And now I know you'll never leave me alone.

15 aprile 103 PA, primo pomeriggio, Base dei Vigilanti

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    Zaira ne aveva piante di lacrime quando Dastan l'aveva lasciata, solo che l'aveva fatto da sola, chiusa nella sua stanza o dispersa da qualche parte nel bosco. Non voleva che nessuno la vedesse distrutta per quella storia breve, perché sostanzialmente era durata davvero poco, ma per lei importante: non sapeva cosa ci fosse stato a legarla a Dastan in quel modo, non l'aveva mai capito e se l'era chiesto talmente tante volte che, alla fine, in mancanza di risposte dettate da una logica coerente, aveva cominciato a pensare che l'Orso del Nord le avesse rifilato qualche assurdo filtro d'amore o stronzate del genere. Non era da lui, non era una mossa che il Dastan che lei aveva conosciuto -persona che si teneva alla larga dalla magia- si sarebbe mai azzardato a fare, ma il modo in cui l'aveva lasciata, senza darle uno straccio di spiegazione valida, l'aveva portata a pensare davvero di tutto. All'esterno, Zaira si dimostrava una donna arrabbiata e ferita profondamente nell'orgoglio, volenterosa di ricambiare il colpo basso che Dastan le aveva inferto esattamente allo stesso modo, con la stessa moneta. Ma chi la conosceva bene sapeva che invece ci stava veramente male per quella situazione. Sam, ad esempio, lo aveva visto subito, non appena lei era tornata alla Base circa tre mesi prima, dopo che Dastan se n'era andato, e per quanto ci avesse provato, la rossa non era riuscita a convincerlo che stava bene, che avrebbe superato la cosa e che Dastan non faceva per lei. Bugie, solo bugie. Non si sarebbe mai spiegata in che modo, ma la von Row sapeva con sicurezza che l'Orso del Nord era fatto per lei, solo e soltanto per lei, ed allo stesso modo lei era destinata a lui: chi altra sarebbe riuscita a sopportare Dastan con il caratteraccio che si ritrovava, ad amarlo incondizionatamente come si era ritrovata a fare lei? Probabilmente nessuna, o almeno così le piaceva credere.
    Le prime settimane erano state per lei un inferno, troppe persone le chiedevano che fine avesse fatto il suo uomo, se era vero che aveva lasciato Indipendenza e cose del genere; troppe persone, insomma, le riportavano alla mente Dastan in maniera continua, senza darle tregua. Poi, una volta sparsa la voce ed accettata la realtà, la gente l'aveva lasciata in pace e Zaira aveva potuto riprendere a vivere serenamente, nonostante le tornassero continuamente alla mente il viso di Dastan, le sue ultime parole o i momenti passati assieme. La tentazione di andarlo a cercare era sempre forte in lei, ma il suo orgoglio le aveva sempre impedito di lasciare la sua Base per poi andare dove? Dov'era Dastan? Una mezza idea lei l'aveva anche, ma partire così, senza avere la ben che minima sicurezza di riuscire a trovarlo, viaggiando da sola in tempi burrascosi come quelli, non le era proprio parso il caso. Zaira aveva anche sperato che prima o poi Dastan si rifacesse vivo, che il suo gesto fosse stato dettato da una rabbia momentanea e che si fosse pentito di averla lasciata in quel modo. Forse non l'avrebbe perdonato subito, ma non gli avrebbe permesso di allontanarsi di nuovo da lei. Però Dastan non era tornato, ed i giorni si erano trasformati in mesi senza che lei avesse sue notizie in alcun modo. Dopo un po', Zaira aveva smesso di sperare ed aveva accettato pian piano l'idea che Dastan avesse deciso di rifarsi una vita lontano da lei; in fondo, non poteva struggersi in eterno, era giovane e bella e non ci avrebbe messo molto a trovarsi un uomo. Solo che era esigente, tremendamente esigente, e pur avendo provato a stare con altre persone, le storie che Zaira aveva provato ad intraprendere erano durate pochissimi giorni.
    Era da gennaio, quindi, che Zaira era alla ricerca di nuova stabilità; aveva ripreso la sua vita, ma sentiva che non era più la stessa cosa, specialmente alla Base. La rossa aveva perso gran parte della sua voglia di combattere e di fare scorribande, ormai aveva smesso di fare le ronde e si limitava a stare all'interno della Base a sbrigare rare faccende burocratiche, mentre il resto del tempo lo passava nel bosco in compagnia della sua Denna oppure a casa. Si, Zaira aveva fatto ritorno a casa qualche volta: si era fermata pochi giorni, certo, ma nell'arco di tre mesi era tornata dai suoi genitori molto più spesso di quanto non avesse fatto nell'arco di tutti quegli anni passati a fare la Vigilante. Non aveva detto a nessuno cosa avesse, si sforzava di mostrarsi la solita Zaira e lì nessuno sospettava di nulla, giacché nessuno aveva saputo della sua storia con il Capo di Indipendenza. Ultimamente, Zaira aveva anche preso l'abitudine di accompagnare sua madre e sua sorella a fare qualche compera: aveva il bisogno costante di tenere la mente occupata, e per quanto non le piacesse molto andare in giro per negozi, doveva riconoscere che come passatempo non era affatto male. -Quel vestito ti sta d'incanto!- Rowena ammirava la maggiore delle sue figlie con indosso un vestito lungo e blu, da poco confezionato da una strega esperta in abiti. Zaira ignorava sua madre e sua sorella, si guardava intorno quasi schifata mentre passeggiava tra le file di vestiti di tutti i tagli e colori. Erano ore che si trovavano in quel negozio, Domitilla aveva provato almeno dieci vestiti e sua madre aveva detto per tutti la stessa cosa, che le stavano bene, ma alla sorella sembrava non piacerne neanche uno. -Esco a farmi un giro.- aveva borbottato lei ad un certo punto, stufa di starsene lì con le mani in mano. Zaira era quindi uscita e si era diretta verso la piazza principale di Giustizia e si era seduta sulla prima panchina in pietra che aveva trovato, quindi aveva cominciato a guardarsi intorno tanto per fare qualcosa. Ad un tratto le sembrò di intravedere una sagoma ed un volto conosciuto, niente meno che Dastan che se ne stava in mezzo alla folla e la fissava. Zaira aveva scosso la testa dopo essere rimasta a fissare il punto in cui gli era parso di vederlo per qualche secondo, poi aveva sfarfallato gli occhi e si era alzata, ma a quel punto non c'era più nulla; probabilmente si era immaginata tutto quanto. Magari stava impazzendo. La von Row era poi stata raggiunta dalla madre e la sorella, che l'avevano trascinata in altri negozi del luogo. Di Dastan neanche l'ombra.

    Zaira ci aveva pensato e ripensato a quella che sembrava essere stata solo ed esclusivamente una visione. L'immagine di Dastan era parsa così reale ai suoi occhi che riuscire a credere di essersi sognata tutto le sembrava assurdo, tremendamente assurdo. Ma doveva essere così, aveva imparato ad accettare l'assenza dell'uomo ormai. O forse no?
