You can't always do what you like

17 Gennaio 103 PA, primo pomeriggio

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    Da quando aveva scoperto di avere un fratello, Dastan si era limitato a vivere la solita vita. Non l'aveva detto a nessuno, men che meno aveva dato a vedere come ci pensasse praticamente sempre. Continuava a ripetersi che non poteva essere vero, che si trattava di uno sbaglio e che sua madre non era veramente la donnaccia che tutti gli avevano descritto. Dopo ventisei anni, Dastan aveva scoperto di avere qualcuno su cui avrebbe potuto contare, o almeno così sarebbe dovuto essere. Non era così semplice affidarsi completamente ad una persona che, chiaramente, non conosceva. Seppur avesse sentito un certo legame con il fratello dal primo momento in cui si erano guardati negli occhi, Dastan si conosceva e sapeva che non si sarebbe rammollito tanto facilmente. Dopo la sfuriata di Zaira riguardo il suo non averle mai detto nulla del suo passato, il Vigilante si era sdraiato sul letto senza mai riuscire a dormire. Aveva fissato il soffitto per due notti di seguito, e le conseguenze dell'insonnia cominciavano a dare i loro risultati: si era trascinato per la Base durante tutto il giorno come un'anima in pena, ritrovandosi a fissare il vuoto. In molti gli avevano chiesto cosa fosse successo, ma Dastan aveva sempre fatto in modo di evitare di dirglielo. Quel giorno, dunque, era fuori per una ronda. Si era detto che una passeggiata magari lo avrebbe stancato e si sarebbe finalmente addormentato. Erano due giorni che non vedeva Zaira, men che meno sapeva come stesse. Se ce l'aveva ancora con lui, sicuramente, non si sarebbe fatta viva tanto presto. Camminava lentamente per il bosco, cercando di osservare in modo attento ogni albero, ogni pianta ed ogni ruscello. Neanche Lloyd si era fatto più sentire, e se avesse notato anche la minima traccia di uno dei suoi uomini lì in giro, sicuramente Dastan sarebbe partito alla carica. Quello che udì, invece, furono delle risa. Una voce femminile tra le altre due, chiaramente maschili. Magari erano semplici passanti, contadini o qualcosa del genere. Si nascose dietro ad un tronco, cercando di carpire qualche informazione o anche solo riuscirli a vedere. Da lontano non riusciva a capire molto, ma gli sembravano tutte e tre voci familiari. Quella femminile poteva essere solo che di Zaira: l'avrebbe riconosciuta tra mille, e ciò forse un po' lo spaventava. Si scostò appena dal tronco, scorgendo due figure più alte della rossa: alla sua sinistra c'era Dylan, suo fratello, mentre alla sua destra un uomo poco più basso, corpulento e con la barba. Aggrottò le sopracciglia, cercando di capire chi diavolo fosse e perché lei stesse assieme a Dylan. Si conoscevano, forse? Non gli era sembrato, due giorni prima. Anzi, lei l'aveva persino scambiato con Dastan. Uscì dal suo nascondiglio, andandogli incontro: adesso avrebbe dovuto dirgliene quattro. Non era possibile che avesse trascinato Dylan ed uno sconosciuto lì con sé, non sapeva che Indipendenza era una Fazione pericolosa? Procedette a passo di carica, fissandola in volto. Non l'aveva mai vista sorridere con così tanta dolcezza, e si chiese come mai lo stesse facendo. Non aveva nulla da spartire con Dylan, perciò riguardava quell'uomo lì. Solo avvicinandosi Dastan si rese conto di chi poteva essere. Fu soprattutto la somiglianza innegabile a spaventarlo, perché lui era praticamente la versione giovane di quello. Suo padre camminava con tranquillità al fianco di Zaira, e quando la rossa si voltò a guardarlo allarmata, anche lui lo fece. Nel suo sguardo lesse così tanta tristezza che il cuore di Dastan si chiuse a riccio. Non poteva far entrare più alcuna emozione. Basta torti, basta cattiverie, basta tutto. Trattenne il fiato per un momento, stringendo i pugni, senza degnare neanche di uno sguardo suo fratello. Ora era veramente arrabbiato con Zaira. Non avrebbe dovuto farlo. Le aveva detto più volte che si sarebbe dovuta fare i cavoli suoi, che non la riguardava, e adesso gli aveva portato suo padre. L'uomo sembrava sull'orlo del pianto, perciò Dastan rivolse uno sguardo fiammeggiante alla rossa. Probabilmente non l'aveva mai guardata in quel modo. Gli disse anche qualcosa, ma il Vigilante avvertiva tutto ovattato, e la testa continuava a girargli pericolosamente. Strinse i denti, sbuffando aria dal naso, poi girò i tacchi e cominciò ad andare via. Non poteva più sopportare tutto quello: il suo continuo immischiarsi, i problemi che continuavano a cadergli addosso come macigni, ed infine anche la guerra. Sarebbe tornato alla Base a bere, e magari si sarebbe anche ubriacato, quello non lo sapeva. Dal naso continuavano a comparire nuvolette bianche a causa del freddo, e la giacca di pelle nera nulla poteva contro di esso. Ma Dastan sembrava non sentirlo nemmeno, infuriato com'era. L'espressione irata non era scemata, ed il viso gli era persino diventato rosso per quanto si stava sforzando di trattenersi. Non avrebbe potuto picchiare Zaira di nuovo, quindi doveva limitarsi a finirla lì. Non si sarebbero più visti. Gli stivali schiacciavano gli steli d'erba ghiacciati producendo un rumore ritmico e quasi assordante, se si escludeva il suo respiro forte ed arrabbiato. Avrebbe dovuto lasciare Zaira.
