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15 gennaio 103 P.A. - Indipendenza

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    In realtà Dylan non amava particolarmente né la fazione degli Indipendenti né tanto meno alcuni dei suoi vigilanti. Li trovava decisamente poco furbi certi, sempre per strada a cercar rogne o a causare inutili pestaggi. Incredibilmente lui non ci era mai finito in mezzo, forse perché a svantaggio della sua stazza possente e dello sguardo burbero, lui era tutt'altro che un provocatore pianta grane. Quel pomeriggio Nur non ne aveva voluto sapere di accompagnarlo, si era indirizzata senza troppi convenevoli verso l'Isola Verde e non aveva dato alcun segno di volersi muovere. Così lui se l'era fatta a piedi, dal limite del bosco sin dentro la città, stranamente tranquilla. Riceveva per lo più sguardi incuriositi, forse qualche sprizzo d'invidia qua e là ma nulla di anomalo, dopotutto era pur sempre uno straniero. Nonostante il suo aspetto nordico tradisse le sue origini. Fece una pausa sulla strada principale, prendendosi un momento per guardarsi attorno. Come in ogni fazione anche a Indipendenza l'aria era tesa. Si respiravano ansie e paure in quel tratto di strada apparentemente tranquillo. In verità Dylan si trovava lì per puro caso: Dalton gli aveva chiesto di andare a osservare da vicino come le cose si muovessero laddove lo scontro aveva avuto origine. Il cavaliere non capì a quale scontro si riferisse il nonno ma non domandò nulla, convinto che il tempo gli avrebbe suggerito la risposta. - Non mi sembri molto entusiasta dell'incarico stavolta Hammer... O sbaglio?- La voce cristallina della dragonessa gli rinfrescò brevemente la mente, spingendolo a camminare oltre. - Non so cosa sto cercando Nur...- Rispose semplicemente, guardandosi in giro sconsolato. Indipendenza era quasi totalmente deserta, eccezione fatta per tutti coloro che, indipendentemente dallo stato politico delle cose, avevano un lavoro da mandare avanti. Sapeva con esattezza l'ubicazione di un solo edificio interessante e per una volta non si trattava di un Pub. - Torna indietro, la caserma è più avanti...- Lo corresse la dragonessa sbuffando. - Stai andando al Selena's Pub, non dai vigilanti... Razza di molesto ubriacone.- Continuò Nur, suscitando in lui solo risate, che prontamente cessarono quando arrivò dinanzi alla sterrata che conduceva alla base dei vigilanti.-Dici troverò qualcosa di interessante? - Domando il cavaliere, posando una mano sull'elsa della spada che portava alla cinta. La creatura grugnì sonoramente. - Sei andato diretto in questo luogo mentre avresti potuto vagare senza meta e controllare un po' ovunque... Come lo chiamate voi umani? - Il giovane sbuffò, passandosi una mano sulla faccia. Nonostante fosse gennaio la temperatura era abbastanza mite. Nel suo giaccone scuro non penetrava alcuno spiffero d'aria gelida, mentre la sua barba ed i suoi capelli non presentavano alcun tipo di ghiacciamento alle estremità. Inusuale come quadretto per essere in pieno inverno. Imboccò la stradina con passo sicuro, fischiettando un motivetto. - Sesto senso, Nur... Sesto senso.- Disse più tra sé e sé che alla compagna che nel frattempo aveva sbadigliato annoiata, segno che si stava pesantemente rompendo le squame di stare all'Isola Verde. Il giovane non poté fare a meno di ridacchiare piano. In realtà quel giorno non era propriamente tranquillo. Come una strana sensazione gli serpeggiava in corpo e no, non si trattava del richiamo della natura, bensì di qualcosa di più profondo. Era trascorso un anno dall'ultima informazione trovata su suo fratello, ammesso e concesso che fosse ancora in vita. Un nome, tutto quello che aveva saputo dirgli un'anziana di Giustizia. Dastan. Capirai che grande indizio! Quanti bambini, ragazzi, adulti e vecchi portavano quel nome? Certo doveva pur sempre assomigliarli, ma con quelle misere sei lettere poteva fare ben poco. Era talmente assorto nei suoi pensieri che quasi non si accorse della Caserma in vicinanza e della figura che pian si avvicinava a lui. Continuò a camminare, fermandosi a quella che secondo lui pareva una distanza ragionevole, ossia a metà tra la distanza che lo separava dalla caserma. Il riverbero del sole gli impedì subito di vedere chi aveva di fronte, così si portò una mano davanti agli occhi ed alzò l'altra, in segno di saluto. Gli parve d'intravedere le tipiche curve femminili che tanto lo facevano impazzire, così si azzardò a verbalizzare.- Ciao bellezza, in realtà non so neanche io cosa sto cercando... Puoi aiutarmi?- Sorrise, sapendo che chiunque ci fosse dietro al riflesso del sole poteva vederlo.
    Dylan Hasvik @
     
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    Erano ormai passati diversi mesi da quando era "ufficialmente" scoppiata la guerra, e la vita di Zaira non era mai stata tanto movimentata come in quest'ultimo periodo. La rossa faceva avanti e indietro continuamente tra Giustizia e Indipendenza, poiché doveva stare con i suoi compagni, ma voleva anche stare con Dastan, così da poter mettere da parte i pensieri per un po' di tempo ed allontanarsi dalla nuova realtà che la circondava. E non era solo un suo bisogno, perché aveva spesso avuto la sensazione che anche Dastan non vedesse l'ora di vederla per dimenticarsi del mondo che lo circondava, mondo in cui, in qualche modo, lei l'aveva costretto a rimanere quando lui se ne sarebbe voluto allontanare. Zaira si era sentita ripetere quello stesso discorso più volte nel corso del tempo, ed ogni volta andava a finire sempre allo stesso modo: lei lo accusava di codardia, pur sapendo che la verità era tutt'altra, lui si incazzava e finivano a discutere. Ormai, comunque, tra loro la discussione era all'ordine del giorno, e di certo il clima teso che aleggiava sulla Sword's Hilt non li aiutava: tanto lei che il Capo di Indipendenza si trovavano giorno per giorno a dover organizzare le ronde, i turni di guardia, ad avere a che fare con i feriti ed anche con qualche perdita; per Zaira le prime morti in battaglia avevano avuto un sapore particolarmente amaro, vedere crollare sul campo alcuni dei suoi compagni, più o meno esperti ed a cui era più o meno affezionata, non era stato affatto facile. Lei temeva la morte e più di una volta in quegli ultimi mesi ci era andata molto vicina, e questo perché era, sostanzialmente, un'incosciente. Zaira aveva sempre combattuto in un determinato modo sin dalle prime ronde e scorribande fatte con i Vigilanti, ed aveva sempre evitato lo scontro diretto, in un modo o nell'altro; aveva imparato a sfruttare ciò che aveva intorno, come ad esempio gli alberi non troppo alti, su cui si arrampicava e da cui attaccava con le varie armi a distanza di cui disponeva. Spesso e volentieri, poi, aveva chi le guardava le spalle, come i suoi compagni o la sua fedele Denna, che non l'abbandonava mai. Ma in quegli ultimi mesi, la von Row aveva deciso di voler prendere parte agli scontri in modo diverso, in qualche modo più attivo, e quindi si buttava in mezzo alla mischia con il preciso scopo di creare un po' di disordini: era una scricciolo in confronto a tanti altri Vigilanti, questo era indubbio, ma proprio per questo passava inosservata agli occhi di quelli presi dagli scontri diretti, e così lei gli si buttava addosso, sbilanciandoli magari e dando la possibilità ai suoi compagni di contrattaccare. C'erano state quelle volte in cui, però, gli avversari si erano accorti della sua presenza, e poco ci era mancato che la schiacciassero come una formica; se non fosse stato per Denna, che si avventava alle gambe o alle braccia di chiunque sfiorasse la sua padrona, o per Sam, che aveva riportato una bruttissima ferita al fianco per farle da scudo, lei sicuramente avrebbe perso la vita in uno dei tanti scontri con i Valorosi.