    In quel giorno di metà aprile, Zaira era tornata alla Base da poche ore dopo essere stata nel bosco. I Vigilanti sembravano essere un po' agitati, forse a causa di recenti attacchi subiti da parte dei Valorosi; la rossa non prestò troppa attenzione al trambusto nel cortile, piuttosto si fiondò nella sua stanza e si sdraiò sul letto, cercando di rilassarsi -anche se ancora pensava all'immagine di Dastan in mezzo alla gente di Giustizia, come ormai faceva da tre o quattro giorni a quella parte, da quando le era sembrato di vederlo insomma. All'improvviso, gli schiamazzi in cortile aumentarono improvvisamente, poi, così com'erano nati, si spensero del tutto. Zaira aprì prima un occhio e poi l'altro, quindi aggrottò la fronte ma continuò a fissare il soffitto, aspettandosi da un momento all'altro che il baccano riprendesse. Quando ciò non successe, la rossa si alzò dal letto, impensierita: affacciandosi, trovò la desolazione più totale e fu del tutto automatico il chiedersi che fine avessero fatto i suoi compagni. Si infilò gli scarponi che sempre portava, quindi si diresse verso la porta, afferrandone la maniglia ed aprendola. Senza sapere come, Zaira si ritrovò tra le braccia di qualcuno, ed avrebbe saputo riconoscere quella stretta tra mille. Quelle erano le braccia di Dastan, non si sarebbe mai potuta sbagliare, ed il cuore della rossa mancò un battito. Doveva essere completamente impazzita, non c'era altra spiegazione.
    Zaira von Row @


    Edited by varden - 2/8/2014, 23:46
     
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    Provare non costava nulla. Si era detto e ridetto quella maledetta frase durante i mesi che aveva passato lontano da quella che era sostanzialmente la sua vita, anche se non l'aveva poi aiutato molto. Si era comunque ritrovato a fissare il panorama fuori dalla sua finestra ed a chiedersi come stesse Zaira, cosa stesse facendo Ronald a capo della Base, e soprattutto che cosa avesse messo su suo padre adottivo per tentare di ritrovarlo. Benjamin era stato un po' una sorpresa: era andato a trovarlo, prima di partire per l'Isola Verde con una nave, e l'uomo lo aveva implorato di rimanere con uno sguardo addirittura più dispiaciuto di quello di Zaira. Gli garantì un posto di lavoro ed una bella casa, ma Dastan aveva rifiutato lo stesso. Non era da lui farsi aiutare, specialmente da un uomo come suo padre. Non che Benjamin Dauthdaert fosse uno su cui non si poteva contare, anzi, ma era proprio l'orgoglio ad impedirglielo. Ed era stato l'orgoglio a tenerlo con le chiappe sulla sedia della taverna dell'Isola Verde, lontano da quelli che poteva considerare amici e da Zaira. Ci aveva provato, sì. Non poteva dire di non averlo fatto. Si era cercato un lavoretto, aveva messo su un piccolo giro di legname, si era dato da fare. Aveva occupato il tempo in qualche modo. Si era ritrovato persino a giocare a carte pur di non pensare alla rossa ed al modo in cui l'aveva lasciata. Si era pentito, sì. Aveva pensato che sarebbe stato meglio senza di lei, ed invece ogni giorno faticava ad andare avanti. Gli ritornavano in mente i suoi capelli, la sua bocca, i suoi occhi. Ancora ricordava il suo odore, la sensazione che provava toccando la sua pelle ed il modo in cui strofinava delicatament il naso contro il suo quando erano solo loro due, a letto, lontano da tutti e da tutto. Ricordava come lo stare con lei lo isolava dal mondo, lo faceva sentire felice ed appagato come un uomo che aveva tutto. E, effettivamente, Dastan aveva ogni cosa: lei, una casa, un lavoro. L'aveva abbandonata per che cosa? Per la sua tranquillità? E se qualcuno avesse attaccato la Base di Giustizia? Se l'avessero rapita? Pensieri del genere lo avevano assillato durante ogni singolo giorno passato lontano da lei. Si era detto che neanche la Base di Indipendenza era troppo vicina a quella di lei, e che Ronald non se ne sarebbe mai accorto se le fosse successo qualcosa. Se ci fosse stato lui, invece, avrebbe avuto un occhio di riguardo. Sapeva che, in qualche modo, se ne sarebbe reso conto. L'avrebbe potuta salvare, o quantomeno proteggere. Zaira. La rossa che l'aveva stregato e gli aveva portato via il cuore in qualche settimana. Aveva riflettuto molto sulla loro situazione, e si era accorto che non era solo un'infatuazione. Era impossibile che ci pensasse così spesso, altrimenti, no? Aveva chiesto a qualcuno dell'Isola Verde se la conoscesse, se potesse fargli avere sue notizie, ma le persone, ogni santa volta, si voltavano e credevano fosse pazzo. Era arrivato anche a contattare uno Stregone per tentare di tenerla al sicuro, ma quando il tipo gli aveva richiesto un po' del suo sangue, Dastan si era fatto indietro. Proprio quel giorno il Vigilante aveva deciso che poteva bastare: ci aveva provato, non ci era riuscito. Fine. Non poteva stare lontano da Zaira, era un dato di fatto e lui si sarebbe dovuto mettere l'anima in pace riguardo a ciò. Non era un debole, era semplicemente innamorato. E nulla l'avrebbe tenuto lontano dalla sua imperfetta altra metà. Con quella convinzione in testa, aveva di nuovo fatto i bagagli e si era avviato verso il porto. Aveva trovato una nave a buon prezzo, e tre giorni dopo era arrivato a Giustizia. Aveva preso quella più lenta perché non gli era parso il caso di tornare ad Onore: se qualcuno degli uomini di Lloyd lo avesse visto, di sicuro avrebbe riferito tutto al suo capo. Una volta sbarcato, pensò bene di andare a stare da suo padre. Il suolo Giusto gli aveva come procurato una certa ansia. Qualcosa gli diceva che aveva sbagliato tutto e che doveva tornare indietro, a fare il suo lavoro lontano da tutti. Probabilmente, l'orgoglio. Aveva deciso di non asoltarlo, però. Si era diretto da Benjamin e gli aveva chiesto di alloggiare da lui, rendendolo più che felice. Quando il padre gli aveva domandato come mai l'avesse fatto, Dastan gli aveva raccontato tutto davanti ad un buon brandy ed una vista mozzafiato della Fazione. Aveva omesso la parte che riguardava suo padre biologico ed aveva inventato una storiella all'ultimo minuto, facendogli comunque capire che il problema l'aveva avuto con la rossa. Il padre, poi, sorprendendolo, aveva sorriso amaramente, guardando il liquido chiaro ondeggiare dentro al bicchiere.
    « Dastan, figliolo... » aveva cominciato, sollevando lo sguardo verso di lui. « Torna da lei, fidati. Non lasciarti scappare una donna degna di chiamarsi tale. Sarebbe una schiocchezza che non ti perdonerei mai, amore mio. » gli aveva detto. L'appellativo con il quale gli si era rivolto l'aveva lasciato un po' interdetto, visto che gli era sembrato troppo usare addirittura "amore mio", ma dagli occhi azzurri di Benjamin notò come si stesse preparando a lasciarlo andare. Probabilmente aveva pensato che avrebbe potuto in ogni momento riaverlo con sé, ed invece quella era la conferma che no, Dastan sarebbe andato per la sua strada. Con Zaira. Qualche giorno dopo, poi, completamente sovrappensiero, aveva fatto una passeggiata per il mercato. Così gli aveva consigliato il Generale di Divisione suo padre. Una fiammata tra la folla, e le gambe del Vigilante erano schizzate in quella direzione, rischiando anche di farlo scoprire. Zaira faceva compere con altre donne, probabilmente la sua famiglia. Per un attimo, la ragazza gli aveva restituito lo sguardo curioso, poi Dastan aveva cominciato a correre come il vento ed era tornato a casa.