    Dastan Dauthdaert @


    Edited by varden - 28/7/2014, 16:27
     
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    In un primo momento l'idea di fare di testa sua le era parsa quanto mai rischiosa e azzardata, perché conosceva Dastan ed era più che sicura che si sarebbe arrabbiato; però poi aveva smesso di pensare ai pro e, soprattutto, i contro delle sue malsane idee e, tanto per cambiare, Zaira aveva deciso di fare di testa sua, anche perché era certa che Dastan non avrebbe mai fatto la prima mossa. Il piano era semplice: avrebbe dovuto far incontrare il suo uomo con il padre biologico, e per farlo avrebbe avuto bisogno della complicità di Dylan. Riuscire a convincere quest'ultimo non le era mai sembrata una grande impresa, forse perché contava molto sulla sue doti persuasive o perché aveva avuto fin da subito l'impressione che con qualche sorrisetto ben piazzato e con le giuste motivazioni, il ragazzo sarebbe stato felice di darle una mano. Ed in effetti Zaira non era andata molto lontana dalla verità: trovare Dylan era stata la cosa più difficile di tutte, ma una volta di fronte a lui, Zaira gli aveva spiegato quanto ritenesse importante che Dastan conoscesse suo padre e quanto, allo stesso tempo, sarebbe stato difficile che l'Orso del Nord muovesse per primo al fine di incontrarlo, quindi c'era assolutamente bisogno di una sorta di mediazione fra i due. La prima risposta di Dylan fu negativa, dal momento che il fratello l'aveva pregato di non dire nulla, ma Zaira non era una tipa capace di arrendersi al primo "no" che le veniva rifilato, motivo per cui aveva cominciato ad insistere, mettendo su una lunga lista di motivazioni che alla fine avevano convito Dylan a diventare suo complice, nonostante continuasse a credere che non fosse la cosa giusta da fare -esattamente la stessa cosa che, in fondo in fondo, lei sentiva ed ignorava. Convincere il padre, Christopher, fu invece tutt'altra storia: l'uomo non sembrava credere né al figlio né tanto meno a lei, nel momento in cui i due gli si erano presentati davanti e gli avevano spiattellato in faccia la verità senza troppi problemi, senza neanche provare ad addolcire la pillola tanto a lui quanto al resto della famiglia. Christopher aveva imprecato non poco, aveva tentato di cacciarli via, e se non fosse stato per la presenza di Dylan e per la sua insistenza, sicuramente Zaira avrebbe lasciato stare dopo un po', perché le era sembrato davvero difficile riuscire a convincere l'uomo ad incontrare un figlio che a stento credeva di avere. Da sola, di sicuro, non sarebbe riuscita a concludere nulla, ma, grazie a Dylan, alla fine, il padre di Dastan aveva ceduto ed i tre si erano accordati per vedersi l'indomani ad Indipendenza.
    Zaira non ci aveva dormito la notte all'idea di come Dastan avrebbe potuto reagire, il suo sesto senso le dava suggerimenti che non la tranquillizzavano neanche un po', ma ormai "il danno" era stato fatto, avrebbe solo dovuto sperare per il meglio. Aveva incontrato Dylan e suo padre in una radura vicino alla Base di Indipendenza, i due erano arrivati in sella ai loro draghi, due bestioni di proporzioni allucinanti come Zaira non aveva mai avuto modo di vedere; c'era stato molto imbarazzo inizialmente, ma poi Christopher aveva cominciato a farle domande riguardo suo figlio, arrivando anche a chiederle come si erano conosciuti e da quanto stavano insieme, e Zaira non si era tirata mai indietro ed aveva risposto a qualsiasi cosa l'uomo le avesse chiesto, ed in qualche modo così facendo avevano rotto il ghiaccio ed avevano percorso l'intero tratto di sentiero che li conduceva alla Base ridendo e scherzando. Durante le pause tra una domanda e l'altra, Zaira rifletteva su come avrebbe potuto presentare Christopher a suo figlio: Dastan chiaramente non sapeva nulla di tutto quel piano e Zaira era sempre più convinta che avrebbe dovuto provare a dirgli cosa stava succedendo, quanto meno per prepararlo il minimo indispensabile. Non si era minimamente immaginata che Dastan potesse essere di ronda a quell'ora, anzi. E invece i tre se lo ritrovarono improvvisamente davanti, ed il cuore di Zaira mancò un colpo nel momento in cui il suo sguardo incrociò quello di Dastan, che era terribilmente infuriato. La rossa percepì a stento Christopher che tentò di dire qualcosa e di fermare il figlio che gli aveva già voltato le spalle e si era incamminato nuovamente verso la Base. -L'avevo detto io che non era ancora il momento.- borbottò Dylan, e la von Row tornò improvvisamente alla realtà. Si voltò verso il ragazzo, fulminandolo, poi guardò il padre dei due. -Con Dastan non è mai facile trovare il momento.- borbottò di rimandò, poi biascicò qualche parola di scusa e corse in direzione della Base.