    Si, Zaira temeva la morte, ma aveva scoperto di temere ancora di più la notizia della morte di Dastan: già una volta aveva corso il rischio ed era stata pronta a lasciarsi andare qualora le condizioni dell'uomo fossero risultate critiche ed irreversibili. Lei si rifiutava di combattere al suo fianco, perché il pensiero di lui che veniva attaccato l'avrebbe sicuramente distratta più di quanto si sarebbe potuta permettere, e, poco ma sicuro, la presenza di lei sul campo di battaglia avrebbe avuto il medesimo effetto sull'Orso del Nord. Si mandavano aiuti a vicenda, ma insieme sul campo di battaglia i due non si erano mai presentati.
    Erano passati poi un paio di giorni da quando Zaira aveva visto Dastan l'ultima volta, poi si era dedicata anima e corpo ai suoi compagni e a cercare di organizzare qualche forma di difesa, senza giungere a nessuna conclusione utile ed accettabile. Stanca di avere a che fare con tutti gli accorgimenti legati alla guerra, Zaira aveva preso il cavallo e si era diretta ad Indipendenza da quella che ormai era la sua via di fuga. Ad Indipendenza il clima era un po' meno agitato che a Giustizia, ma ormai Zaira era abituata anche a quella differenza tra i suoi compagni e gli Indipendenti; alcuni di loro erano visibilmente più agitati, altri sembravano non essersi ancora resi conto della situazione. Tom e Jerry, ad esempio, erano tra questi ultimi: i due vivevano in un mondo tutto loro, Dastan li lasciava quasi sempre alla Base a fare i turni di guardia, ma la loro attenzione non era mai poi così elevata. Zaira li trovò come sempre a ridacchiare e confabulare tra di loro; gli si avvicinò di soppiatto, giusto per sentire i loro discorsi assurdi e farsi quattro risate, ma quelli si accorsero della sua presenza e si zittirono immediatamente. La rossa sbruffò e si guardò intorno per assicurarsi che Dastan non fosse in cortile, bensì dentro, dove lo avrebbe raggiunto; con sua sorpresa lo vide arrivare dalla stradina, o almeno così le parve. C'era qualcosa di strano nella camminata dell'uomo, gli sembrava in qualche modo diversa dal solito, ma il suo cervello lanciò immediatamente in ballo l'ipotesi che si fosse fatto male in qualche scontro e lei non lo sapesse. Senza pensarci troppo, Zaira si incamminò nella sua direzione con passo svelto: era diventato così abitudinario vederlo tutti i giorni, abbracciarlo, baciarlo e quant'altro, che lo stare lontani per più di ventiquattro ore, per giunta in tempi non proprio felici, era strano. -Di un po', ti sembra il caso di andartene in giro da so..- cominciò a dire, ma l'altro, quasi ignorandola, si rivolse a lei in un modo del tutto inaspettato, usando appellativi che dalla bocca di Dastan mai erano usciti da quando si erano conosciuti. E la voce, per quanto profonda e simile potesse essere, non era affatto quella del suo Dastan: c'era una nota troppo allegra e leggera nella voce di quel ragazzo che, mentre lei si avvicinava, si rivelava essere sempre più una copia quasi esatta dell'Orso del Nord. Zaira si fermò a qualche passo di distanza dall'altro, aggrottando le sopracciglia e studiandone l'espressione ed il sorriso, ed il cuore quasi le si fermò quando notò che quest'ultimo era identico al sorriso di scherno che tante volte Dastan le aveva riservato. La rossa strabuzzò gli occhi ed aprì la bocca, ma fu incapace di parlare. Poi, vedendo che l'altro continuava imperterrito a sorridere, Zaira si riscosse. -Cosa ti fa pensare che sia pronta a dare una mano al primo che passa? E che non sa neanche cosa cerca?- domandò con il suo solito tono sarcastico, mettendo su un'espressione palesemente indagatrice e riprendendo ad avanzare per poter studiare più a fondo il nuovo arrivato, ed immediatamente seppe di avere buona parte degli occhi dei presenti puntati addosso. Istintivamente, si chiese quanto ci avrebbero messo gli occhi di Dastan ad aggiungersi a quelli dei suoi compagni, e soprattutto quale sarebbe stata la sua reazione alla vista di quell'inquietante copia di sé.
    Zaira von Row @
     
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    La figura davanti a lui avanzò prima con passo sicuro poi rallentò. Dylan lo capì dal rumore dei passi sulla strada; prima veloci, infine lenti e sospetti. Che l'avesse scambiato per qualcun'altro? Era probabile in quanto li parve di sentire quasi un rimprovero strozzato a metà, come se la donna - ora ne era certo - si fosse accorta di aver sbagliato persona. Oppure stava divagando troppo, dimenticandosi che era pur sempre in territorio nemico. Scrollò le spalle senza smettere di sorridere, poi allargò le braccia socchiudendo gli occhi, infastidito dalla luce. - Sorpresa! Sorpresa! Non sono chiunque pensavate che fossi... Sono mortificato..- Disse, muovendo lo sguardo attorno a sé. In effetti vi erano un po' troppi "passanti per caso" in quell'esatto frangente di tempo. Tutti immobili fissavano lui o la donna? Forse entrambi, ma lui non poteva certo dirlo, abbagliato com'era dal sole. Fortunatamente madre natura accorse in suo aiuto, oscurando prontamente il sole con un fascio di nubi dense. Finalmente riuscì a mettere a fuoco ciò che lo circondava; la caserma dei vigilanti, senza dubbio, un bel po' di vigilanti incuriositi e, ciliegina sulla torta, una splendida rossa che lo osservava sconcertata ed indagatrice. Sbatté qualche volta le palpebre strofinandosi gli occhi. Erano tutti molto stupiti non c'erano dubbi. Tossì brevemente, quasi imbarazzato da tante attenzioni. - La gentilezza verso il prossimo bellezza... Che altro? Vengo in pace...- Continuò, cercando di non badare troppo agli sguardi indiscreti ed ai brusii che provenivano dai presenti. Immediatamente Nur piombò nella sua mente come un falco. - Uhu, ci siamo cacciati nei guai? Ti sento inquieto... O inquietato? - Chiese con voce melliflua, cercando di ingannarlo. Dylan sbuffò infastidito. - Chiudi il becco Nur. Sembrano piuttosto stravolti dalla mia presenza..- La dragonessa ringhiò annoiata.- Oh, come se questa fosse una novità. Sembri un guerriero d'altri tempi, da romanzo pre apocalittico....E ti sorprendi pure!- Lo rimbeccò lei ironica, sbuffando una lingua di fuoco che Hammer non poté chiaramente vedere. Dal canto suo il cavaliere non si scompose più di tanto per le frecciatine delle compagna, tornando a concentrarsi sui vigilanti di Indipendenza, sempre sbigottiti. Si chiese se la guerra facesse quest'effetto a tutti. Ammutoliti e spenti nelle divise sgualcite alcuni, altri fieri ed impettiti in abiti creati ad oc per l'occasione. Rimase quasi nauseato ad immaginare con quanta violenza alcuni facessero valore la loro verità, delle volte troppo distorta per essere anche solo immaginata. Eppure erano lì, ad osservarlo storditi, chiacchierando tra loro furtivamente, come a chiedersi conferma di qualcosa che lui ancora non capiva. Tornò ad osservare la giovane donna e proseguì il discorso. - Mi chiamo Dylan... Non penso proprio di essere la persona che state aspettando tutti con quest'ansia...- Un ringhio sommesso gli fece ricordare di avere una dragonessa piuttosto petulante delle volte, che con ansia attendeva il momento giusto per impicciarsi, sempre. - Ottimo modo per iniziare una conversazione. Ti faccio i miei complimenti...- Dylan incrociò le braccia. - Perché non ti trovi un hobby di tanto in tanto? Io ne ho alcuni veramente appaganti, sai? Sono certo troverai qualcuno disposto a..- Ruggì una sola volta, interrompendolo in tronco. Lui sorrise divertito, scuotendo il capo. - Occupati dei vigilanti invece che pensare ai miei hobby, umano..- detto ciò tornò silenziosamente, si fa per dire, ad annoiarsi nella sconfinata Isola dei Draghi. Detto fatto. Il cavaliere tornò a concentrarsi sulla giovane donna dai capelli rossi che continuava imperterrita ad osservarlo. Sorrise lievemente. - Chi ti ricordo Rossa? Avanti, non fare la timida, chiaramente è qualcuno d'importante, altrimenti non avrei tutti questi sguardi puntati addosso...- Si guardò attorno, grattandosi i capelli con aria da chi si sente un pelo a disagio. Non aveva tutti i torti dopotutto, erano decisamente incuriositi per essere nella norma. Attese che qualcuno lo illuminasse, incrociando le braccia e guardando diritto davanti a sé.