    Ci aveva pensato su qualche giorno. Si era domandato se fosse giusto ripiombare nella vita della rossa in quel modo, o anche solo fronteggiarla. In un certo senso, le aveva mancato di rispetto. Eppure, nonostante nel suo cervello frullassero queste domande, i suoi piedi lo avevano riportato proprio davanti alla Base di Giustizia. I due ragazzi perennemente di guardia gli rivolsero uno sguardo sorpreso come pochi ne aveva visti durante la sua vita. Il più piccolo aveva strabuzzato gli occhi, mentre l'altro aveva lasciato cadere la mazza che aveva tra le mani. E fu proprio quest'ultimo a corrergli incontro ed a gettargli le braccia al collo, cogliendolo di sorpresa. Dastan rimase immobile, con le sopracciglia aggrottate: cosa diavolo stava succedendo? Qualcuno sbucò fuori dalla Base, salutandolo calorosamente e tentando persino di dargli un bacio. Il Vigilante si limitò ad alzare le braccia come per arrendersi, poi rivolse uno sguardo piuttosto eloquente: era tornato, sì, ma non era cambiato poi così tanto...
    « Giuro che... anche io sono contento di vedervi. Ma... » cominciò, anche se il resto della frase gli morì in gola. Deglutì, abbassando lo sguardo. Fu Sam -il ragazzo che aveva picchiato più volte ed al quale aveva anche rimediato una cicatrice- che gli diede una pacca sulla spalla, stringendogliela e sorridendogli. Gli fece un cenno con la testa, indicandogli il piccolo edificio, poi gli diede una piccola spinta. Come se fosse tutto ciò di cui avesse bisogno, Dastan cominciò a camminare a passo di carica ed entrò bruscamente nella Base, diretto verso la camera della rossa. Non fece in tempo a mettere la mano sulla maniglia che quella si girò, facendo spalancare la porta. Era lì, davanti a lui. Aveva viaggiato tre giorni su una nave lenta e puzzolente per rivederla. Era arrivato a chiedere consiglio a suo padre pur di non perderla. Eppure, la prima cosa che gli venne in mente fu abbracciarla. La strinse forte a sé, perché non la vedeva da troppo tempo e perché l'amava. Il suo piccolo corpo si adattò fin troppo bene al suo: si conoscevano, sapevano persino come diavolo dovevano abbracciarsi. Affondò il volto sulle sue spalle, inspirando e cercando di marchiare a fuoco nel suo cervello quel profumo e la sensazione di avere la sua pelle sotto le mani. Eppure la rossa non rispose all'abbraccio. Dastan non era ancora pronto a lasciarla, non lo era mai stato. Uno sbaglio, ecco che cosa aveva fatto. Ed avrebbe dovuto ammetterlo, certamente. Strinse ancora di più la donna a sé, quasi facendosi mancare l'aria. Poteva avvertire il suo cuore battere contro il petto di lei e viceversa, ma nessuna parola, nessun gesto. Meglio così, si disse. Sapeva che di lì a poco Zaira si sarebbe incazzata come una bestia e lo avrebbe respinto, ma per il momento si gustò quell'attimo fuggente, assaporando ogni centimetro di lei.
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    Non poteva star succedendo tutto sul serio, era impossibile che Dastan fosse tornato sui suoi passi dopo tutto quel tempo. Zaira aveva sognato spesso il suo ritorno, soprattutto nei primi giorni dopo la sua partenza, e in sogno ogni cosa sembrava tremendamente reale: il tocco di lui, il suo respiro, tutto ciò che di Dastan le appariva in sogno sembrava avere una propria consistenza, perciò perché in quel momento sarebbe dovuto essere diverso? In fondo, lei si era sdraiata sul letto e dopo poco non aveva percepito più alcun rumore, non era poi così impossibile che si fosse addormentata e avesse iniziato a sognare. Oppure era impazzita del tutto da un momento all'altro, dopo essersi convinta di aver ricominciato a vivere più o meno come prima, a condurre una vita "regolare", se pur a modo suo. Probabilmente aveva abbassato la guardia ed il suo subconscio aveva preso il sopravvento. Ma nulla di tutto ciò aveva senso, perché la stretta di Dastan sembrava così reale, così vera. Nei sogni lui non l'aveva mai stretta in quel modo, e neanche dopo aver perso la ragione Zaira avrebbe potuto confondere i suoi abbracci con quelli di qualcun altro perché li conosceva fin troppo bene.
    No, quello era Dastan, il suo Dastan e nulla sarebbe potuto essere più reale e più sconcertante in quel momento. Sconcertante, si, perché Zaira aveva pensato tante volte al suo ritorno ed a come avrebbe potuto reagire lei, ed adesso che se lo ritrovava lì non sapeva che dire o cosa fare, tanto era stata presa in contropiede. Il suo cervello le trasmise immediatamente le immagini dell'ultima volta che si erano visti, e come fossero state le scene di un film -quelle strane invenzioni tipiche del periodo pre-apocalittico di cui tanto aveva sentito parlare- la von Row poté rivedere nella sua testa, passo dopo passo, ogni momento di quell'ultimo incontro. Lo sguardo rabbioso di Dastan ancora sembrava ardere e bruciarle la pelle, il suo tono di voce riecheggiava nella mente della rossa e sembrava ferirla. E poi le sue parole, il suo "arrivederci" mascherato in un "addio" che la colpiva dritta al cuore e quasi la annullava. Zaira riuscì a rivivere il tutto in pochi secondi, mentre Dastan la stringeva ulteriormente a sé; lei non aveva avuto il coraggio di alzare le braccia e stringerlo, qualcosa le impediva di ricambiare l'abbraccio. Mentre riviveva quegli ultimi momenti, Zaira sentì anche montarle dentro la rabbia che quel pomeriggio l'aveva spinta a farsi forza ed a lasciarlo andare per la sua strada. Adesso quella rabbia tornava, ma il motivo era tutt'altro: dopo averla lasciata in malo modo, senza una spiegazione logica, dopo essere sparito per tre mesi senza dire a nessuno dove fosse andato, senza aver fatto avere sue notizie né a lei né a nessun altro, l'Orso del Nord si permetteva di tornare lì, a Giustizia, in quella che era casa sua, come se nulla fosse successo? No, no questo non poteva accettarlo. Troppe volte aveva rasentato l'annullamento per lui, troppe volte aveva accettato in silenzio decisione immotivate, che Dastan aveva preso da solo, senza darle alcun motivo, troppe volte pur di averlo vicino, insomma, Zaira von Row si era trasformata in qualcosa di molto vicino ad un cucciolo ubbidiente. Lei tutto era fuorché un cucciolo e fuorché ubbidiente. Presa da uno scatto di rabbia e di nervosismo improvvisi ed incontrollabili, Zaira cercò di sottrarsi alla stretta di Dastan, ma quello rinsaldò ulteriormente la presa e per lei fu impossibile divincolarsi; ma l'uomo era tutto ricurvo su di lei e l'istinto spinse Zaira ad afferrargli l'orecchio con i denti. Di nuovo. La prima volta che l'aveva fatto, le circostanze erano state del tutto diverse, ma le motivazioni erano le stesse: doveva scrollarselo di dosso. Questa volta evitò di stringere, non voleva fargli male ma solo fargli capire che doveva lasciarla, e doveva farlo subito. Dastan borbottò qualcosa e sciolse immediatamente l'abbraccio, e lei si spostò di qualche passo indietro, fissandolo. Si, era lui, con la sua solita espressione corrucciata, bello come sempre. Non era cambiato di una virgola, a differenza di lei che aveva perso diversi chili perché si era rifiutata di mangiare, spesso e volentieri. Per un attimo, Zaira lo fissò con sguardo quasi adorante, come se quella di fronte a sé fosse la visione di un dio, e la tentazione di saltargli di nuovo al collo e baciarlo fu tanta e quasi incontrollabile.