    Dastan chiaramente aveva già raggiunto la Base da un pezzo e Zaira lo trovò intento a bere. Sapeva, suo malgrado, di essere in torto, di aver affrettato troppo i tempi e di essersi intromessa in affari che non la riguardavano in alcun modo, ma l'aveva anche fatto in buona fede. Si richiuse la porta alle spalle ma non avanzò di molto; fece per dire qualcosa -e conoscendosi, probabilmente, avrebbe tentato di giustificarsi in qualche modo- ma poi chiuse la bocca e rimase in silenzio, aspettando qualcosa, qualsiasi cosa da parte di Dastan. Aveva combinato un disastro.
    Zaira von Row @


    Edited by Ðracarys¸ - 29/7/2014, 21:20
     
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    Quando era troppo era troppo. Non poteva più muoversi, esporre un'idea o anche solo dire la propria che Zaira gli metteva i bastoni tra le ruote. Non sapeva nemmeno se l'amava o no. Nascose il volto tra le mani, lasciando che il liquore giallognolo rimanesse fermo davanti a lui. Come aveva potuto cacciarsi in un casino del genere? Prima di conoscere lei si era ficcato in molti più guai, vero, ma non era mai nulla di grave. Faceva a botte con qualcuno, veniva insultato, a volte aveva rischiato di essere cacciato dai Vigilanti. Da quando Zaira era nella sua vita, invece, aveva rischiato di diventare padre e qualcuno aveva tentato di accopparlo svariate volte, lei compresa. Dastan non era mai stato tanto incompreso in vita sua: la rossa gli sembrava completamente insensibile a quelle che erano le sue opinioni e le sue idee, mettendolo spesso nei casini. Sentiva la rabbia salirgli fino al cervello, le vene che gli pulsavano ed i denti digrignati, come a volersi trattenere il più possibile. L'istinto era quello di spaccare tutto. Trovare un motivo per non farlo fu molto, molto difficile, e Dastan sentiva ancora che non era abbastanza valido. Avrebbe potuto scattare da un momento all'altro, come un bomba innescata. Avvertì la porta principale spalancarsi, poi dei passi ed infine qualcuno entrò nella sala, chiudendosi dentro. Il Vigilante rimase lì dov'era, con le mani sul viso in modo da coprirlo ed il bicchiere di liquore davanti a lui. Ne aveva già buttato giù un po', ma si era detto che ubriacarsi non sarebbe servito a nulla, seppur la tentazione di far sparire tutto dalla sua testa fosse invitante. Avvertiva chiaramente il cuore martellargli il petto per il nervoso e la testa che batteva, ormai in preda ad un male cane. Sapeva che Zaira era lì, dietro di lui. Se lo sentiva. Ormai era una sensazione che aveva imparato a provare, e molto difficilmente l'avrebbe dimenticata. Non sapeva se l'amava, no. Non ne aveva proprio idea. In fondo, Dastan non sapeva neanche che cosa volesse dire amare. Forse lui le aveva detto di provare qualcosa semplicemente perché non sapeva come ci si sentiva normalmente. Magari era semplice infatuazione, la sua. Era possibile? Nonostante fosse entrata da qualche minuto, la rossa non aveva detto nulla. Che avesse capito di avere torto? Lentamente, come se fosse stato ferito in battaglia da un proiettile, Dastan spostò le mani dal volto, lasciandole ricadere davanti a sé, sul tavolino. Quelle si chiusero istintivamente attorno al bicchiere, senza però sollevarlo in alcun modo. Gli occhi azzurri del Vigilante scrutavano il liquido giallo alla ricerca di chissà quali risposte mistiche, che ovviamente non trovò. Non sapeva cosa dire a Zaira, anche perché quasi sicuramente sarebbe scoppiato d'ira. Se stava in silenzio, invece, riusciva ancora a trattenersi. Gli venne quasi da piangere al pensiero che la rossa lo avesse veramente tradito in quel modo. Significava che le sue parole non significavano praticamente nulla per lei. Dopo continui voltafaccia durante la sua vita, anche la sua donna l'aveva fatto. D'altra parte, gli era sembrato troppo bello per essere vero fin dall'inizio. C'era qualcosa che non andava: Dastan non poteva essere felice, tutto lì. In qualche modo, il destino si riprendeva sempre ciò che gli aveva dato. I secondi passavano inesorabili, senza che nessuno dei due proferisse parola. L'una sapeva di essere in torto, seppur sicuramente avrebbe sostenuto la sua causa, mentre l'altro era intento a controllare la sua rabbia per non esplodere. Dastan si portò una mano al volto, cercando di pensare a cosa avrebbe potuto fare. Un'idea ce l'aveva, ma non sapeva se fosse buona. Sicuramente sarebbe stato difficile, ma magari ce l'avrebbe fatta. Rifarsi una vita da zero, trasferirsi, cambiare aria. E, magari, comportarsi anche meglio. Quella poteva essere la parte che gli avrebbe dato più problemi. Si alzò in piedi all'improvviso, togliendosi la giacca di pelle e gettandola sul divano, rimanendo quindi solo con il maglione bianco a maniche lunghe. Non aveva intenzione di dire nulla a Zaira, perché si conosceva e sapeva che l'avrebbe immediatamente attaccata. La superò, quindi, aprendo la porta e dirigendosi in camera sua. Doveva innanzitutto cercare una valigia, se ce l'aveva. Pensò velocemente, tirando fuori da sotto al letto una sacca di iuta. Con totale indifferenza per la rossa, cominciò a metterci dentro tutto ciò che aveva, cioè veramente poco: braghe, calze, pantaloni e maglie tutti ammucchiati senza il benché minimo criterio. Sicuaramente Zaira gli avrebbe fatto delle domande, ed a quel punto avrebbe avuto risposta. Forse.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Zaira sapeva bene di non essere una santa, eppure il senso di colpa era sempre stato qualcosa che non le era mai appartenuto: non si era sentita in colpa quando nel periodo della pre adolescenza aveva cominciato a dare pensiero ai suoi genitori, né tanto meno si era sentita in colpa quando aveva abbandonato casa definitivamente per entrare a far parte dei Vigilanti. L'unica volta in cui aveva provato qualcosa di simile al senso di colpa era stato quando aveva lasciato Dastan nel bosco, dopo averlo pesantemente malmenato.