    Dylan Hasvik @
     
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    Sentirsi chiamare "bellezza" da qualcuno con una voce tremendamente ed eccessivamente simile a quella di Dastan le faceva venire i brividi. Evidentemente stava sognando e non se ne era resa conto, ma, se così realmente era, la cosa peggiore era il sognare un Dastan con un modo di fare molto più simile a quello di Tommen che a quello del reale Capo di Indipendenza. Zaira si morse immediatamente la lingua, ma sentì dolore, segno che non stava affatto sognando. La situazione cominciava a farla sentire particolarmente confusa, ma in realtà non capiva neanche lei dov'è che fosse tutta quella grande tragedia che tra sé e sé stava facendo: c'era un uomo davanti a lei, nient'altro che un uomo che, come molti altri prima di lui, aveva dispensato qualche complimento nella speranza che lei cadesse nella trappola. Possibile che quella eccessiva somiglianza con Dastan -non solo nell'aspetto- avesse il potere di scombussolarla tanto? Evidentemente si, perché Zaira, che con gli uomini come quello e in quel tipo di situazione aveva sempre saputo cavarsela, in quel momento non riusciva a rispondere a tono in nessuno modo. Sentiva intorno a sé la gente bisbigliare, ovviamente non era matta e non si era sognata una specie di secondo Dastan appena giunto alla Base: poteva percepire abbastanza chiaramente la gente che sospirava per lo stupore e chi, senza curarsi di nasconderlo, si chiedeva chi fosse lo straniero o se sarebbe stato il caso di chiamare Dastan per confrontarli.
    Zaira si sforzò comunque di ignorare chi aveva intorno e di concentrarsi sullo straniero e su di sé, su ciò che gli avrebbe potuto dire. Quello prese a dirle che era la gentilezza che doveva indurla ad aiutarlo, poi seguitò e disse di chiamarsi Dylan, e di non essere quello che tutti sembravano aspettare. Zaira affilò lo sguardo, quindi mosse qualche altro passo per avvicinarsi ulteriormente al nuovo arrivato. Gli si ritrovò a meno di mezzo metro di distanza, ed a quel punto tutto intorno calò il silenzio: probabilmente tutti gli Indipendenti, in quel momento, si stavano chiedendo quale sarebbe stata la prossima mossa di quella che sapevano essere una ragazza imprevedibile. Ma Zaira non aveva intenzione di fare niente di stupido, avventato e stupefacente, troppo presa com'era dal cercare di formulare almeno un'ipotesi riguardo la somiglianza tra Dastan e quel Dylan. Per quel che ne sapeva lei, l'Orso del Nord era figlio unico: non erano mai girate voci riguardo qualche altro componente della famiglia, e lui non le aveva mai detto nulla. A dirla proprio tutta, poi, non avevano mai parlato troppo a fondo dei propri passati e delle proprie famiglie, ma insomma, se lui avesse avuto un fratello -gemello, visto l'assurda somiglianza- lei lo avrebbe saputo, chiunque l'avrebbe saputo.
    Proprio mentre lei stava trovando la calma, la lucidità e la forza necessarie per rifilargli una risposta, Dylan riaprì bocca e, ciliegina sulla torta, la chiamò "rossa". Di nuovo, il sangue le si gelò nelle vene, forse anche più di come le era successo poco prima. -Chi diavolo sei?- sbottò, innervosita da quell'ennesima inspiegabile uscita di Dylan -Dylan, eh? Non mi dice assolutamente niente come nome, e da quel che sento non dice niente a nessuno dei presenti.- allargò il braccio, indicando i Vigilanti intorno a lei, poi fece una pausa, cercando di ricomporsi. Era stupido arrabbiarsi così, non avrebbe dato alcun frutto quel tipo di atteggiamento. -Chi cazzo ti manda e soprattutto chi ti da il diritto di prenderti una confidenza che non ti appartiene e che non ti puoi permettere?- Zaira tornò di nuovo ad incalzarlo, e se non avesse temuto la stazza e lo sguardo gelido di lui, sicuramente avrebbe dato di matto fino all'ultimo e gli avrebbe messo le mani addosso. Subito dopo aver fallito nel tentativo di mostrarsi un tantino più cordiale con quello che poteva anche essere un uomo pericolo, per quel poco che ne sapeva, Zaira captò per l'ennesima volta la parola "capo" che usciva da più di una bocca tra quelle presenti, quindi intercettò la frase completa. -Ecco il Capo.- Zaira si girò di scattò, osservando la figura di Dastan che con passo abbastanza sostenuto si avvicinava a lei e Dylan. La rossa incontrò lo sguardo dell'uomo, leggendovi del leggero stupore, leggero perché probabilmente l'Orso del Nord ancora non aveva messo a fuoco l'intera scena. Istintivamente, la von Row si girò a squadrare di nuovo Dylan, poi fece la stessa cosa con Dastan -come se non avesse saputo fin troppo bene come fosse stato fatto!- ed automaticamente, con aria quasi mortificata ed ancora senza riuscire a parlare, alzò le spalle e si fece leggermente da parte, per permettere al Capo d Indipendenza di confrontarsi con il nuovo arrivato.
    Zaira von Row @
     
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    Erano giorni che non chiudeva occhio. A causa della guerra e della paura tremenda che qualcuno attaccasse la sua Base o quella di Zaira durante la notte, Dastan restava con lo sguardo fisso sul soffitto, senza il minimo accenno di sonno. Poi, invece, di giorno, gli crollava addosso la stanchezza. Non era abituato a non dormire per così tanto tempo, visto e considerato che lui era uno a cui piaceva crogiolarsi nel letto. Si era più volte detto che stare sveglio non migliorava le cose, perché in caso di attacco sarebbe stato più debole, per certi versi, ma era inutile. La sera si ritrovava comunque con gli occhi sbarrati. Dopo ben tre giorni senza sonno -se non qualche pisolino breve qua e là- Dastan si era finalmente addormentato. Alle cinque di mattina di quel giorno, gli occhi del Vigilante si erano chiusi, facendolo precipitare in un sonno così profondo che non avvertì nemmeno i Vigilanti del turno di notte smontare. Si era ripromesso di andare a trovare Zaira, ma probabilmente ci avrebbe ripensato quel pomeriggio, sempre che si fosse svegliato per tempo. Qualcosa, però, aveva disturbato il suo sonno. Aveva fatto un incubo dietro l'altro, senza mai potersi svegliare, e gli era parso di non aver riposato affatto. Aveva aperto gli occhi intorno alle dodici, completamente scoperto ed infreddolito e con un mal di testa immane. Si era quindi alzato, aveva mangiato un boccone e poi aveva chiesto alla Strega della sua Base di fare qualcosa per il suo dolore. Fortunatamente, era bastato un tocco leggero delle tempie per fargli sparire quel mal di testa tremendo. Deciso a voler andare da Zaira nel pomeriggio, poi, si era di nuovo appoggiato sul letto, cadendo inevitabilmente in catalessi. Aveva strabuzzato gli occhi all'improvviso due ore e mezza dopo, scosso da qualche tremito e conscio che doveva essere già pomeriggio. Forse avrebbe potuto passare la serata da Zaira. Una volta alzato e lavato, era uscito dalla sua camera per avvertire i Vigilanti, ma non aveva trovato nessuno. Eppure giurava di essere sveglio. Chiamò qualche nome, ma nessuno rispose. Una sola occhiata alla finestra gli spiegò ogni cosa: erano tutti quanti fuori, a fronteggiare uno sconosciuto. E, insieme a loro, intravide anche la folta chioma rossa della sua ragazza. Si infilò un maglione blu pesante tutto stropicciato, poi uscì fuori. L'aria fredda di Gennaio gli sferzò il volto, costringendolo ad assottigliare lo sguardo. Quando scese le scalette della Base, qualcuno cominciò a bisbigliare, guardando prima lui e poi lo sconosciuto, oppure viceversa. Ormai decisamente sveglio, Dastan si guardò attorno, notando come avessero tutti quanti un'aria incuriosita. Aggrottò le sopracciglia, spostando lo sguardo sul ragazzo che si ergeva in tutta la sua statura al centro del sentiero. Doveva essere alto come lui, o forse un po' meno. Dimenticava sempre di sfiorare i due metri. Si avvicinò lentamente, incontrando lo sguardo di Zaira quando questa si voltò. Lo fissò in faccia per un momento, quasi scrutandolo, poi tornò allo straniero.