    Quasi, si, perché immediatamente dopo il suo umore cambiò ed il suo sguardo si accese di rabbia, un po' come aveva fatto Dastan mesi prima. -Tu.- sibilò a denti stretti, scuotendo la testa e portando le braccia in avanti, cominciando a spintonarlo e, ovviamente, spostandolo di qualche centimetro e nulla più -Tu non puoi tornare qui, abbracciarmi e fare finta che non sia successo un cazzo dopo che per tre fottutissimi mesi te ne sei fregato di tutto.- In realtà no, lei era più che felice che fosse tornato, ma in quel momento l'orgoglio le aveva dato alla testa, facendole dire l'esatto opposto di quello che pensava. -Tutto questo tempo senza sapere dove fossi finito né come te la stessi cavando, nessuno sapeva dirmi nulla perché ti eri voluto rifare una vita lontano da tutti quelli che conoscevi.- continuò ad urlare, agitando adesso le braccia a mezz'aria e calcando il tono di voce, come a volersi prendere gioco di lui e di quello che aveva detto -Ma tanto a te cosa frega, non ti sei fatto problemi a trattarmi come la cogliona di turno, figurati se ti saresti mai preso la briga di farmi avere tue notizie o anche solo di sapere in che condizioni mi avevi ridotta.- Poi, nel massimo momento di rabbia folle, Zaira caricò un nuovo spintone mettendoci tutta la forza che aveva e superandolo. -Ma vaffanculo, Dastan!- urlò, fiondandosi in cortile e cercando di non guardare indietro per corrergli incontro e saltargli addosso. Doveva sostenere le proprie ragioni, almeno per un po', almeno per vedere se avesse avuto il buon senso di scusarsi per tutto quello che le aveva fatto passare.
    Zaira von Row @
     
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    Aveva previsto tutto. All'improvviso, Zaira gli azzannò nuovamente l'orecchio -come evidentemente era sua abitudine- in modo da farlo scostare e gettargli addosso tutta la sua rabbia. Dastan, preso alla sprovvista da quel gesto, scattò all'indietro e si massaggiò un poco la cartilagine dell'orecchio, che ormai era stata martoriata in ogni dannato modo. La rossa aveva un'espressione così arrabbiata che per una frazione di secondo si chiese se non avesse sbagliato persona. Magari qualcuno si era tinto i capelli e Dastan era andato fin troppo sul sicuro. Ma no, non poteva essere. Quella davanti a lui era proprio Zaira in carne ed ossa, che lo fulminava con gli occhi e lo aveva scostato con rabbia da se stessa. Notò come tutto il dolore represso in quei mesi cadde addosso alle spalle della Vigilante, che per un momento si lasciò andare e mostrò le sue vere emozioni: era sfinita, sorpresa e terribilmente irritata da tutto ciò. Come, d'altra parte, era giusto che fosse. Dastan l'aveva abbandonata perché aveva perso le speranze e non era riuscito più ad andare avanti, e poi le si presentava a casa. Sapeva che era stato uno sbaglio, l'orgoglio aveva parlato in modo corretto quando aveva messo piede a Giustizia. Dopo averlo squadrato per bene, poi, la rossa gli si avvicinò minacciosamente, cominciando a spintonarlo ed a dargli pugni sulle spalle e sul petto, evidentemente presa da uno scatto d'ira -totalmente volontario. Dastan si lasciò picchiare senza fare un fiato, rimanendo con lo sguardo incollato a quello di lei, quasi come se temesse di poterla perdere solo guardando altrove. Forse, ormai, l'aveva persa del tutto. Non poteva essere impossibile, in fondo: magari si era rifatta una vita, si era impegnata con qualcun'altro. Anche il solo pensiero gli fece ribaltare lo stomaco, ma non lo diede a vedere. Sibilando, gli disse che non poteva fare finta di nulla dopo tre mesi di completa assenza, e che nessuno sapeva nulla di lui, laggiù. Quindi l'aveva cercato. O, perlomeno, era andata in cerca di informazioni su di lui. Non era stato il solo, perciò, e la cosa lo rallegrava un poco. Voleva dire che Zaira c'era finita dentro con tutte le scarpe, e che probabilmente neanche la rossa sapeva come venirne fuori. Dastan si era rassegnato, alla fine, ma se lei non avesse fatto lo stesso? Dastan era sicuro che lo avrebbe allontanato di nuovo. Indurì lo sguardo, stringendo i denti ed evidenziando la mandibola, ancora senza dire nulla. Era d'accordo con lei, ma non poteva sputtanarsi definitivamente. Aveva la reputazione da Orso del Nord da proteggere. Come per concludere la loro discussione, poi, Zaira prese addirittura una piccola rincorsa e lo spintonò via, superandolo ed uscendo fuori dalla Base, mandandolo poi a quel paese. Dastan rimase immobile, mentre fissava la stanza davanti a sé, vuota. Non sapeva che cosa fare. Come ci si comportava in questi casi? Non gli andava di fare il sottomesso, né quello decisamente troppo sicuro di sé. Ed ecco di nuovo i drammi esistenziali che lo tormentavano: l'aveva rivista da appena qualche minuto e già gli procurava problemi. Al pensiero, abbozzò un sorriso malinconico, che però scomparve in un soffio. D'altra parte, non c'era neanche nessuno lì dentro. Poteva avvertire i Vigilanti di Giustizia parlottare, probabilmente per tentare di convincere Zaira a fare qualcosa, ma l'unica cosa che Dastan riuscì a fare fu inspirare profondamente ed aspettare. Non era il tipo che tornava con la coda tra le gambe, solitamente, e per quello la rossa doveva essere fin troppo contenta. Se era tornato da lei, evidentemente qualcosa di importante la provava. Confidò, comunque, che qualcuno di Giustizia glielo dicesse. Quando si mosse, lo fece per uscire verso l'entrata sul retro, quella più vicina alla stanza di Zaira. Senza darlo a vedere -praticamente a se stesso- Dastan gettò un'occhiata dentro la stanza, come per testare che non ci fosse nessun ragazzo seminudo ad aspettarla. La camera era come la ricordava, e non c'era proprio nessuno lì dentro. Soddisfatto internamente, il Vigilante uscì sul retro e si diresse verso una panca ricavata da una roccia piatta, posizionata esattamente al centro del cortiletto. Si sedette, sospirando ed inarcando la schiena in avanti. Unì le mani, fissandole e cercando di non pensare al peggio: Dylan insieme a Zaira, nello stesso letto, oppure Sam e Zaira, che gli aveva dato una pacca sulla spalla quando l'aveva visto dopo aver pensato che era un poveraccio. Scosse lentamente la testa, come a voler scacciare via quei pensieri. Non sapeva se la rossa fosse stata una tipa da vendetta meschina e sleale. Perché quella sarebbe stata: una vendetta decisamente spiacevole ed epocale. Aspettò che succedesse qualcosa con la testa completamente piegata, quasi a voler spegnere il cervello.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Le scoppiava la testa per la confusione ed il cuore per la gioia. Non le sembrava vero che Dastan fosse tornato da lei, ma alla fine non sarebbe stato del tutto impossibile: si amavano, dannazione, quella non poteva esserne che la prova. Se non si fosse mosso prima lui, molto probabilmente lei sarebbe andata a cercarlo non appena si fossero calmate un po' le acque nella Sword's Hilt, sempre che non fosse riuscita a rifarsi una vita prima. Ma se in tre mesi non era riuscita a riprendersi del tutto dopo una storia che non era durata neanche un anno, allora voleva dire che Dastan aveva davvero lasciato un segno profondo in lei, e voleva anche dire che per voltare definitivamente pagina l'avrebbe dovuto vedere, magari anche con un'altra a fianco a sé, ed avrebbe dovuto chiarire una volta per tutte. Il solo pensiero di un'altra donna che lo toccava, che lo baciava, che gli sorrideva e riceveva quei mezzi sorrisi tipici dell'Orso del Nord fecero venire i brividi a Zaira. L'avrebbe accettato, certo, ma in quel momento il solo pensiero la nauseava. Lei aveva provato a risollevarsi un po' in quegli ultimi tempi, aveva provato ad avvicinarsi ad un paio di altri uomini, ma quando aveva parlato con loro, quando aveva avuto modo di rimanere sola insieme a loro, Zaira si era resa conto di non stare bene, né con essi né, soprattutto, con se stessa: cercava negli occhi di quegli uomini gli occhi di Dastan, ai loro sorrisi esagerati preferiva quello a labbra strette ed appena accennato dell'Orso del Nord. Non c'era speranza, per la rossa, di riuscire a dimenticare il Capo di Indipendenza, non così in fretta come aveva pensato di poter fare, almeno.