    Ma mai, mai si era sentita in colpa come in quell'occasione.
    Zaira sapeva di aver fatto un danno di proporzioni indescrivibili ed inimmaginabili, e non che ci volesse un genio a capirlo; la cosa peggiore, però, era dovuta allo sguardo carico di rabbia ma anche -e soprattutto- di delusione che Dastan le aveva rivolto non appena aveva realizzato che cosa stava succedendo, ed il silenzio glaciale con il quale la "accolse" fece capire alla rossa che la situazione era più grave che mai. Dastan non era un tipo loquace, perciò una persona qualunque non si sarebbe stupita del suo silenzio, ma Zaira, che tutto era fuorché una persona a caso, sapeva quanta ostilità e rabbia repressa si nascondessero dietro quel semplice silenzio.
    Una volta nella stanza, la von Row non proferì parola e si limitò a pensare a cosa dire -perché doveva dire qualcosa. Pensò per un attimo di scaricare la colpa su Dylan e di dire che il piano lo aveva architettato lui, ma non era affatto sicura che Dastan le avrebbe creduto, e se anche l'avesse fatto lei sarebbe poi stata costretta a dire a Dylan cosa aveva fatto, altrimenti se l'Orso del Nord avesse scoperto la verità si sarebbe arrabbiato più che mai. No, mentire non le sarebbe servito assolutamente a nulla, sarebbe stato preferibile dire le cose come stavano e cercare di fargli capire che non aveva mai avuto cattive intenzioni. Zaira cercò allora di raccogliere tutto il suo coraggio per cominciare a parlare, ma prima che vi riuscisse, Dastan si alzò dalla sedia, gettando sul divano la giacca di pelle che indossava, ed uscendo subito dopo dalla sala, senza degnarla neanche di uno sguardo. Zaira lo fissò mentre si allontanava, poi l'occhio le cadde sul bicchiere vuoto e la bottiglia di liquore praticamente quasi del tutto svuotata, ed alzò gli occhi al cielo: ci mancava solo che si fosse ubriacato in pochi minuti. -Dannazione Dastan, aspetta!- urlò a quel punto, gettandosi nel corridoio anche lei e seguendolo fino in camera sua.
    Quando lo raggiunse, Zaira credette di avere le allucinazioni perché vide Dastan raggruppare i suoi pochi averi di fianco ad una sacca, come se avesse tutta l'intenzione di fare i bagagli ed andarsene. -Ma che stai facendo?- domandò quindi lei, incapace di trattenere una risata palesemente nervosa. Sfarfallò gli occhi per un paio di secondi, poi si decise ad avvicinarsi all'uomo. -Non pensi sia un tantino esagerato fare le valige?- domandò ancora con ironia apparente, ignara del fatto che c'era veramente poco da scherzare. Vedendo che l'uomo non si fermava, la von Row gli afferrò un braccio, borbottando qualche parola per farlo fermare un attimo ed ottenere la sua attenzione, ma incontrò uno sguardo di fuoco come Dastan non le aveva mai lanciato, così rabbioso che Zaira si costrinse a lasciarlo e ad indietreggiare, scuotendo la testa e cercando di tornare in sé. Si sentì improvvisamente scombussolata in una maniera strana, mai sperimentata prima di allora, ed ebbe come la sensazione di avere un pesante macigno sullo stomaco, come a farle capire che quella storia sarebbe andata a finire estremamente male.
