pensare sempre e solo al peggio: lei voleva portarla avanti quella dannata storia, e aveva bisogno di un Dastan ottimista per farlo.
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    Gli sembrava strano vivere quel tipo di situazione: Zaira che confessava di provare qualcosa per lui, il suo ricambio ed infine il pensare intensamente ad un modo per stare al sicuro. Anche se aveva paura a dirlo, Dastan aveva pensato fin dal primo momento di trasferirsi. Quando si era reso conto di provare qualcosa per Zaira -e cioè molto dopo di lei, da bravo idiota quale era- il suo primo pensiero era stato emigrare. Spostarsi nelle Terre Libere, o anche all'Isola Verde. Costruirsi una piccola casa e coltivare un altrettanto piccolo orto, ed infine mettere su famiglia. Nessuna grossa ambizione, solo tanta tranquillità. Sostanzialmente, Dastan aveva sempre voluto una prole, in modo da potersi comportare bene e non far mancare nulla a quelli che sarebbero stati i suoi figli, un giorno. Forse era arrivato il momento? Non poteva dirlo. Prima di diventare adulto, era stato sicuro di morire in battiglia, nell'Esercito, quando sarebbe stato abbastanza abile da poter far parte delle prime linee. Invece il suo mondo gli si era rivoltato contro, costringendolo a fuggire e ad essere un emarginato per volere dell'Esercito. "O te ne vai per sempre, oppure ti giustiziamo". Certo, per i Giusti quello significava essere pari. Dastan aveva ovviamente preferito andarsene, ma forse avrebbe dovuto scegliere la morte fin dall'inizio. In quel modo, non avrebbe continuato a ferire chiunque gli si avvicinasse. Osservò Zaira alzarsi e portarsi dietro di lui, per poi massaggiargli delicatamente le spalle. Si sentiva stanchissimo, e se ne rendeva conto solo in quel momento. Probabilmente le cure avevano cicatrizzato anche internamente tutte le sue ferite, ma la spossatezza era rimasta. Chiuse gli occhi, lasciandola fare, ma li riaprì non appena lei parlò. Gli disse che era sicuramente fottuto, ma che non era solo. Rimase in silenzio, a fissare il vuoto, anche quando lei gli si mise cavalcioni, fronteggiandolo. Gli si avvicinò con il viso, malcelando un leggero sorriso amaro, come di sconfitta, poi gli disse che non sarebbe stato facile. Continuò, poi, ripetendogli che non erano soli e che, sostanzialmente, non dovevano preoccuparsi così tanto. Dastan si ritrovò a sospirare, senza sapere che cosa rispondere a Zaira. Loro erano i Capi delle Basi dei Vigilanti delle rispettive Fazioni -anche se la rossa non lo era per iscritto- e quindi si sarebbero sicuramente dovuti preoccupare di ciò che sarebbe successo. Era certo che Ronald lo avrebbe aiutato senza esitazioni, così come qualche altro, ma ancora dubitava di tutti loro.
    « Forse basterebbe andarsene. » disse, ancora senza guardarla, intento a fissare il vuoto. Fece un piccola pausa, durante la quale alzò le sopracciglia e sospirò. « Andarsene a fanculo nelle Terre dei Draghi, costruirsi una casa e vivere in pace, senza rompicoglioni alle calcagna. » decretò, poggiando la testa su una mano. Ora il suo sguardo era perso fuori dalla finestra. Già immaginava la sua casa, ma soprattutto già riusciva a pensare benissimo a come sarebbe stata la sua vita da semplice cittadino. Non un Vigilante, non un Militare, solamente un falegname. Sarebbe stato bello avere un po' di tranquillità dopo tutto quel trambusto, specialmente ora che aveva trovato Zaira e sapeva di poter passare il resto della vita con quella donna con facilità.