    Superare Dastan e non voltarsi indietro fu per Zaira una vera e propria impresa: ogni passo che faceva per allontanarsi da lui le ricordava del carattere difficile che l'uomo aveva e le suggeriva che così facendo, forse, avrebbe corso il rischio di perderlo di nuovo, magari per sempre. Ma Zaira era troppo orgogliosa, ferita e confusa per riuscire a ragionare in modo lucido e fare la cosa giusta. Aveva bisogno di realizzare ben bene quello che stava accadendo, doveva tranquillizzarsi e doveva aspettare. Si, non sarebbe tornata sui suoi passi, voleva che Dastan la raggiungesse e magari la abbracciasse ancora, più stretta di prima. Zaira era una contraddizione vivente, lo era sempre stata ma in quello specifico momento aveva elevato quella sua caratteristica alla massima potenza: prima pregava giorno e notte per il ritorno del suo uomo, poi quando ce l'aveva davanti gli mordeva un orecchio e se ne andava, ed ora pretendeva che quello la venisse a riprendere e tentasse di nuovo l'approccio. Mentre camminava ai margini del cortile della Base, seminascosta dalla vegetazione, Zaira si portò le mani all'attaccatura dei capelli, quindi se li portò indietro e poi si strofinò il volto. Sentiva le lacrime pronte a gonfiarle gli occhi da un momento all'altro, e sforzandosi non poco riuscì a ricacciarle indietro: era stanca di piangere, stanca di vedere i suoi occhi sempre simili a palloncini. Se proprio doveva versare qualche lacrima, che almeno fosse stata di gioia.
    Non arrivò nessuno, Dastan non uscì neanche dalla Base. Zaira fissava la porta con la speranza di vederlo sbucare lì e correrle incontro, ma l'unico che uscì, dopo diversi minuti, fu Sam. Il ragazzo le si avvicinò e Zaira, a cui già sembrava di sentirlo mentre le faceva la paternale, cominciò a scuotere la testa con vigore. -Non ci provare Sam, no.- gli disse immediatamente, non appena quello le fu davanti. Sam alzò le mani, abbassando lo sguardo per un attimo, quindi tornò a guardarla e le sorrise dolcemente. -In tutta la Sword's Hilt tu sei l'unica a sapere come comportarti con Dastan, quindi non ti dirò niente.- cominciò, poi la supero e Zaira notò che era armato, probabilmente stava andando in perlustrazione. Sam si voltò poi, all'improvviso, ancora sorridente -Ma visto che è tornato, ti consiglio di non fargli pensare che tu non lo voglia più. Si sta già disperando nel cortile sul retro.- le fece l'occhiolino e poi si incamminò verso il bosco. Zaira sfarfallò gli occhi per un momento, poi, senza pensarci, corse di nuovo verso l'edificio, aggirandolo e dirigendosi verso il retro. Dastan stava lì, seduto nella sua solita posizione, intento a riflettere. Le dava le spalle e Zaira si prese qualche secondo di tempo per cercare di capire come agire. Era ancora arrabbiata, quindi sapeva che qualche altro pugno o scappellotto glielo avrebbe rifilato, prima di avvinghiarsi a lui come fosse stata una piovra. La von Row percorse velocemente la distanza che li separava, e sentendo il rumore dei suoi passi, Dastan si alzò immediatamente, fronteggiandola. Zaira lo fissò per un paio di secondi, poi senza pensarci caricò uno schiaffo. Di nuovo, la rossa sentì le lacrime inumidirle gli occhi, ma questa volta non riuscì a fermarle. -Perché, Dastan?- domandò, senza pensarci troppo -Perché ti permetti di giocare con la mia vita come se niente fosse? Te ne vai perché ti rode il culo, poi ti gira di nuovo bene e decidi di tornare. Dopo tre mesi. Tre fottutissimi mesi.- le ultime tre parole Zaira le pronunciò lentamente, enfatizzandole per bene, poi si prese una pausa, scuotendo la testa e tirando su col naso nel tentativo di ricacciare indietro nuove lacrime. -Perché?- ripeté, di nuovo. Il motivo Zaira lo sapeva, o almeno pensava di saperlo, visto che doveva essere lo stesso per cui lei gli permetteva di tornare e di fare un sacco di altre cose che le mandavano in tilt il cervello, però voleva sentirglielo dire, l'uomo glielo doveva. Rimase quindi in silenzio, aspettando che Dastan rispondesse, mentre, ormai arresasi ai suoi sentimenti, lasciava che le lacrime scorressero senza sosta sul suo viso.