    Zaira von Row @


    Edited by Ðracarys¸ - 30/7/2014, 09:42
     
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    Forse stava esagerando. Magari avrebbe dovuto provare a parlare con Zaira, giungere ad una conclusione in fretta e furia e poi lasciarla perdere. No. Non riusciva neanche a guardarla in faccia senza rivolgerle la sua espressione più arrabbiata, figurarsi lasciarla andare. Non ci sarebbe riuscito. Forse era anche giusto che Dastan si prendesse un periodo di pausa: in fondo lo facevano più o meno tutte le coppie. Ma loro lo erano davvero? Potevano considerarsi una coppia? Non lo sapeva. Mentre ficcava a forza gli abiti nella sacca, poi, gli venne istintivo darle le spalle. Avvertiva la sua presenza, l'aveva persino sentita entrare, eppure non poteva importargliene di meno. Averla lì non era più un bene: sentiva come un rifiuto nei confronti della rossa, quasi un allarme del suo cervello che gli diceva di starle alla larga. La udì ridere nervosamente quando fece caso alla sacca, e poi chiedergli se non fosse troppo fare addirittura le valige. La verità era che Dastan voleva andarsene da quel posto grigio ed orribile, cercare di vivere un po' meglio, trovare la sua strada. La Base dei Vigilanti non aveva nulla da offrirgli: né amicizia, né amore, né carriera, né punti di riferimento. Che cosa ci faceva ancora laggiù, in mezzo a quei dementi? Erano mesi che Dastan voleva trasferirsi: andare a vivere nelle Terre Libere, perdersi tra le sue sconfinate colline e godersi il mare azzurrino. Non gli sembrava un desiderio così assurdo, eppure lei, tempo prima, gli aveva detto che era un vigliacco perché voleva andare via. Perché c'era la guerra e bisognava combatterla, mettersi in gioco, proteggere la Fazione. Ma allora che cosa esisteva a fare l'Esercito? Perché suo padre adottivo se ne stava tutto il giorno con il culo sulla sedia e prendeva milioni mentre lui, ingrato e mille volte più pratico, non ricavava neanche un soldo bucato? Se l'era chiesto spesso. Forse Benjamin l'avrebbe potuto aiutare a trovare una piccola abitazione all'Isola Verde, e magari avrebbe potuto anche pagargliela. Sì, perché Dastan non aveva neanche un piccolo gruzzolo da parte, niente di niente. Notando la sua totale assenza di interesse, Zaira gli afferrò il braccio e lo trascinò verso di sé, ma non appena intercettò il suo sguardo lo lasciò andare. Gli occhi naturalmente azzurri di Dastan in quel momento fiammeggiavano, e se avessero potuto parlare avrebbero decisamente urlato rabbia. La fissò in volto con l'espressione più eloquente che riuscì a trovare, poi mollò la sacca e si voltò definitivamente verso di lei. Era impaurita, poteva vederlo dai suoi occhi imploranti. Zaira non era una che solitamente si faceva mettere i piedi in testa, lui lo sapeva bene, ma quella volta gli sembrò che volesse sotterrarsi pur di non essere lì in quel momento. Si guardarono per una buona porzione di tempo, troppo feriti anche solo per sussurrare qualcosa. Alla fine, Dastan decise che era arrivato il momento di dirle tutto, di spiegarle come stavano le cose. Se lo meritava.
    « Mia madre mi ha concepito con un uomo che non era suo marito. Quello che mi hai portato poco fa è la ragione di tutti i miei disastri, insieme alla donna che mi ha messo al mondo. Sono stato cresciuto da balie che mi hanno inculcato in testa le buone maniere senza mai riuscire a farmele usare. Un selvaggio, chiaramente misto ad un plebeo: ecco cos'ero per loro. Mio padre adottivo mi ha strappato via da mia madre per cercare di indirizzarmi verso la retta via, ma ho fallito anche lì. Non so sottostare agli ordini degli altri. A quel punto ho chiesto a mia madre di ospitarmi, perché l'Esercito non faceva per me, ma no, era troppo occupata con il lavoro. Avevo solo diciotto anni. Dopo essersi resa conto del suo sbaglio, ha pagato un ragazzo per farlo diventare mio amico e corrompermi. Quando l'ho scoperto, l'ho ammazzato di botte e sono stato disconosciuto sia dall'Esercito che dai miei genitori. Quando ho incontrato te alla festa, mio padre si era appena fatto avanti. » concluse quindi. Aveva parlato tutto d'un fiato, senza mai fermarsi né riflettere un attimo. Aveva rivelato dal primo all'ultimo fallimento della sua vita, senza omettere nulla. Lo sguardo di fuoco era rimasto impresso sul suo viso come una maschera di pelle. Fece qualche passo verso Zaira, assottigliando lo sguardo, fino a quando non le fu talmente vicino da avvertire il suo odore tanto famigliare ormai. I suoi occhi, da fiammeggianti quali erano, pian piano si trasformarono in quelli di sempre, come se qualcosa dentro di sé si fosse spento. La delusione lo aveva praticamente annullato.
    « Non posso odiarti, Zaira. » le disse, fissandola. Non poteva per davvero. Per quanto ce l'avesse con lei, per quanto fosse arrabbiato tanto da spaccare tutto, Dastan sapeva che non l'avrebbe mai odiata. Quella era la donna che aveva considerato come futura madre dei suoi figli, la sua compagna per la vita, la sua anima gemella. Forse aveva torto. « Ma posso lasciarti. » disse. La frase fu un sibilo appena udibile, come se gli fosse costato un sacco anche solo pronunciarla nella sua mente. Avrebbe dovuto terminarla lì, chiudere i conti. Lasciarle vivere la vita.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Ecco, finalmente c'erano riusciti: lei era riuscita a portarlo all'esasperazione ed a fargli vuotare il sacco, e lui si era finalmente aperto riguardo il suo passato -se pur in circostanze che Zaira avrebbe sinceramente preferito evitare. La ragazza ascoltò Dastan raccontarle la vera storia della sua vita, o quanto meno i punti cardine, le tappe più importanti che in lui avevano lasciato un segno. Zaira già sapeva che il suo uomo non aveva avuto una vita facile, una volta era quasi riuscita a farlo parlare e comunque era risaputo che l'Orso del Nord fosse diventato tale per via di un passato turbolento, tuttavia sentirselo raccontare per filo e per segno le fece uno strano effetto, lasciandola senza fiato per una manciata di secondi. Dastan accusò sua madre di essere, in poche parole, una maledetta puttana ed una madre snaturata, che l'aveva messo al mondo con uno sconosciuto definito "la causa dei suoi guai" e nel momento in cui suo figlio aveva avuto maggiormente bisogno di lei, la donna gli aveva chiuso le porte in faccia. Zaira aveva sempre creduto che, tra tutti, il padre di Dastan fosse il vero cattivo della situazione, quello che, una volta scoperta la verità, lo aveva trattato come l'ultimo pezzente di tutta la Sword's Hilt. E, invece, da quello che l'Orso del Nord lasciava intendere, Benjamin era in realtà il buono -anche se sembrava così difficile parlare di bontà in quel caso- ed aveva provato a riavvicinarsi al figlio esattamente nel momento in cui tra lei e Dastan era scattato quel qualcosa di così folle, indefinito ed inaspettato che li aveva condotti a quel punto quel giorno.