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    Dastan sembrava quasi non ascoltarla, addirittura sembrava non essere realmente presente, non capire bene cosa stesse succedendo attorno a lui. Doveva essere più preoccupato di quello che lei si era immaginata, e proprio per questo motivo Zaira non insistette ulteriormente nel cercare di farlo calmare un po'; in fondo, stava a lui e lui soltanto capire che non tutto era perduto, che non era scoppiata una seconda apocalisse e che, tutto sommato, non era scritto da nessuna parte che il loro destino fosse dei peggiori. Lei era fiduciosa, un po' per natura un po' perché ci credeva veramente che qualcosa di buono ancora si sarebbe potuto ricavare da quella situazione -tipo l'avvicinarsi ulteriormente, come era successo dopo la quasi-morte di lui-, Dastan invece era l'esatto suo opposto, un pessimista della peggior specie cui serviva del tempo per capire che forse il mondo non era poi così nero come lo vedeva lui. Zaira approfittò del silenzio di lui per rimuginare ancora un po' su quello che era successo e su cosa sarebbe potuto succedere nei giorni seguenti: aveva rischiato di perdere un uomo che forse amava, ed era stato solo il primo di una lunga serie di rischi molto simili che avrebbero potuto correre assieme. Insieme, si, perché questa volta, finalmente, sarebbero scesi in campo l'uno di fianco all'altra invece di farsi la guerra, ma avrebbero sicuramente corso il rischio di rimanerci anche, su quel campo. Insomma, per quanto a Zaira piacesse l'azione, l'idea di combattere in una guerra non l'aveva mai presa realmente in considerazione, soprattutto una guerra che era nata per via di una sua relazione -o almeno la scusa ufficiale questa era- perciò, per quanto concreta fosse diventata quell'opzione, a lei sembrava ancora una possibilità lontana anni luce dal realizzarsi. Eppure c'era, e per quanto ottimista voleva essere, Zaira si rendeva conto che aveva più motivi per piangere che per stare tranquilla e rilassata come stava cercando di essere.
    Ad un tratto, Dastan sembrò risvegliarsi dal torpore in cui era caduto, cominciando a parlare di andarsene via da lì, da Indipendenza, da Giustizia, dalle Fazioni in lotta in sostanza. Lasciare tutto e tutti, comportarsi da codardi pur di vivere ancora e di vivere in pace e tranquillità. Zaira sospirò e distolse lo sguardo dal suo: non era la prima volta che lo sentiva parlare in quel modo, e, come già le era capitato, si ritrovò a provare un senso di rabbia e di delusione. Lui era quello che, preso dall'ira, le aveva spezzato una gamba, non poteva credere che non volesse reagire dopo che quelli di Onore lo avevano pestato fino alla morte. Zaira attese che Dastan finisse di parlare e rimase in silenziò quando lui finì di esprimere quello che doveva essere un suo grande desiderio. Lei sarebbe anche stata disposta a seguirlo, probabilmente, ma non in quel momento: non voleva comportarsi da vigliacca, né tanto meno abbandonare gente che per lei si sarebbe battuta anche fino alla morte, se fosse stato necessario, gente che le voleva bene e l'aveva sostenuta in tutto, persino quando si era venuto a sapere che faceva sesso "col nemico". E poi, a ben vedere, quale certezza avevano che, una volta lasciate le Fazioni in lotta ed essersi rifugiati da qualche parte per vivere tranquilli, la guerra non li avesse raggiunti anche lì? No, non poteva essere una soluzione quella che Dastan proponeva, non duratura almeno: sarebbe potuta durare qualche mese, forse un anno o al massimo due, ma non sarebbero potuti fuggire per sempre. E lei, per di più, non avrebbe mai potuto convivere col suo senso di colpa, perciò non lo avrebbe seguito in quel momento, voleva almeno provare ad dare il suo contributo in quella dannatissima situazione. -Non risolveresti nulla, Dastan.- ribatté quindi lei con tono anche abbastanza rigido -Non c'è certezza che non ti inseguano per tutta la Sword's Hilt, non dormiresti mai sogni tranquilli.- Fece quindi una pausa, cercando di capire se quello che stava per dire sarebbe potuto essere mal interpretato, e si rese conto che non voleva nascondergli nulla, a prescindere da come lui l'avrebbe potuta prendere o meno. -C'è gente che darebbe la vita per me o per te, lo sai. A guerra finita ti seguirò dove vorrai, ma adesso è fuori discussione.- un altro sospiro, poi una scossa col capo, ed infine Zaira tornò a fissarlo intensamente -Non passerò per la codarda che non sono, Dastan.-