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    Pensò di andarsene. Magari il suo intuito aveva pensato bene, all'inizio. In fondo, se lei non lo avesse voluto tra i piedi, sarebbe sempre potuto sparire di nuovo. Un conto era averla lasciata in quel modo, un altro era arrivare alla conclusione che, semplicemente, Zaira non lo voleva più. Si sarebbe dovuto rassegnare per forza, e non perché così gli stava dicendo il cervello. Si sarebbe dovuto arrendere all'evidenza, girare i tacchi ed andarsene di nuovo. Magari tornare da suo padre, chiedergli di quel lavoro che gli aveva offerto e cominciare a sistemarsi. Sì, insomma, accettare l'aiuto di Benjamin non sarebbe stato facile, ma d'altra parte se era riuscito ad affrontare Zaira, sicuramente sarebbe stato in grado di affrontare qualche altro ostacolo come quello. Doveva semplicemente rendersi conto che doveva lottare contro il suo orgoglio, qualche volta, e tentare di farla franca. Smettere di ragionare come se tutti gli volessero fare del male, ecco che cosa doveva davvero togliersi dalla testa. Mentre pensava, Dastan fissava dritto davanti a sé, con lo sguardo perso nel vuoto e le mani a sorreggergli il capo. Pian piano, se ne andava sempre più in avanti. Forse alla fine si sarebbe dato una bella spinta e sarebbe andato via sui propri passi. Era tornato lì con la coda tra le gambe, perlomeno quello Zaira poteva contarlo. Gli montò dentro una leggera irritazione per quella mancata riconoscenza, ma poi si rese quasi subito conto che non avrebbe mai vinto con una pretesa del genere in mano. Per quel motivo sospirò, buttando fuori tutta l'aria e, assieme ad essa, anche la speranza. La rossa non si faceva viva, e ciò voleva dire solo una cosa: se n'era andata. Magari aveva per davvero un altro, solo che questo la aspettava in un altro posto. Proprio mentre nella sua testa si formavano le idee più malsane, poi, avvertì dei passi alle sue spalle. Si voltò, all'inizio, credendo che fosse un Vigilante di Giustizia venuto a cacciarlo perché Zaira era andata via, ed invece eccola lì, in cima agli scalini a guardarlo. Dastan balzò in piedi, girandosi però piuttosto lentamente verso di lei. Aveva ancora la rabbia negli occhi, e non sparì neanche quando scese le scale e gli si avvicinò, fissandolo dritto nelle pupille. Stette per qualche secondo a guardarlo, come se in realtà stesse dicendo qualche parolaccia nella sua testa, poi gli mollò uno schiaffo. La testa di Dastan schizzò di lato, ma il Vigilante lo incassò senza fare un fiato, seppur strinse i denti ed evidenziò la mandibola. Lo sguardo rimase per qualche momento sulla fitta boscaglia, poi si spostò su di lei. Non disse nulla, ma si notava dall'espressione che avrebbe retto fino ad un certo punto. Già il solo venire lì lo aveva innervosito alquanto, se poi lei ne avesse approfittato per umiliarlo lui se ne sarebbe semplicemente andato. Poco gli importava di irritarla ancora di più: aveva una certa dignità, non era mica un cane. Si accorse subito che la rossa stava piangendo. Erano state poche le volte in cui l'aveva vista effettivamente piangere, ma quella volta era chiaro che non fosse riuscita a trattenere le lacrime. Gli chiese perché, perché giocasse con la sua vita e si permettesse di andarsene e tornare dopo tanto tempo come se nulla fosse. Dastan la fissava negli occhi senza parlare. Avrebbe dovuto dirle perché se ne era andato o perché era tornato? Perché le risposte erano entrambe molto facili. Solo che, di nuovo, il suo orgoglio un po' lo frenava. Non aveva ancora mai detto "ti amo" ad una persona, e forse quello era proprio il momento giusto. Peccato che non ci riuscisse affatto. La bocca era impastata, lo stomaco sottosopra ed ancora una piccola traccia di vecchia ira fiammeggiava nei suoi occhi. Si guardò brevemente attorno, come per prendere coraggio, poi sospirò, tornando a guardare Zaira.
    « Io gioco con la tua vita? Se non sbaglio sei tu quella che è sparita più volte, quella che mi ha baciato e non si è fatta più sentire e quella che prende le decisioni al posto mio senza neanche consultarmi. » le rispose. Quella piccola fiammella d'ira esplose, permettendogli di andare avanti a parlare, senza però mostrare alcun tipo di rabbia. Era solo palesemente scocciato, probabilmente per il fatto che l'amava e non voleva dirglielo.
    « Avevo bisogno di una pausa, cazzo. So che hai agito a fin di bene, ma non puoi permetterti di decidere per me e stravolgermi la vita già abbastanza sfanculata di per sé. » cominciò quindi. « C'è un motivo per il quale ho scelto di non vedere mio padre, ed in parte è anche perché non mi sento pronto. Non voglio affrontarlo, non voglio pensarci, non voglio preoccuparmi. » le disse. Fece una pausa, sospirando e guardando per un momento un punto non identificato alla sua sinistra, poi scosse la testa e tornò al volto di Zaira, che lo stava ascoltando con attenzione. Anche se, chiaramente, aveva da dire la sua.
    « Solo che non ci riesco a stare lontano da questo cazzo di posto. » sentenziò, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni e stringendo le spalle, evidentemente a disagio. Non era comunque riuscito a dire a Zaira che l'amava. Voleva solo chiarire che se lei non era pronta a riaverlo indietro lui avrebbe aspettato, o al massimo si sarebbe dato pace. Se avevano chiuso per sempre... beh, pace. Forse avrebbe accoppato tutti i suoi futuri compagni, o forse l'avrebbe lasciata stare. Non lo sapeva. Guardando a terra, poi -improvvisamente timido- Dastan parlò.
    « Non pretendo che ci rimettiamo insieme. Fai come credi. » disse in un sussurro. Fu così flebile perché probabilmente non era convinto affatto delle sue parole, ma era la cosa più giusta da fare. Non poteva imporsi a Zaira. Anche se avesse ammazzato gli amanti -per assurdo- Zaira sarebbe rimasta libera di scegliere. Deglutì, poi alzò la faccia verso la rossa e rimase a guardarla, in attesa di una risposta. Lui quello che aveva da dire l'aveva detto, perciò era a posto. Ora stava a Zaira darsi da fare.
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    Maybe this is what happen when a tornado meets a volcano.
    Dastan incassò il colpo in silenzio, rimanendo con la testa voltata di lato per qualche secondo, tempo durante il quale Zaira non smise mai di fissarlo. Le faceva male comportarsi in quel modo, avrebbe tanto voluto evitarlo e sciogliersi in uno dei suoi abbracci o lasciarsi travolgere da uno dei suoi baci, ma non poteva, semplicemente, perché il suo maledetto orgoglio ferito e la sua dignità di donna non le avrebbero mai permesso di perdonare l'uomo come se nulla fosse successo. Zaira sentiva anche di star facendo, in qualche modo, la cosa giusta: Dastan doveva sapere che non poteva trattarla come gli girava al momento, doveva capire che per quanto lo amasse non si sarebbe mai lasciata mettere i piedi in testa. In fondo, poi, lui l'avrebbe anche preferita così, lei ne era certa.
    Quando poi Zaira cominciò a fargli una sorta di terzo grado, Dastan la fissò per qualche secondo con l'espressione tipica della persona che pensa e prova a riordinare le idee, quindi prese a risponderle tirando nuovamente fuori la storia dell'incontro che lei aveva organizzato con Dylan e suo padre senza però chiedergli se fosse stato d'accordo, poi le disse che aveva avuto bisogno di una pausa di riflessione, che aveva capito che lei aveva agito a fin di bene, ma che non poteva fare sempre e solo ciò che il cervello le suggeriva, confessandole quindi che non si sentiva pronto ad affrontare quella novità. Tutte cose, insomma, che Zaira già sapeva. La risposta dell'uomo non l'aveva soddisfatta del tutto, era convinta che ci fosse stato molto di più dietro la scelta di fuggire e tagliare tutti i ponti, ma forse questa sua convinzione era dettata dal fatto che non era stata ad accettare la scelta dell'uomo ed a rassegnarsi all'idea che non la volesse più. Vedendola rimanere in silenzio, Dastan le disse anche che non era in grado di stare lontano da quel posto, quindi da lei. -E allora perché cazzo te ne sei andato? - sbottò a quel punto la rossa, mentre si passava una mano tra i capelli con fare nervoso -Sarebbe bastata una sfuriata, una litigata di quelle pesanti con il rischio di dover venire alle mani alla fine, qualsiasi cosa Dastan, qualsiasi fottutissima reazione sarebbe stata meglio della tua scomparsa nel nulla.-concluse quindi, con voce non troppo ferma. In realtà le pause di riflessione implicavano un allontanamento, ma non così, non con uno dei due elementi della coppia che scompariva per tre mesi senza lasciare traccia di sé.