    « Ma si può sapere che cazzo avete tutti quanti? » chiese. Non distingueva ancora bene il ragazzo, quindi non capiva che cosa diavolo stesse succedendo. Avvicinandosi, man mano, gli successe qualcosa: gli sembrò di vedersi allo specchio, ma la sua figura non camminava. Lui lo stava facendo, però. Capì solo successivamente che quel ragazzo gli assomigliava tantissimo. Era, sostanzialmente, la sua copia. Sì, qualche lineamento era differente, ma era incredibile quanto sembrassero simili. Stessa forma della bocca, stesso naso importante, stessi occhi allungati, e persino la stessa barba. Si fermò all'improvviso, spalancando la bocca ed aggrottando le sopracciglia. Non sapeva se essere inquietato da quella scoperta o semplicemente contento di avere un sosia. Dastan, immobile, lo scrutava: le spalle larghe, il petto ampio, le gambe lunghe... persino le stesse mani. Avevano le stesse maledette mani. Stessa forma delle unghie, stesse dita forti. Prese a girargli attorno, osservandolo in modo sempre più curioso. Percorreva ogni centimetro del suo corpo con gli occhi, ed era certo di non aver mai osservato così bene un uomo in vita sua. Di donne quante ne volevano, ma di uomini nessuno. Era il primo che gli suscitava tutto quell'interesse. Si fermò, infine, proprio davanti al suo volto, fissandolo negli occhi. Anche lui lo stava facendo, e la sensazione di sentirsi osservato da se stesso non l'aveva mai provata.
    « Ma che cazzo... ? » bisbigliò appena, assottigliando lo sguardo. Lui non aveva fratelli... forse?
    Dastan Dauthdaert @
     
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    La giovane lo osservò insistentemente, poi urlò contro di lui come un'isterica. Dylan rimase sorpreso da tale reazione, portando le mani in avanti come a volerla silenziosamente calmare. - Hey, hey! Calma cazzo! Sono finito qui per puro caso dannazione!- Si giustificò velocemente non riuscendo a dire altro, poiché tutto il brusio che si era creato intorno a loro improvvisamente cessò. La strana sensazione che provava da tutto il giorno si fece più acuta, creando una barriera tra lui e ciò che stava accadendo tutt'intorno. Nur si intromise nel corso dei suoi pensieri, con tono decisamente poco tranquillo. - Dylan che succede? - Chiese solamente, tornando muta poco dopo, intuendo forse che il suo cavaliere non desiderava darle spiegazioni. In realtà Dylan avrebbe voluto dirle che stava succedendo qualcosa di decisamente insolito. La sua simil copia stava camminando verso di lui, seguita da esclamazioni come - Ecco il Capo!- e la donna che poco prima lo aveva aggredito verbalmente ora appariva confusa limitandosi a spostare lo sguardo da lui all'altro incessantemente. Ancor più insolito fu il momento in cui il ragazzo che doveva comandare quell'avamposto si accorse anche lui dell'assurda somiglianza, iniziando ad osservarlo insistentemente, come forse mai aveva fatto. Ci fu un momento di silenzio surreale dove tutto si fermò. I vigilanti di Indipendenza cessarono di confabulare, la ragazza dai capelli rossi smise di osservarli e pure gli eventi atmosferici si congelarono, regalando ai presenti un gelido momento d'ombra. Dylan ed il giovane, che sicuramente doveva avere qualche anno meno di lui, si osservarono per un lungo momento. Rimase impressionato dalla somiglianza che li univa; stessi occhi, stesse mani e stessa stazza massiccia. Che fosse lui suo fratello scomparso? Sul momento non seppe cosa pensare. La somiglianza era inquietante. Davanti a lui c'era una sua copia e persino sua madre avrebbe faticato a distinguere l'originale. Si chiese poi se anche suo padre, Christopher, avrebbe faticato a distinguere Dylan da...Dastan? Il giovane bisbigliò appena, assottigliando lo sguardo. Lui fece lo stesso, mentre la sensazione gli stringeva le budella come mai gli era successo. Respirò forte, incrociando le braccia. - Fa paura questa somiglianza cazzo...- Tossì appena, guardando prima la giovane poi il misterioso comandante dei vigilanti. Non sapeva cosa dire in realtà. Dopotutto lui era uno straniero capitato li a caso, cosa poteva dire ad un comandante appena rientrato chissà da dove ? Poteva presentarsi certo, e poi? C'era un dettaglio poco trascurabile; lui e il capo erano due gocce d'acqua. Come due fratelli separati alla nascita. Il dubbio stava proprio lì. Dylan sapeva per certo di avere un fratello disperso chissà dove, ma si trattava proprio del vigilante che aveva di fronte o la loro era solo una somiglianza casuale? I dubbi erano tanti, così come le domande. Si passò velocemente una mano sulla barba, senza staccare lo sguardo dal giovane. - Mi chiamo Dylan... E come ho detto poco fa alla signorina, sono finito qui per caso... - Disse semplicemente, cercando di distogliere i presenti dal mutismo in cui erano sprofondati. Come biasimarli del resto? Scene del genere non accadevano tutti i giorni, ragion per cui era meglio andarci cauti. - Il capo di questa fazione mi somiglia in maniera... Inquietante.- Comunicò infine alla dragonessa che mugugnò soffiando una nube scura. - Ohlala, l'abbiamo forse trovato questo misterioso fratello? - Squittì passandosi la lunga lingua sul muso. Dylan sospirò appena. - Nessuna idea Nur, tempo al tempo, dopotutto io sono qui di passaggio...- La risposta della dragonessa fu una sommessa risata, inquietante quanto bastava per la situazione. Peccato che nessuno dei presenti potesse sentirla.