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    Contro la sua logica, Zaira interpretò la sua proposta come una mossa da vigliacco. Lo poté capire dalle sue sopracciglia che si aggrottavano, dagli occhi che lo scrutavano e la mandibola evidenziata dai denti stretti. Si stava trattenendo dal dirgli qualcosa, ma sapeva benissimo di cosa si trattava. Non capiva perché Zaira sentisse di dovere tanto a quel posto. In realtà, Dastan si sarebbe volentieri trasferito anni prima, ma in quanto cacciato dall'Esercito doveva rimanere nei paraggi per eventuali processi e chissà cosa. Zaira gli rimase seduta in grembo, osservandolo con quell'espressione inquisitoria tipicamente sua, e Dastan non poté fare altro che inarcare un sopracciglio e restituirle lo sguardo. Non gli andava di rimanere lì, ma non gli andava neanche di fare la figura del vigliacco. C'era un motivo preciso per quale il Vigilante voleva andarsene, e Zaira sembrava non averlo afferrato. Si distaccò appena da lui, dandogli l'opportunità di constatare che era dimagrita: le ossa le sporgevano dal petto, quasi bucandoglielo, ed il volto era decisamente più smunto. L'espressione di Dastan, per un momento, si fece preoccupata, poi tornò a quella corrucciata di sempre quando lei parlò. Gli disse che, andandosene, non avrebbe risolto nulla, e che lo avrebbero sicuramente seguito per tutta la Sword's Hilt. A quelle parole, il Vigilante cominciò a scuotere la testa, guardando da un'altra parte, ma lei continuò a parlare, stringendogli il braccio sinistro. Gli disse che c'era gente pronta a morire per loro, e che a guerra finita l'avrebbe seguito ovunque. Poi, come a confermare la sua teoria, gli disse di non voler passare da codarda, perché non lo era. A quel punto, lo sguardo di Dastan si incendiò, e lui posò gli occhi su quelli di lei, fissandola intensamente. Probabilmente l'aveva guardata in quel modo solo quando lei gli aveva rivelato di voler provare a stare assieme, nel cortile della vecchia signora. Solo che quella volta era uno sguardo curioso, forse un po' intenerito. In quel momento, invece, traspariva una sorta di delusione dalle iridi azzurre del ragazzo: era come se lo avesse ferito in qualche modo. Sostenne lo sguardo di lei senza paura, senza muoversi neanche di un millimetro, come pietrificato.
    « Non sono un cazzo di vigliacco, non lo sono mai stato. » le rispose, con un tono talmente basso che sembrò molto più infuriato di quanto fosse in realtà. « E non so se mi fa piacere il fatto che mi reputeresti tale se andassi via. » disse. Nessuno aveva mai visto Dastan ferito, perché la gente gli aveva gettato merda addosso sin da quando era pressoché un bambino. Ci era abituato. Ma Zaira... Zaira no. Non aveva mai dubitato di lui.
    « Ho passato tutti e ventisei gli anni della mia vita a lottare contro tutto e tutti, è davvero così stupido e orrendo pretendere un po' di pace? » chiese, sempre con lo stesso tono basso di voce. Ormai ci era rimasto male, e Zaira il danno l'aveva fatto; ci teneva però a giustificare la sua mossa, non certo perché doveva, ma per mantenere le cose in chiaro. Ancora ferito, Dastan spostò delicatamente le cosce di Zaira, in modo da farla alzare e permettergli così di alzarsi a sua volta. La stanchezza che aveva addosso era anche mentale, e non poté negare che si sarebbe fatto volentieri una passeggiata da suo padre, a sentire com'era la situazione. Benjamin Dauthdaert l'avrebbe saputo sicuramente. Si diresse al tavolo, riempiendo un bicchiere di birra, poi se lo portò alle labbra e bevve. Non voleva più sentire i discorsi da Giusta di Zaira, quindi si scolò la birra e poi si diresse fuori, non senza aver dato prima una battuta alla rossa. Aprì la porta, poi si voltò verso di lei.
    « Il codardo se ne va in camera. » disse, serio. Si gettò fuori in corridoio, dove qualcuno ancora continuava a ridacchiare contento ed a parlottare. Si diresse velocemente verso la sua stanza, spalancando la porta e mettendosi seduto sul letto. Non poteva togliersi dalla testa quella frase di Zaira. Continuava a ronzargli in testa come una mosca. Quindi lei pensava che fosse un codardo solo perché aveva deciso di vivere una vita tranquilla per un piccolo periodo. La guerra non l'aveva causata lui, né lei. Era stato il Moro, e per quanto volesse vedere la sua testa di cazzo infilzata su una picca, sapeva per certo di preferire che Zaira e chi altro aveva a cuore rimanesse vivo.