    La rossa non interruppe mai l'uomo, che parlava senza mai fermarsi neanche per riprendere fiato, ed anche quando Dastan ebbe finito il suo racconto, Zaira si ritrovò senza nulla da dire. Non aveva la ben che minima intenzione di compatirlo, né tanto meno le sembrava molto utile dire che le dispiaceva, semplicemente perché era ovvio che le dispiacesse; aveva gioito abbastanza per le sofferenze di Dastan, quando si erano incontrati all'inizio e si erano quasi ammazzati, ma ormai quei tempi erano superati da parecchio e lei desiderava solo il meglio per lui. Ecco perché aveva voluto che incontrasse suo padre. Zaira fissò il suo uomo per qualche secondo, notando che nonostante lo sfogo dal suo sguardo traboccava ancora rabbia. -Non puoi definirlo la causa dei tuoi guai senza..- cominciò quindi a ribattere, perché di tutto quello che Dastan aveva detto, Zaira aveva captato principalmente la parte iniziale, perché era quella su cui lui avrebbe ancora potuto fare qualcosa, e lei sarebbe stata felice di aiutarlo. Poteva ancora instaurare un rapporto con quel padre che non aveva mai conosciuto e che non sapeva di avere anche lui come figlio, quell'uomo la cui unica colpa era stata quella di incontrare la madre di Dastan e non una donna meno meschina. Zaira stava per dirgli che non poteva giudicare suo padre senza averlo conosciuto e solo ed esclusivamente perché per lui era una novità piombatagli addosso in un momento magari non proprio facile, ma non ci riuscì perché l'altro la fermò. E la fermò nel peggiore dei modi. La furia negli occhi di Dastan si era affievolita, quasi svanita del tutto, e con essa sembrava essersi spento anche il suo sguardo, che quasi non trasmetteva più alcuna emozione. Dastan le disse che non la odiava, che non l'avrebbe mai potuta odiare neanche dopo quel colpo basso, probabilmente. La von Row si ritrovò, in maniera del tutto automatica, ad aggrottare le sopracciglia, senza riuscire a capire dove Dastan volesse andare a parare: prima non le parlava, poi faceva per fare i bagagli ed andarsene, quindi invece di farle una sfuriata epocale per quello che aveva fatto le raccontava la sua vita, e alla fine le diceva che non la odiava. C'era qualcosa che non andava, tutto quel discorso le sembrava strano, quasi preparatorio per un finale degno di nota. L'ansia cominciò a montarle dentro, ma cercò di non darlo a vedere; Dastan sembrava ancora non aver deciso il modo in cui concludere quel discorso, stava prendendo tempo mentre continuava a fissarla. Poi, all'improvviso, in un sussurrò finì di dire quello che doveva dire. Nel silenzio che regnava nella stanza del Capo di Indipendenza, Zaira poté quasi percepire il rumore del suo cuore che si incrinava. Lasciarla. Dastan voleva lasciarla. La rossa cominciò a scuotere la testa lentamente, mantenendo la fronte aggrottata e sentendo i battiti accelerare sempre di più, presa com'era da un'angoscia crescente. -Dastan, avanti.- cominciò a dire, la voce non troppo ferma -Non..- Cosa? Non poteva lasciarla? Bé, era un uomo libero, l'avrebbe anche potuto fare se avesse deciso che la vita di coppia non era fatta per lui, ma Zaira non riusciva comunque ad accettarlo, e soprattutto non avrebbe mai accettato di essere lasciata per una stronzata. -Non vuoi incontrare tuo padre?- cominciò a dire, improvvisamente carica di una strana rabbia -Va bene, che cazzo me ne frega a me se vuoi giocarti anche questa possibilità di avere una fottuta famiglia, la scelta è solo tua.- Si avvicinò quindi a lui, arrivandogli a pochi centimetri di distanza. -Vuoi anche sentirti dire che ho sbagliato e che mi dispiace? Mi sta bene anche quello, avresti tutte le ragioni del mondo, però..- la rabbia che le aveva permesso di parlare si smorzò e, di nuovo, Zaira si ritrovò ad avere la voce rotta. Cercò di ricomporsi, anche se aveva poche speranze di riuscirvi. -Ma non puoi lasciarmi, non per una cosa come questa.- concluse, con tono implorante. Lo stava implorando, per l'ennesima volta, solo che adesso aveva davvero paura che non l'avrebbe avuta vinta lei.