    Dylan Hasvik @
     
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    Lo guardava con infinita curiosità, senza distogliere mai lo sguardo da lui. In particolare, dai suoi occhi. Non si era mai sentito così strano in vita sua, come se... non fosse solo. Dastan non era il tipo che credeva alle coincidenze, ed il fatto che si fosse trovato davanti quel ragazzo probabilmente non era stato un caso. Non riusciva a guardare da nessun'altra parte, troppo preso com'era a cercare delle infinite verità nei pozzi azzurri di quello che gli stava davanti. La somiglianza era paurosa e, forse, un po' allarmante. Dastan sapeva che Benjamin non era il suo vero padre e che sua madre si era divertita con un altro. Per cui, le opzioni erano due: Cate aveva figliato con qualcun'altro tempo prima che lui nascesse oppure l'aveva fatto suo padre biologico, quello che non aveva mai conosciuto. Sua madre, comunque, era sempre stata assieme a Benjamin nell'adolescenza, perciò stentava a credere che all'allora Sergente fosse sfuggita una gravidanza. Non rimaneva che il Cavaliere misterioso. Gli sembrava impossibile che quel ragazzo gli somigliasse e basta, era troppo palese la cosa. All'improvviso, dopo essersi accarezzato la barba, lui parlò, dicendogli che si chiamava Dylan e che era capitato lì per caso. Dastan non sapeva come rispondere. Sarebbe sembrato uno schizzato se gli avesse chiesto il suo albero genealogico? O magari anche solo i parenti più stretti. Gli sarebbe bastato sapere chi erano i genitori. Il mondo attorno a loro due era completamente offuscato. Non sentiva neanche più i Vigilanti bisbigliare incuriositi, il che voleva dire che era davvero partito. Si portò entrambe le mani al volto, strofinandosi gli occhi, evidentemente ancora stordito dalla situazione. Sospirò sonoramente, accorgendosi solo in quel momento che probabilmente avevano anche la stessa voce. Gli era sembrato immediatamente molto familiare, come se fosse stato una persona che Dastan conosceva da tempi immemori. Com'era possibile che ci fosse quel legame, di già? Per quanto fosse un tipo diffidente, dentro di sé sapeva che avrebbe forse chiuso un occhio per quello lì davanti a lui. Inconsciamente, il suo cervello l'aveva già catalogato come parente. Aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse. Doveva formulare una frase di senso compiuto, qualcosa che potesse trasmettergli tutti i dubbi che aveva in testa. Strinse i denti, evidenziando per un momento la mandibola, poi prese di nuovo fiato e parlò.
    « Io mi chiamo Dastan. » cominciò. Non disse il cognome, perché quello lo avrebbe subito collegato al Generale di Divisione Benjamin Dauthdaert. Suo padre biologico c'entrava poco e nulla con lui, perciò sarebbe stato inutile e sconveniente.
    « Sei... per caso sei il figlio di un Cavaliere? » chiese, con la sua solita mancanza di tatto. Ci avrebbe potuto girare intorno, indorare un po' la pillola, ma no, la sua curiosità prevaleva sempre. Gli era sorto il dubbio non appena ci aveva ragionato su: e se fosse stato il suo fratellastro? Gli somiglia in maniera troppo precisa per essere solamente un passante alto e barbuto. Tornò ad aggrottare le sopracciglia e fissarlo intensamente, sperando che lui fosse curioso tanto quanto lo era Dastan. Anche il modo in cui muoveva gli occhi e la testa gli ricordavano qualcosa di familiare. Aveva voglia di andare lì vicino e toccargli la faccia, come per testare che fosse una persona vera, ma poi sarebbe sembrato decisamente troppo ambiguo. Gli bastava e gli avanzava quella strana attrazione che avvertiva partirgli direttamente dal petto e che non sapeva spiegarsi. Strinse di nuovo i denti, in attesa. Bastava poco a farlo incuriosire, era vero, ma quello che aveva davanti altro non poteva essere che il suo fratellastro. O un clone.
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    Il ragazzo davanti a lui lo osservò instancabile, in silenzio. Dylan ne era sicuro, anche il giovane come lui e Nur si stava facendo sicuramente mille domande. In realtà non sapeva bene come spiegare alla dragonessa cosa effettivamente stava passando per la sua testa. Si somigliavano troppo per essere solo simili e nulla più. Poco dopo la sua, arrivò anche la presentazione del comandante. Dastan. Quel nome fu una doccia fredda. Nur ruggì soddisfatta. - Troppe coincidenze Hammer, è lui. - Sibilò appena, spalancando le iridi chiare come a voler accentuare la sua curiosità. Dylan fece per parlare ma la voce gli morì in gola. La domanda di Dastan lo lasciò senza fiato. Avrebbo voluto urlare "Sì cazzo! Sono proprio io, tuo... fratello!" ma si trattenne. Incurvò le labbra in un sorriso discreto, scuotendo il capo incredulo. -Tu piuttosto, sei per caso il figlio adottivo di un militare... Dastan?- Chiese a sua volta, osservandolo intensamente. Persino la sfacciataggine e la curiosità erano molto simili. Avrebbe voluto dirgli il nome di suo padre ma non era sicuro fosse la mossa giusta. Nonostante pareva abbastanza incuriosito ed impaziente il suo modo di reazione sicuramente non era prevedibile. Dylan incrociò le braccia interpellando silenziosamente Nur. - Diglielo Hammer. Adesso. Senza giri di parole o teatrini, non penso siano il suo genere. È pur sempre tuo fratello, comportati come se stessi parlando con te stesso. - La voce eccitata della dragonessa lo fece sorridere. Ancora si chiedeva come il destino avesse fatto ad accoppiarli. Distese le braccia lungo il busto, aggrottando le sopracciglia. Avrebbe voluto toccarlo per verificarne la realtà; suo fratello era davvero davanti a lui? Tossì appena, passandosi una mano sulla barba. - E sia... Sì, sono figlio di un cavaliere di drago che, venticinque anni or sono, si concesse una notte insolita con una nobil donna nel bosco...- Evidentemente il tatto non era il loro forte. Probabilmente chiunque, sentendosi dire una cosa del genere avrebbe reagito male, magari venendo addirittura alle mani. Dylan aveva usato parole semplici e coincise, lasciando in sospeso l'ultimo pezzo di frase, come ad invitare Dastan a completarla con e per lui. L'aveva dunque trovato? Non sapeva dirlo con esattezza ma si stava comportando troppo naturalmente con il giovane per reputarlo sono uno sconosciuto. Nur sbuffò con impazienza. - Dovevo venire con te Hammer...- Disse in tono mortificato ed annoiato, rotolandosi sulla roccia dove si era appollaiata, nell'Isola Verde. Dylan non le rispose, concentrando tutte le sue energie su Dastan. Come avrebbe reagito? Mettendosi per un secondo nei suoi panni il cavaliere vagliò alcune ipotesi, partendo dal pugno in faccia alla stretta di mano formale. Non lo sapeva come avrebbe reagito lui e di conseguenza non poteva pretendere di prevedere la reazione di suo fratello, perciò restò semplicemente in attesa, braccia lungo i fianchi, sguardo incuriosito. - O la va o la spacca Nur.- La dragonessa annuì, soffiando qualche lingue di fuoco qua e là.
    Dylan Hasvik @
     
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    Vigilante • Be prepared for the confrontation.
    Dylan le intimò di stare calma, che era stato solo un caso il suo essere finito lì, ma Zaira non riusciva a calmarsi, non quando, a maggior ragione, le si diceva di stare calma. La rossa, poi, era ormai totalmente in balia della situazione, confusa più che mai dall'enigmatico individuo che di punto in bianco aveva messo piede ad Indipendenza. E se lei era confusa, non osava immaginare come potesse sentirsi Dastan. Il ragazzo aveva girato intorno a Dylan con sguardo palesemente incuriosito, ma lei riusciva a leggere nei suoi occhi anche turbamento, parecchio turbamento, che invece negli occhi dell'altro non sembrava esserci: Dylan era incuriosito tanto quanto Dastan, ma Zaira aveva come l'impressione che per lui la situazione non fosse poi così tanto assurda, un po' come se si fosse aspettato di trovare Dastan. La cosa più sorprendente per lei, però, fu sentire l'Orso del Nord chiedere all'altro se fosse il figlio di un Cavaliere di Drago; la rossa fissò il suo uomo con fare enigmatico, chiedendosi quale pezzo della sua storia si fosse persa. Dastan aveva da sempre saputo che da qualche parte della Sword's Hilt c'era suo fratello e non glielo aveva mai detto, neanche in quelle rare occasioni in cui avevano affrontato il discorso della famiglia? Zaira fissava Dastan con uno sguardo a metà tra l'irritato e l'incuriosito, ma lui non le prestava attenzioni, aveva occhi solo e soltanto per l'altro, che esitava a rispondere. Lei, francamente, cominciava anche a sentirsi di troppo: non sapeva come comportarsi, se rimanere lì o andarsene, se stare in silenzio o intervenire -in quest'ultimo caso, sicuramente a sproposito. Incrociò lo sguardo di Dylan per un secondo, ed il fatto che questi si ostinasse a rimanere in silenzio la spinse improvvisamente ad indietreggiare per andarsene. Ma poi il nuovo arrivato parlò di nuovo, e l'attenzione di Zaira fu inevitabilmente e nuovamente risucchiata dalla situazione.