    Dopo un altro attimo ancora passato nel silenzio più totale ed a fissarsi negli occhi, come se ciò foase stato il massimo che si sarebbero potuti permettere dopo tre mesi di allontanamento, Dastan le fece presente che non era venuto lì con chissà quali pretese, anzi, il loro destino in quanto coppia sembrava essere tutto nelle mani di lei. Zaira sfarfallò gli occhi con fare incredulo e confuso, come se per lei quel discorso non avesse senso -e, di fatti, così era. - < b >Dovrei.. dovrei fare come credo io?- domandò lei, retoricamente, poi si concesse un sorriao ironico ed una battuta sarcastica -Non apprezzi i miei metodi, rischiamo grosso.- Fece una pausa, rimettendo insieme i pezzi: la scelta stava a lei e lei soltanto, se Dastan era tornato indietro voleva dire che aveva capito di aver fatto una sciocchezza e che l'aveva perdonata per la storia dell'incontro organizzato in segreto. Zaira si chiese se nom fosse quello il momento giusto per mettere a tacere l'orgoglio ed avvinghiarsi finalmente a lui. -Tu non hai idea di che cosa hai fatto, di cosa mi hai fatto, vero? - esordì, parlando ora con un tono di voce più calmo e controllato -Mi hai lasciata sola con me stessa, hai lasciato che il mio cervello si arrovellasse sulle vere ragioni per cui te n'eri andato via, arrivando a trarre le più disparate e peggiori conclusioni. - Fece una pausa per farsi coraggio e superare l'ultimo tratto di muro difensivo che il suo orgoglio aveva eretto, quindi prese un respiro e, mentre lo fissava con uno sguardo nuovo, quasi più sereno, in un sussurro disse -Maledetto il giorno in cui ho capito che non posso fare a meno di te, Dastan. - E detto ciò annullò la distanza tra loro, lo afferrò per il collo della maglia che indossava e lo tirò per costringerlo ad abbassarsi per baciarlo, dapprima con poca convinzione, e poi, finalmente, lasciandosi andare.
    Zaira von Row @
     
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    Vederla piangere e sapere di essere la causa principale del suo malessere non fu facile da sopportare. Eppure... eppure c'era ancora qualcosa che gli impediva di sentirsi totalmente in colpa. Era raro, d'altra parte, che Dastan provasse del rimorso: abituato com'era a sentirsi isolato dal resto del mondo, non c'era motivo per cui dovesse farlo. Per lui, tutti quanti avrebbero dovuto imparare a schermare la propria anima da tutto ciò che li circondava. Era solo una forma diversa di autodifesa, in fin dei conti. E forse era proprio per quello che non riusciva a provare rimorso. Sapeva di aver sbagliato ad andarsene all'improvviso, ma era pur vero che aveva avuto i suoi buoni motivi. Dastan agiva d'impulso, ed in quel momento la testa gli aveva detto di andarsene. Forse Zaira gli sembrava pure un po' esagerata. A Dastan era mancata tantissimo, certo, ed in quei giorni aveva capito di provare qualcosa di importante nei suoi confronti. Ma era stato davvero così imprevedibile, andandosene? L'aveva più volte chiesto alla rossa, e lei si era continuamente rifiutata. Era chiaro che Dastan necessitasse di una pausa, di un momento per riflettere non solo sulla loro relazione, ma su tutto. Ecco perché aveva insistito tanto e l'aveva riproposto continuamente a Zaira, per cercare di convincerla a seguirlo e staccare la spina insieme. Quando poi le disse che non riusciva a stare lontano per troppo tempo da quel posto, lei gli rispose domandandogli perché se ne fosse andato, allora. Dastan aggrottò le sopracciglia, scuotendo appena la testa. Non l'aveva capito? Non sapeva perché se n'era andato tutto quel tempo?
    « Forse perché avevo la nausea anche al solo pensiero di fare un'altra ronda e di imbattermi in quello che dovrebbe essere mio padre biologico, di cui ho scoperto l'esistenza tre mesi fa? » chiese ironicamente, quasi scioccato. Non poteva credere che Zaira non capisse le sue esigenze. Si sentiva tanto incompreso, e l'ormai familiare senso di "non appartenenza" si impossessò di lui. Lei, poi, gli disse che qualsiasi sfuriata sarebbe stata migliore di quell'allontanamento, come se avesse qualche chance contro le sue discussioni campate in aria. Scosse la testa, contrariato, senza neanche guardarla negli occhi. Si sentiva frustrato più che mai, perché tanto finiva sempre per essere il cattivo della situazione senza alcuna via di scampo. Non era cattivo, era solo confuso ed irritato. Dopo qualche momento di pausa, poi, la rossa sembrò calmarsi, dicendogli con voce ferma che non aveva idea di che cosa le avesse fatto, perché l'aveva lasciata da sola a perdersi nelle sue elucubrazioni senza né capo né coda. Dastan annuì appena: l'aveva fatto proprio per quello.
    « Esattamente. Spesso non ti rendi neanche conto dei ragionamenti del cazzo che fai, e così metti solo in pericolo gli altri. Anche per quel motivo volevo che riflettessi in solitudine. » le disse. Proprio mentre parlava, poi, Zaira lo avvicinò a sé tirandolo per la maglia, e poi lo baciò: per un istante fu delicata, ma poi prese il sopravvento la sua parte animalesca e la rossa si avvinghiò a lui, senza concedergli alcuna via di scampo. Dastan si sarebbe voluto ritirare, avrebbe voluto respingere quel bacio e continuare a parlare, ma il fuoco che gli si accese dentro gli ricordò tutto ciò che era stato. Si erano voluti bene, e l'avevano fatto principalmente possedendosi l'un l'altra, come se potessero dimostrarsi affetto solo beandosi della carne dell'altro. Incontrare di nuovo quelle labbra fu come bere un po' d'acqua dopo aver attraversato il deserto, eppure una parte di lui lo frenava. Continuava ad impedirgli di esprimersi del tutto, o anche solo di buttarsi a capofitto in quel bacio mozzafiato. Dopo poco i due si staccarono, perché probabilmente Zaira aveva realizzato tutto ciò che lui le aveva detto. Dastan si limitò ad osservarla negli occhi con la sua solita espressione corrucciata, ma stavolta c'era anche una buona dose di decisione.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Il discorso di Dastan cominciava a prendere forma ed avere una sua logica. Sua, si, perché magari molte altre persone non avrebbero reagito come lui ed avrebbero affrontato il problema in modo diretto, ma Zaira aveva ormai capito che se l'Orso del Nord poteva evitare un problema o posticiparlo, allora non se lo faceva ripetere due volte. Per mesi aveva tentato di convincerla ad andarsene dalle proprie fazioni d'appartenenza e cercarsi un luogo dove vivere insieme in tutta tranquillità, e per mesi Zaira si era rifiutata di dargli retta, arrivando a dargli del codardo per spronarlo a reagire in qualche modo. Alla fine, lui aveva fatto di testa propria e se n'era comunque andato. Poteva avere senso, tutto sommato, anche se la rossa si rifiutava di approvare quel modo di pensare e di agire, si sarebbe rifiutata sempre, probabilmente. Zaira lo vide aggrottare la fronte mentre parlava, segno che Dastan non la stava capendo fino in fondo e perciò si sarebbe potuto innervosire; la ragazza sospirò appena, quindi cominciò a far leva su se stessa al fine di iniziare a calmarsi ed evitare di ingigantire la discussione e perdere anche quell'ultima possibilità di ritrovare il suo uomo. -Tuo padre è venuto più volte a cercarti mentre non c'eri, è venuto persino qui a Giustizia.- replicò quindi, con tono calmo -Non appena saprà che sei tornato vorrà vederti, lo sai vero?- Christopher si era dimostrato essere un uomo assai determinato, e con l'aiuto di Dylan lo era diventato anche di più e non si sarebbe lasciato sfuggire Dastan con tanta facilità, probabilmente. -Se sei tornato per rimanere dovrai affrontare il problema, prima o poi.- e di nuovo Zaira si lasciò sfuggire un altro sospiro prima di zittirsi per qualche secondo per fare ordine tra i propri pensieri.