    Zaira von Row @
     
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    Come previsto, la donna non la prese bene. Lo sguardo che gli rivolse non appena lui gli disse tutto fu forse il suo momento più espressivo di sempre. Non l'aveva mai vista con quell'agitazione negli occhi, e sapeva che stava ferendo anche la rossa. Lo poteva quasi sentire su di sé, come se qualcuno gli stesse tagliando le braccia fino a farlo morire dissanguato. Neanche per lui era facile. Dirle quella frase era stato quanto di più difficile Dastan avesse mai fatto, a parte lottare per vivere durante il mese in cui era stato in coma. O anche quando aveva ammazzato di botte Jason. Era stato arduo riempirlo di pugni, eppure così naturale. In quel momento, sapeva di stare facendo la cosa giusta. Avrebbero avuto del tempo per ricomporsi, per tornare alle loro vecchie vite e fare finta di nulla, anche se ovviamente lui non ne sarebbe mai venuto fuori. Non era un tipo che dimenticava facilmente torti o gentilezze, e per quello Zaira sarebbe rimasta nella sua testa per troppo tempo. Forse per sempre. Ma la sua situazione non contava. Non era più una questione di relazioni, ma di sopravvivenza. Non sapeva chi potevano essere questi suoi nuovi familiari, e magari se l'avessero voluto ammazzare lo avrebbero fatto lontano dalla Base. Sarebbe potuto morire ovunque, ma non lì, non davanti a lei. L'orgoglio glielo imponeva. E comunque, le Terre Libere gli avrebbero fatto solo che bene. Nessuno lo conosceva, lì, ed era sicuro che a tutti quegli Addestratori sarebbe andato a genio un falegname o anche solo un taglialegna nei paraggi. Forse non era la migliore delle ambizioni, ma tutto ciò che cercava era semplicemente un po' di tranquillità. Con Zaira, a quanto pareva, non poteva averla, perché lo giudicava e gli aveva detto che non l'avrebbe mai seguito. La guardò negli occhi senza mostrare nessuna emozione eccetto la delusione che ormai lo riempiva tutto. Balbettando, la rossa gli disse che non gli importava se non voleva incontrare la sua famiglia e perdere di nuovo un'occasione importante, e gli chiese se volesse sentirsi domandare scusa da lei. Dastan scosse leggeramente la testa, evidentemente in disaccordo. Si spostò, tornando alla sua sacca e continuando a metterci la roba dentro. All'improvviso, poi, la ragazza gli afferrò il braccio e lo strattonò appena, avvicinandolo a sé ed implorandolo di non lasciarla. Si meravigliò di lei: sempre forte, testarda, indifferente. Ed ora quello sguardo. Quegli occhi azzurri, grandi e pieni di lacrime. La voce rotta, la mano stretta attorno al suo braccio come una morsa. La fissò negli occhi, tacendo per qualche momento. Non voleva lasciarla, perché comunque sapeva di volerle bene, ma il problema era un altro. Non poteva stare con lei, se voleva vivere bene e senza pensieri. Quella donna non faceva altro che crearsi drammi senza capo né coda, e spesso trascinava anche lui in certe fandonie. Non ce la faceva più. Non voleva pensare alle cose brutte della vita, né a tutto ciò che aveva passato. L'ultima cosa che voleva fare era rivangare il passato.
    « Se credi che io me ne stia andando per questo, sei fuori strada, rossa. » le disse, con il suo solito tono di voce. Era preoccupante quando Dastan faceva così, perché era tornato quello di sempre, come se non l'avesse mai conosciuta. Il Vigilante era in grado di ritirare in piedi mura sentimentali grandi come la sua stessa stazza senza il minimo sforzo. Gettava tutti fuori dal suo cuore e non permetteva a nessun altro di entrarci per lungo tempo.
    « Magari passare un po' di tempo da sola con quella tua testa matta ti aiuterà. » le disse. Era di nuovo il vecchio Dastan, quello che tutti odiavano e che Zaira, a malincuore, aveva imparato a capire ed amare. Finì di riempire la sacca, poi la chiuse con uno spago e lo sigillò ben bene. Quando si voltò verso la Vigilante, aveva le sopracciglia aggrottate ed i denti serrati, la stessa identica espressione che le aveva rivolto quando l'aveva vista per bene la prima volta nella cella di Giustizia. Ricordava ancora quanto l'avesse trovata disgustosa, all'epoca. E dire che ci era finito a letto poco dopo.
    « Ne ho piene le palle di questi drammi. » concluse quindi, caricandosi la sacca sulla spalla con un unico movimento fluido. Fece una piccola pausa, durante la quale guardò quella che era stata la sua donna fino a quel momento, poi le sue parole furono di nuovo un sibilo. « Se hai bisogno di me, sai bene dove trovarmi. » disse quindi.
    Aveva più volte raccontato a Zaira come avrebbe voluto vivere, e se lei aveva prestato attenzione l'avrebbe ritrovato nel momento del bisogno. Dastan ci sarebbe sempre stato per lei, in un modo o nell'altro. La osservò bene, arricciando la bocca, come per trattenersi dal darle un bacio d'addio. Sarebbe stato sicuramente troppo, e poi non ce l'avrebbe fatta ad andarsene. Si limitò a farle un cenno con il volto, poi la superò. Non avrebbe detto nulla neanche ad i suoi compagni.