    Sembrava quasi che Dastan e Dylan avessero saputo entrambi dell'esistenza l'uno dell'altro, ma che non si fossero mai spinti troppo oltre per trovarsi. Dylan rispose alla domanda del Capo di Indipendenza con un semplice mezzo sorriso, tergiversando e ponendo a sua volta la stessa domanda all'altro, chiedendogli se fosse figlio adottivo di un militare. I Vigilanti intorno a loro ripreso a mormorare più rumorosamente che mai, e Zaira lanciò un paio di occhiatacce ad alcuni di loro: le sembrava già abbastanza assurdo il ritrovarsi lì, in un contesto nel quale lei e tutti gli altri non sarebbero dovuti rientrare, ma visto che ormai c'erano, andava da sé che sarebbero dovuti rimanere in silenzio. Lo sguardo della von Row tornò poi sul volto di Dastan, l'espressione sempre più incredula e confusa. A Zaira venne istintivo avvicinarsi a lui e sfiorargli il braccio per un momento; era pronta a chiedergli se preferisse rimanere da solo con l'altro, così da potersi confrontare con lui senza essere circondato da un pubblico di pettegoli, ma Dylan la batté sul tempo e tornò a parlare, dicendo senza mezzi termini di essere il figlio di un Cavaliere che, lasciò intendere, in una notte di divertimento aveva concepito un altro figlio. Zaira sgranò gli occhi, trattenendo appena il fiato e poi aprendo la bocca quasi a voler replicare, ma la richiuse immediatamente. Sentì i muscoli del braccio di Dastan tendersi all'istante, e di nuovo lei reagì d'istinto, cingendogli il braccio e tenendogli la mano, quasi come a volerlo frenare -e consapevole di non avere la stazza e la forza necessarie a farlo.
    Dunque era abbastanza chiaro, ormai, che i due fossero figli dello stesso padre -e che avessero ripreso tutto da lui, al livello fisico. Gli occhi della ragazza sfarfallarono un attimo, poi Zaira prese un gran respiro e si girò verso Dastan, che ancora fissava suo fratello con sguardo oramai indecifrabile. -Non credo sia il caso di parlarne in mezzo a tutti, Dastan.- disse semplicemente, a voce neanche troppo alta e sicura, come se temesse di aver sbagliato ad intromettersi. Ed era assurdo anche quello, il fatto che lei temesse di aver parlato a sproposito, una cosa che era un po' all'ordine del giorno e di cui se n'era sempre altamente fregata.
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    Vigilante • born 7.07.77 • that's not me... who's there?
    Quel Dylan aveva una faccia da schiaffi non indifferente. Lo guardava con un sorrisetto beffardo tipico di chi è molto sicuro di sé e tende a considerare gli altri inferiori. Non credeva di aver capito proprio tutto del fratello -perché quello era suo fratello, punto- ma sicuramente non doveva essere uno stupido. Si notava dagli occhi che lo sguardo era ricco d'intelligenza e furbizia, qualità che non mancavano neanche a Dastan. Forse le avevano ereditate da loro padre. Il ragazzo allargò il sorriso, annuendo lentamente, come a volergli confermare ciò che il Vigilante gli aveva chiesto. Sì, era il figlio di un Cavaliere. Figlio di suo padre. Chissà che tipo di persona era. Chissà come aveva cresciuto suo figlio, se gli aveva voluto bene, se aveva giocato con lui. Chissà se aveva cucinato per la sua famiglia qualche volta, o se li aveva mai portati a mangiare fuori in occasione del suo compleanno. Chissà che tipo di padre era. Dastan poteva essersi perso la migliore vita di sempre solo perché sua madre lo aveva voluto tenere a tutti i costi, senza mai rivelare a nessuno del suo tradimento. Nonostante questo, era riuscita a farsi odiare. Dastan indurì appena la sguardo, stringendo i pugni e tendendo i muscoli. Non ce l'aveva con suo fratello, ovviamente, ma con sua madre. Cate, che aveva deciso di portare avanti la gravidanza per egoismo, che aveva cresciuto suo figlio alla bene e meglio e poi l'aveva abbandonato a se stesso, permettendo che avesse gravi problemi a relazionarsi e mancasse di autostima. Un adolescente solo con se stesso, costretto a rispettare i regimi rigorosi dei militari, fatto spiare da un lurido mercenario da quattro soldi. Proprio mentre cominciava a scaldarsi per tutti quei motivi, avvertì le mani di Zaira toccargli un braccio e stringerlo, come se volesse contenerlo. Dastan ripiombò nel presente, e la figura di suo fratello ricomparve davanti ai suoi occhi. Spostò lentamente lo sguardo sulla sua donna, osservandola per un momento, ma lei era intenta a fissare Dylan con curiosità. Quando Dastan tornò a guardarlo, quello ancora sorrideva in modo beffardo. Gli disse che era il figlio di un Cavaliere che venticinque anni prima se l'era spassata con una nobildonna nel bosco, lasciando la frase in sospeso, come se lui avesse dovuto terminarla. Gli occhi di Dastan si sgranarono, ed una scarica di adrenalina gli attraversò il corpo. Quello davanti a lui era veramente suo fratello. Strinse forte la mano di Zaira, poi sfarfallò gli occhi senza mai staccare lo sguardo da Dylan.
    « Ed il frutto di quella scappatella sono io... » disse, inarcando un sopracciglio. Aveva altro da dire, ma non sapeva se fosse il caso. Infischiandosene altamente, inclinò un poco la testa, parlando. « ...fratello. » concluse. Gli rivolse uno sguardo quasi divertito, ma dentro di sé aveva un mix talmente vasto di emozioni che non sapeva se piangere o ridere. All'improvviso, la presa di Zaira si fece più forte, e la sua voce fu un sibilo basso. Dastan la guardò negli occhi, voltando la testa di scatto. Cosa le era successo? Non l'aveva mai sentita parlare con quel tono. Era... intimidita? Ancora senza distogliere lo sguardo da lei, invitò il fratello a raggiungerlo.
    « Ha ragione. Andiamo. » convenne, per poi lanciare un'occhiata a Dylan, che gli rispose con un cenno di assenso. Portò una mano dietro la schiena della rossa e la spinse leggermente in avanti, invitandola così a venire con loro. Era stata la sua roccia per molto tempo, non l'avrebbe rimpiazzata con Dylan. Non sapeva se sarebbero andati d'accordo, loro due, ma indubbiamente non avrebbe dovuto toccare Zaira. Anche se loro si fossero lasciati, nessuno avrebbe potuto mettere le mani su di lei. Sapeva, purtroppo, di non poterla lasciare libera. L'amava troppo, e la cosa lo impauriva a morte.