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    Aveva colpito nel segno, e questa volta senza volerlo: quando Dastan veniva infastidito da qualcosa si vedeva, o almeno lei aveva imparato a rendersene conto in un batter d'occhio, ma che cominciasse ad inveire e borbottare era un evento raro. Zaira lo capì subito che le sue parole lo avevano turbato più del normale, perché lo sguardo di Dastan saettò verso di lei in un secondo e se avesse potuto incenerirla solo guardandola, lei si sarebbe trasformata in un mucchietto di cenere. Il tono di voce dell'Orso del Nord ora era basso, non minaccioso ma comunque neanche troppo amichevole. Le disse di non essere un vigliacco e di non esserlo mai stato, quindi cominciò a ricordarle che nella vita per lui non era stato tutto facile, anzi, aveva dovuto lottare contro chiunque fosse capitato sulla propria strada e che adesso gli sembrava giusto desiderare un po' di pace. Zaira non lo interruppe mai, sapeva che nel suo desiderare di allontanarsi dai focolai di guerra per vivere un po' in pace, Dastan non era nel torto, non completamente almeno. Aveva le sue ragioni, e nonostante per lei la vita non fosse stata difficile come la sua, la rossa lo capiva, non lo biasimava. Ciò, comunque, non cambiava le carte in tavola: anche a lei sarebbe piaciuto vivere bene, in santa pace e, perché no, con lui, ma non era quello il momento giusto per voler mettere in pratica quelle che fino a quel momento erano solo state parole, purtroppo. Nonostante le motivazioni fossero state delle migliori, né lei né Dastan si sarebbero potuti allontanare dai loro compagni nel bel mezzo di una guerra.
    Dastan poi la spostò e la fece alzare, alzandosi lui a sua volta ed avvicinandosi al tavolo; Zaira fissò l'uomo in silenzio, certa che avesse ancora qualcosa da dirle. E invece no. Dastan si scolò un boccale di birra, poi si avviò verso la porta, lanciandole una frecciatina ed andandosene in camera. Zaira sbruffò nervosamente, non uscì subito dalla stanza perché voleva dargli il tempo di stare un attimo per conto proprio, cosa di cui aveva bisogno anche lei. Cominciò a girare nervosamente per la sala ed anche lei riempì un bicchiere di birra e la bevve tutta d'un sorso. Si chiese se non avesse esagerato nel dirgli ciò che gli aveva detto, ma si convinse di essere nel giusto, o almeno di non essere completamente nel torto. Era giusto che entrambi si dicessero le cose che pensavano, così da non nascondersi nulla, e l'unica cosa che si sarebbe potuta -e dovuta, probabilmente- sistemare sarebbero dovuti essere i modi in cui qualsiasi cosa veniva detta. Sia lei che l'altro erano tipi diretti e rudi, non si facevano mai problemi a dirsi quello che pensavano e ciò li portava a litigare un minuto si e l'altro anche. Insomma, lui era risuscitato giusto quella mattina, una coppia normale non avrebbe fatto altro che stare abbracciata, baciarsi ed accarezzarsi; loro no, loro discutevano. Zaira continuò a camminare, grattarsi la testa e sbuffare, poi decise di uscire dalla stanza e di raggiungere Dastan. Lo trovò seduto sul letto, perso nei propri pensieri; lei non si era preparata alcun discorso, era certa che non la volesse sentire, ma lei non se ne sarebbe comunque andata via, neanche se le avesse urlato contro con rabbia o l'avrebbe minacciata in qualche modo -cosa che comunque non avrebbe sicuramente fatto. -Non sei un codardo, questo lo so.- esordì, senza sapere neanche lei dove volesse andare a parare, visto e considerato che non sentiva di doversi scusare di alcunché -Però quella sarebbe l'immagine che daresti se facessi i bagagli e te ne andassi.- A quel punto Zaira, che era rimasta sulla porta, si avvicinò a Dastan, sedendosi anche lei sul letto ma non vicino a lui. -Ce la meriteremmo tutti un po' di pace, ma ora è un'utopia e tu lo sai.- riprese quindi a dire, rannicchiandosi portando le ginocchia al petto -Sei libero di fare quello che ti pare, Dastan, non sei obbligato a rendere conto a nessuno. Ma non sei un codardo e non sei un mostro, non lasceresti morire nessuno di quelli che chiami "compagni", non senza aver cercato di aiutarlo. Sei meglio di quello che vuoi far credere di essere, e a me non lo puoi nascondere.- Gli aveva praticamente detto di fare come meglio credeva, di andarsene addirittura, se l'avesse ritenuta l'opzione migliore, ma che lei non l'avrebbe seguito. Dastan l'avrebbe anche potuto interpretare per un "sei anche libero di lasciarmi ed andare dove vuoi", ma Zaira confidava nel suo buon senso: probabilmente era stata l'unica, in tutta una vita, che nei suoi confronti aveva avuto fiducia pressoché incondizionata, e fino a quel momento Dastan non l'aveva mai delusa, ecco perché continuava a sperare, a credere, che in un modo o nell'altro sarebbe riuscita a farlo ragionare.
    Zaira von Row @
     
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