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    Dopo tutto quel tempo, dopo tutto quello che avevano passato assieme, ecco che si ritrovavano da capo a dodici, con lui che le si rivolgeva con un tono di voce che non usava da tanto, troppo tempo. Dastan le aveva parlato in quel modo all'inizio della loro conoscenza, quando entrambi avevano avuto più di un buon motivo per sputarsi veleno addosso; all'epoca, chiaramente, quel tono di voce non aveva infastidito Zaira, o meglio si, le aveva dato ai nervi, ma l'aveva anche fatta divertire perché le era parso più di una volta che l'Orso del Nord fosse abbastanza convinto di intimorirla più che mai parlando con durezza e freddezza. In quel momento, invece, quel tono di voce le faceva male, la feriva quasi più delle parole di per sé, perché significava che Dastan stava reprimendo qualsiasi tipo di sentimento nei suoi confronti -ammesso e non concesso, a questo punto, che avesse davvero provato qualcosa per lei- e significava anche che la loro relazione era davvero giunta al termine. Zaira non riusciva a capacitarsene, le sembrava di trovarsi in un incubo dal quale non riusciva a svegliarsi in nessuno modo. Dastan la stava lasciando, e stando a quello che diceva il motivo non era legato solo ed esclusivamente agli eventi di quel giorno: glielo disse apertamente, non se ne stava andando via solo perché lei si era permessa di mettersi in mezzo a cose che non la riguardavano, era semplicemente stanco di tutti quei drammi -e Zaira, con il cervello completamente in pappa, non riuscì proprio a capire di quale drammi stesse parlando il suo uomo. Dastan le disse anche le avrebbe fatto bene stare un po' da sola, magari per farsi un esame di coscienza o chissà che altro. Zaira lo fissava senza realmente capirci nulla, non sapeva che dire né tanto meno cosa fare, di certo non avrebbe avuto il potere di fermarlo e non l'avrebbe mai trattenuto contro la sua volontà perché sarebbe stato inutile e controproducente. Sentiva la testa ed il cuore pronti ad esplodere da un momento all'altro, provava rabbia, dolore, frustrazione e chissà quale altro genere di sentimenti. Sentiva anche le lacrime pronte a gonfiarle gli occhi e rigarle il viso, ma non voleva piangere davanti a lui: troppe volte per quell'uomo aveva messo da parte l'orgoglio o mandato a puttane la sua dignità di donna forte ed indipendente, e solo perché era una persona testarda che si era ritrovata ad avere a che fare con qualcuno altrettanto testardo, con cui non era facile stare. Zaira lo amava e per lui era cambiata, aveva ceduto a compromessi che in altre occasioni, forse, non avrebbe accettato, ma altrettanto vero era che si amava e non si sarebbe annullata per lui.
    Fu forse quel pensiero che la spinse a raddrizzare le spalle e rivolgergli uno sguardo carico di rabbia. -Lo sai, forse farà bene anche a te un po' di solitudine, magari ti aiuterà a capire che al mondo non esistono solo persone che vivono per farti del male e buttarti merda addosso.- sbottò quindi, la voce adesso più ferma che mai. Zaira pronunciò quelle parole a denti stretti, e probabilmente era l'orgoglio ferito che la spronava a farsi forte e le dava la carica giusta per parlare a Dastan in quel modo, dopo che fino a qualche minuto prima l'aveva implorato di non lasciarla. Sapeva che non sarebbe durata molto in quello stato, perciò avrebbe dovuto battere il ferro finché fosse stato caldo. -Pensavo di essere riuscita a fartelo capire, ma evidentemente non ho fatto abbastanza.- riprese poi a dire, allargando le braccia ed indietreggiando -Ma forse perché per te nulla è abbastanza, anche il gesto più estremo sarebbe un'enorme stronzata.- Se la rabbia e la delusione avessero potuto avere un volto in quel momento, di sicuro sarebbero stati i loro, perché entrambi, per motivi diversi, stavano provando quei sentimenti mentre parlavano o anche solo mentre si guardavano.
    Poi Dastan si caricò la sacca sulla spalla e Zaira trattenne il fiato e deglutì saliva un paio di volte, cercando di mantenere ancora un certo contegno, anche se dentro stava morendo. Di nuovo sussurrando, Dastan le disse che avrebbe saputo dove trovarlo se avesse voluto o se avesse dovuto farlo per qualche motivo, poi la fissò per qualche secondo e Zaira, sostenendo il suo sguardo in silenzio, capì che si stava trattenendo dal baciarla o l'abbracciarla. -Puoi giurarci.- ribatté lei, con un tono così basso che sicuramente neanche lui l'aveva sentita. Poi, l'Orso del Nord le diede le spalle ed uscì dalla stanza. Zaira rimase sulla porta, ferma, ad osservarlo mentre si allontanava e poi a fissare il corridoio vuoto. Si alzò un coro di voci che ripetevano tutte le stesse parole: "capo" oppure "ma dove sta andando?". Nel corridoio apparve improvvisamente la figura di Roland, ma Zaira non lo vedeva neanche perché il suo sguardo era vuoto, perso, un po' come la sua testa. Il ragazzo la scosse un po', la sua voce era un eco lontano. Zaira non sapeva neanche cosa le stesse chiedendo, e mentre continuava a guardare fisso di fronte a sé le parole le uscirono in modo spontaneo. -La Base è tua adesso, sei tu il nuovo Capo.- biascicò, poi inarcò un sopracciglio e si girò appena verso di lui. Una lacrima solitaria le aveva rigato il viso e Roland, sagacemente, non le chiese altro e la lasciò andare. Zaira uscì dalla Base di Indipendenza sotto gli sguardi attenti dei curiosi, lasciando dietro di sé una scia di voci, esattamente come era successo la prima volta che aveva messo piede in quel luogo. Ed ora, esattamente com'era entrata lì poco meno di un anno prima, se ne usciva, per l'ultima volta, per fare ritorno a Giustizia.
    Zaira von Row @
     
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