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    Forse lo aveva sempre saputo. Un giorno lui e suo fratello Dastan si sarebbero ritrovati. Quel giorno tanto atteso - da sua madre e suo padre- era arrivato. Dastan era davanti a lui, fiancheggiato da una splendida rossa che intimorita quasi osservava la scena. Dylan non si era mai immaginato quel momento e trovarsi catapultato in quella situazione lo sorprese. Dastan lo osservò per un lungo momento, completando senza farlo apposta forse, la frase lasciata in sospeso da lui. Quando lo sentì pronunciare la parola fratello sgranò gli occhi in concomitanza con la giovane ragazza che strinse più forte il braccio del comandante. La rossa sembrava aver suggerito a Dastan di ritirarsi nella base per continuare la conversazione senza orecchi e occhi indiscreti. Lui la spinse poi davanti a sé come a volerla includere nella chiacchierata. Dylan annuì e li seguì guardandosi intorno incuriosito. La presenza della giovane non lo infastidiva. Non tanto per la sua spettacolare bellezza ma più che altro per l'importanza che doveva avere nella vita di suo fratello. Pensare all'uomo che poteva essere Dastan lo metteva in confusione. Se lui aveva conosciuto un'infanzia felice tra allenamenti, corse nei prati, liti e punizioni non poteva giurare che anche all'altro poteva essere capitato lo stesso. Sapeva che i militari possedevano un rigido codice d'educazione e si chiedeva se impartissero le stesse regole anche tra le mura domestiche. Si chiese poi se Dastan aveva mai conosciuto le gioie e le delusioni che segnano ogni bambino, quelle futili e irrilevanti, come le cene fuori ed i giochi in famiglia. Già, nonostante la sua fosse alquanto squattrinata, con da un lato un rigido cordone militare, rotto da sua madre Helena, e dall'altro una folleggiante mandria di cavalieri, Dylan poteva dire di averla avuta. Lui è un uomo dal carattere integro, o almeno lo era prima di scegliere quale strada prendere, ora resta tutto d'un pezzo, fedele alla base nonostante il sangue sulla spada. Chissà quale carattere possedeva sua fratello, quali gioie e dolori, quali desideri e quali incubi. Troppe domande affollavano la sua mente, trascinandolo in un turbine confuso di domande e risposte, mentre silenzioso seguiva Dastan e la rossa all'interno della base. Nur lo accompagnava con la mente, rotolandosi al sole e godendosi la brezza fresca. Dylan sapeva che questo era il suo modo per infonderle coraggio e fiducia, così sorrise di rimando, tornando alla realtà. Si fermarono in una stanza che pareva essere la sala d'attesa di un ufficio, come indecisi sul dove andare. Dylan sospirò, rilassando i muscoli. Tornò poi ad osservare Dastan con aria incuriosita, con un espressione indecifrabile sul viso. Non sapeva cosa dire, era palese. Che diamine si poteva dire in una simile occasione? "Piacere, sono capitato qui per caso senza immaginare di trovarti qui ma sapevo di te perché..." Il perché lo bloccò. Dylan venne a conoscenza dell'esistenza di Dastan tramite Cate stessa, conosciuta in una notte d'eccessi alla locanda. Non poteva dirglielo. Non ancora, forse. In realtà non glielo avrebbe mai confessato. Mai. Ne era certo. Aprì la bocca ma non emise alcun suono, attendendo un movimento dei due vigilanti. Durò poco questo suo silenzio, poiché purtroppo non era nella sua natura stare troppo zitto. Neppure in simili situazioni. Osservò il comandante con sguardo neutro, poi parlò con tono calmo. - Sarò sincero, non avevo la minima idea che il comandante dei vigilanti di Indipendenza si chiamasse Dastan e fossi tu. In realtà conoscevo solo il suo... - Si fermò, passandosi una mano sulla barba, come se lo aiutasse a pensare meglio poi riprese. - ... Conoscevo solo il tuo nome, null'altro. Il mio arrivo qui è stato un caso... - Smise di parlare allargando le braccia. Era sincero, dopotutto non aveva senso dirgli perché tra tutte le città proprio Indipendenza e proprio quel giorno. Suo nonno aveva, senza saperlo, scatenato una serie di eventi che nessuno dei tre presenti probabilmente immaginava. A Dylan rimaneva solo quella strana sensazione allo stomaco, come a presagio di qualcosa che ancora non conosceva. Rimase nuovamente in silenzio, attendendo risposta.
    Dylan Hasvik @
     
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    Vigilante • born 7.07.77 • that's not me... who's there?
    Il tratto di strada che li seprava dalla sala principale della Base sembrò infinito. Si ritrovò perso nei suoi pensieri, deciso a scoprire da solo con il proprio intuito come diavolo fosse arrivato fin lì. Sua madre non gli aveva mai detto nulla su suo padre biologico: sapeva solo che era un Cavaliere di Drago. Non era mai riuscito a scucirle nulla di più, perché Cate era una di quelle donne che quando si mettevano in testa una cosa non mollavano. Un po' come Zaira. Al pensiero, lo sguardo volò su di lei, che ancora sembrava piuttosto shockata dalla situazione. Aveva ragione: non si erano mai detti nulla del loro passato, se l'erano semplicemente lasciato alle spalle. O almeno lui aveva fatto così. Se fosse rimasto ogni momento a rimuginare su come aveva vissuto la vita, sicuramente si sarebbe sparato molto prima. Quando tutti e tre furono dentro, Dastan si guardò attorno, poi si chiuse la porta alle spalle. Non seppe decifrare l'espressione che notava sul volto di Zaira. Di sicuro era un po' scettica, ma c'era anche dell'interesse? Dastan aggrottò le sopracciglia, rivolgendole uno sguardo un po' stizzito, poi tornò a Dylan, che invece l'aveva osservato tutto il tempo. Il sorrisetto enigmatico faceva ancora parte della sua espressione, ma nonostante tutto non gli sembrava ancora il caso di abbracciarlo e comportarsi come se fosse suo fratello. Anche se lo era veramente, sì. Dastan era diffidente di natura, non poteva di certo lasciarsi imbrogliare. Anche se quell'assurda somiglianza fugava ogni dubbio. Dylan poggiò per un momento gli occhi su Zaira -facendo assottigliare lo sguardo a Dastan- e poi tornò a fissare quest'ultimo, allargando le braccia e scuotendo la testa. Gli disse che non sapeva che il capo dei Vigilanti fosse lui, e poi lasciò una frase in sospeso. Cognome, terminò mentalmente Dastan. Conosceva solo il suo cognome. Quindi Dylan sapeva che era un Dauthdaert e che suo padre era il Generale di Divisione dell'Esercito. Magari l'aveva mandato lui perché anche il fratello era un militare. Credeva poco al caso, quando si trattava di suo padre e dell'Esercito in generale. Osservò suo fratello con la sua solita espressione corrucciata, segno anche che stava pensando. Cate gli aveva detto che suo padre biologico non sapeva di avere un altro figlio, quindi Dylan lo aveva saputo o da Benjamin o da Catherine. Non sapeva più dove diavolo collocare suo fratello. Era un'altra spia di sua madre? Un militare valoroso mandato dal Generale di Divisione per persuaderlo a ritornare tra i militari? No, impossibile. Suo padre sapeva che Dastan non sarebbe mai tornato. E poi, ad essere sinceri, quello sembrava tutto tranne che un militare valoroso. Ma se Cate non aveva mai detto nulla a lui, perché dirlo a Dylan? Decise che forse poteva provare a chiederglielo, magari avrebbe risposto con sincerità.
    « Come sapevi della mia esistenza? » gli domandò quindi. Non si sarebbe stupido se gli avesse detto che c'entrava la madre. Quella pazza, da quando l'aveva perso per sempre, si era completamente gettata nel lavoro ed aveva contemplato gli uomini solo come possibili sfoghi. La casa dei Jonasson aveva sempre un ospite diverso, quasi ogni sera. O almeno così gli aveva detto suo padre adottivo, Benjamin. Non gli era mai sembrato uno in grado di mentire per invidia o rabbia, quindi credeva alle sue parole. Anche perché conosceva Cate, e sapeva quanto poteva essere maligna e menefreghista.
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    Le movenze del fratello stavano pian piano sciogliendo qualsiasi dubbio. Dastan e Dylan erano fratelli, lo stesso sangue - o almeno una parte - scorrevano in entrambi. La verità non gli sembrava difficile da accettare, anzi. Non gli sembrava comunque ancora il caso di lasciarsi andare in convenevoli o atteggiamenti fraterni. Non conosceva nulla di lui, soltanto i suoi dati anagrafici ed il nome dei suoi genitori. Lo vedeva per la prima volta in ventisette anni ad Indipendenza, a capo dei vigilanti, ma le sue conoscenze su Dastan terminavano qui. O stesso sicuramente stava pensando l'altro di lui, mentre lo studiava con insistenza, aggrottando le sopracciglia ogni qualvolta il suo sguardo, per forza di cose, si posava sulla bella rossa. Sospirò appena, notando la curiosità di Nur farsi più feroce. - Glielo dirai Hammer?- Chiese semplicemente, grattandosi il collo con gli artigli scuri. Dylan non le rispose, poiché suo fratello gli domandò come sapesse della sua esistenza, facendolo bloccare nuovamente. Il cavaliere socchiuse le labbra ma non produsse alcun suono. Rimase muto ad osservare il fratello, poi le parole uscirono tutte insieme. - Catherine, tua madre. Una sera durante una mia sosta in un pub si è avvicinata a me, sostenendo che il mio volto le ricordasse qualcuno legato a lei, ma anche un semi sconosciuto...- Fece una pausa, passandosi una mano sulla barba. - Purtroppo ha acceso la mia curiosità, nonostante io fossi fermamente convinto di essere figlio unico. Mi ci è voluta una notte per elaborare quanto mi era stato detto da lei.- Si portò entrambe le mani davanti al petto, incrociandole. Aveva omesso un particolare del tutto irrilevante ma era sicuro che Dastan non avrebbe neppure preso in considerazione quell'ipotesi. - Christopher non sapeva della tua esistenza, per lui è stato un duro colpo. Forse ancor di più lo è stato per Helena... Quando le acque si sono calmate poi abbiamo deciso di cercarti per conoscerti... Hanno spedito me per ovvie ragioni... Helena ha perso la fiducia in nostro padre, così è toccato a me raccogliere informazioni qua e la. - Lo osservò per un lungo momento, sguardo fiero braccia incrociate. - Nessuno sa molto di te, sono venuto qui per pura curiosità e senza farlo neanche apposta eccoti...- Fece una breve pausa passandosi una mano tra i capelli, poi osservò il soffitto bianco. - Com'è strano il fato... Spesso ci conduce da chi potremmo non incontrare mai...- Nur emise un ringhio sommesso, come ad approvare le parole del compagno.
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    Osservò suo fratello con un'espressione decisamente corrucciata, come se attendesse la batosta finale. Magari Benjamin era rimasto in contatto con suo padre biologico fin dall'inizio e l'aveva ricattato, o Catherine gli aveva lasciato tutti i suoi averi in punto di morte ed aveva mandato quello a dirglielo. Le idee si rincorrevano una dietro l'altra nella mente di Dastan, che si vide costretto a sedersi sul letto e portare in avanti le spalle, fino a giungere le mani. Dylan sembrava tentennare, come se non volesse effettivamente rispondergli. Dastan non mancò di notare quel particolare, ed assottigliò lo sguardo mentre lui parlava. Gli disse di Catherine, di come l'aveva incontrata e come avesse collegato ciò che gli aveva detto con la sua situazione. Scosse lentamente la testa, abbassando lo sguardo, mentre il fratello continuò a parlare.
    « Quella troia. » bisbigliò. Probabilmente lo sentirono lo stesso, ma non gli importò. Era piuttosto chiaro in che occasione gli avesse detto della loro somiglianza. Dylan gli raccontò della crisi vissuta dalla sua famiglia a causa della scoperta di Dastan, di quanto la madre di Dylan avesse sofferto e come le acque si fossero calmate pian piano. Doveva credere a tutto ciò che gli veniva detto? E se fossero state tutte fandonie? Magari quello era lì solo per ucciderlo su commissione. Non poteva saperlo. Da qualche parte aveva sentito che esistono persone che si assomigliano veramente tanto senza essere necessariamente parenti. Sospirà rumorosamente, poi il suo sguardo tornò su Dylan quando quello fece spallucce, dicendogli che non era andato lì per lui, ma per altre cose, ed il fato li aveva voluti far incontrare. Gli occhi di Dastan rimasero incollati sul volto del fratello, le mani giunte e la schiena incurvata. O stava dicendo la verità, o quello doveva essere un complotto finemente architettato. Possibile che lo volessero uccidere al punto da assumere persone così intelligenti? Senza staccare mai lo sguardo da Dylan, Dastan indurì un poco lo sguardo non appena pensò alle possibilità infinite che si celavano dietro quella visita inaspettata.
    « Se non sei venuto per me, come mai sei qui? Qualcuno ti ha pagato? » chiese. L'incubo che fosse un mercenario venuto a sterminarli tutti non lo abbandonava. Erano in guerra, tutto era possibile. E poi, erano stati proprio loro due a scatenare i primi conflitti tra Indipendenza ed Onore, dando quindi inizio alla guerra vera e propria. Zaira non fiatava, e Dastan fu costretto a lanciarle uno sguardo per testare se stesse bene. La rossa fissava Dylan con un sopracciglio inarcato, ma ancora una volta il Vigilante faticava ad intercettare i suoi sentimenti. Erano stati vicini per così tanto tempo, eppure sembravano due sconosciuti. O, almeno, lei gli sembrava estranea. Com'era possibile che non sapesse dedurre il suo stato d'animo? Certo, si vedeva che era preoccuata, ma non riusciva a capire il resto. Si passò una mano sulla barba, tornando a suo fratello, che evidentemente stava pensando a come porre la frase. Dastan non era un tipo facile da trattare: se veniva innescata la miccia, la bomba scoppiava.
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    L'espressione di Dastan cambiò velocemente, restando corrucciata ma assumendo una sfumatura cupa. Bisbigliò un insulto poco fine rivolto a sua madre, come se avesse capito in quale occasione suo fratello aveva avuto il piacere di conoscerla. Lo osservò a lungo, cercando di scorgere un mutamento nella sua espressione, un miglioramento d'animo ma non accadde nulla. Dastan si sedette sul letto inarcando la schiena fino a congiungere le mani. Il suo comportamento era comprensibile. Con i tempi che correvano fidarsi degli sconosciuti era un azzardo. Chi poteva garantire per lui? Sospirò, appoggiandosi infine al muro. - Mio nonno... Purtroppo essere dei liberi professionisti un po' irruenti ogni tanto comporta dei piccoli obblighi... Mi ha chiesto di dare un'occhiata lungo la Sword's Hilt per tastare il terreno. Potrà sembrarvi strano, ma non tutti sono entusiasti di quel che sta accadendo, anche nelle alte sfere...- Fece una pausa, alzando brevemente lo sguardo oltre il volto di Dastan, rivolgendosi ad un punto indefinito sulla parete. Nur restò in silenzio per tutto il tempo, con il fiato sospeso come i tre presenti nella sala. Avvertiva un'irrequietudine persistente nel suo cavaliere ma non osò proferire parola a riguardo, limitandosi a soffiare una nuvola di fumo scuro. Dylan riprese poi a parlare. - Pagarmi? Oh no. In queste losche faccende non voglio entrarci, specialmente con i tempi che corrono. Ho dei principi solidi e farà ridere forse, ma non saranno certo quattro monete a farmi massacrare intere famiglie per... Cosa?! - Concluse agitando un braccio nell'aria, come a voler sottolineare lo stizzo che pensare a tali argomenti gli provocava. Lui era onesto, nonostante avesse la spada macchiata di sangue, conservava una morale decisamente rigida. Un po' come il codice d'onore che possedevano i cavalieri nell'antichità, prima dell'Apocalisse. Dylan era sempre stato affascinato da quella cultura così insolita ma fin troppo simile alla sua. Certo, a quei tempi non vi erano draghi o maghi, ma chi poteva affermarlo con certezza? Si perse nei suoi pensieri senza farci caso, osservando prima il pavimento poi la porta. Come poteva biasimarlo? Nessuno avrebbe potuto giurare per lui. Era al pari di qualsiasi forestiero e vista la preoccupazione che Dastan e la rossa trasmettevano non gli sembrò posibile tanta agitazione per un cavaliere di passaggio. Che vi fosse dell'altro sotto? I moventi scatenanti lui non li conosceva, aveva accuratamente evitato di informarsi, come a volersi togliere dai giochi in anticipo. Era un guerriero mercenario sì, ma non un macellaio e quel tratto di lui Dastan avrebbe fatto meglio a scoprirlo in fretta.
    Dylan Hasvik @
     
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17 replies since 20/5/2014, 15:28   247 views
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