    Non appena lei tornò a parlare, Dastan annuì e le spiegò che l'aveva lasciata sola perché voleva che riflettesse e capisse che doveva smetterla di avere determinati atteggiamenti. Zaira si stranì non poco a quella risposta, che le suonava più come una giustificazione messa su in quel momento che come una vera e propria motivazione. Evitò comunque di rispondergli perché consapevole che se fossero andati avanti a parlare in quel modo di sicuro non sarebbero arrivati molto lontano e, forse, avrebbero corso il rischio di peggiorare di nuovo le cose, motivo per cui tirò Dastan a sé per baciarlo. Zaira ci mise passione in quel bacio, convinta che, dopo tutti quei mesi lontani, l'uomo avrebbe ricambiato senza farsi pregare. E, invece, la rossa si rese conto di trovare un muro da parte dell'altro: Dastan non si era tirato indietro dal baciarla, ma non l'aveva fatto come lei si era aspettata che facesse, concedendole così un bacio che sembrava quasi forzato e poco sincero. Zaira si rese immediatamente conto che qualcosa non andava in quel momento che sarebbe dovuto essere magico per entrambi, ma non si diede per vinta subito: continuò a baciarlo sperando in una reazione da parte dell'Orso del Nord, e si staccò da lui solo quando si rese conto che non avrebbe reagito in alcun modo. Che fosse quello il tipo di reazione che Dastan le aveva criticato? Avventata e, magari, inappropriata? L'uomo la guardava con il suo solito sguardo impassibile e la rossa ricambiò l'occhiata dapprima allo stesso modo, poi inserendovi una buona dose di perplessità e, in un secondo momento, anche di frustrazione. Si guardarono in silenzio per un minuto buono, poi Zaira sbruffò e si andò a sedere sulla panca su cui fino a poco prima era stato lui. -Qual'è il tuo cazzo di problema adesso, eh?- brontolò, evitando di alzare la voce -Vieni qui e mi abbracci, poi mi dici che mi hai lasciato perché non vuoi affrontare i tuoi problemi e perché volevi che riflettessi su me stessa e adesso non ti sta bene neanche un dannato bacio?- fece una piccola pausa, scuotendo la testa ed alzando gli occhi al cielo -Vostra Maestà è pregato di illuminarmi su ciò che non va e su come vorrebbe essere soddisfatto.- concluse a quel punto, con palese sarcasmo nella voce ed un mezzo sorrisetto per smorzare un po' i toni.
    Zaira von Row @
     
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    Gli era parso di capire che Zaira volesse trattenersi dall'essere come sempre. Non si era arrabbiata quando lui l'aveva rimproverata -o almeno non così tanto come si sarebbe aspettato- e quando lui non mise enfasi nel loro bacio lei lo lasciò semplicemente stare. Che cominciassero a vedersi i primi risultati del periodo passato da sola? Anche Dastan aveva avuto modo di riflettere, e si era reso conto che era fondamentalmente un coglione. Lo era stato dal momento in cui aveva ammazzato Jason fino a quando non aveva pensato bene a come si sarebbe dovuto comportare. In quei mesi, Dastan aveva affrontato un arduo lavoro di introspezione, che l'aveva portato infine a realizzare che non ci si comportava come faceva lui. Il problema, però, stava nel cambiare: il Vigilante non era un tipo dolce ed amorevole, e raramente si scioglieva come aveva fatto con Zaira alcune volte. Non era in grado di cambiare il suo carattere, ed aver capito ciò l'aveva reso ancora più diffidente e chiuso di prima. Ora, però, stava notando come Zaira tentasse di frenarsi, di non dargli addosso e di rispettarlo. Magari ci sarebbe riuscito anche lui. Ripartire da zero non era possibile, ma almeno tentare di cambiare approccio sì, si poteva fare. La ragazza gli disse che Christopher l'aveva cercato spesso, ed era arrivato anche a Giustizia: avrebbe dovuto fare i conti con lui, prima o poi. Pensò che non gli importava di suo padre: prima di tutto, gli premeva risolvere con lei. Poi avrebbe pensato al Cavaliere. Zaira sembrava piuttosto rassegnata alle sue reazioni, ed infine si mise seduta sulla panca con le ginocchia strette e le spalle all'ingiù, evidentemente senza più speranze. Quando parlò, però, nel suo tono di voce non c'era rabbia, bensì una piccola nota d'amarezza. Gli chiese quale fosse il suo problema, e poi gli domandò come mai non gli stesse bene neanche un bacio. Poi, con un sorriso appena accennato, gli chiese che cosa dovesse fare per soddisfarlo. Dastan sospirò rumorosamente, intercettando il suo tentativo di allentare la tensione. Si diresse lentamente verso di lei, sedendosi poi al suo fianco, senza mai smettere di guardarla. Rimase così per un minuto buono, scrutando i tratti delicati di lei e rendendosi conto di conoscerli a memoria. Zaira lo guardava negli occhi, in attesa di una risposta, ed anche quello sarebbe stato un momento perfetto per dirle che l'amava.
    « Affronterò mio padre. » le disse, senza usare il nome del genitore. Avrebbe dovuto imparare a sentirlo vicino a sé, a considerarlo di più come sangue del suo sangue. Sapeva che sarebbe stato difficile, visto che ancora neanche Benjamin era propriamente una figura di riferimento per lui, ma in qualche modo ce l'avrebbe fatta. Fece una lunga pausa, poi deglutì, ancora senza mai staccare lo sguardo da lei.
    « Ma sono tornato qua per te. Per gli Indipendenti. Per il letto rotto. Per i fucili, le pistole e le balestre. Ma soprattutto per te, perché mi manchi e non posso farci un cazzo di niente. » le disse quindi. Forse si stava aprendo un poco, forse. Il vederla così rassegnata lo aveva fatto sentire un po' male, e probabilmente ciò aveva acceso una piccola fiamma in lui. Fece un'altra pausa, prendendosi del tempo, poi spostò lo sguardo davanti a sé e continuò a parlare.
    « La cosa assurda è che credevo mi mancasse il sesso. Ci sta, no? Magari con te ho un legame strano, o che cazzo ne so. Invece no. Non è il sesso. Cioè, sì, è anche il sesso. Ma... è proprio la persona, tu, che manchi. » disse, con un'espressione così confusa in faccia che una persona normale ed innamorata si sarebbe piegata in due dal ridere. Perché Dastan davvero non sapeva cosa fosse l'amore. Si strinse nelle spalle, tacendo per un momento e scuotendo la testa, poi si voltò verso Zaira e la fissò negli occhi.
    « Non farmi pentire di averlo detto, rossa. E se mai proverai a prendermi in giro ti ammazzo, lo giuro su quello che ti pare. Lo faccio davvero. » la minacciò inizialmente. Fece una piccolissima pausa, come per far entrare in testa il concetto a Zaira, poi le si avvicinò fino a sfiorare il suo naso.
    « Mi sa che ti amo. » le disse infine. Gli parve di aver sputato un polmone, tanto era stato difficile, ma l'aveva detto.
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    Dastan continuava a guardarla in silenzio e anche quando le si sedette accanto non disse nulla per qualche secondo. Una parte di Zaira sapeva perfettamente che l'uomo stava prendendo tempo, si stava preparando a dirle qualcosa, qualcosa di importante anche, ma l'altra parte di lei era urtata e profondamente risentita da quell'atteggiamento, ma soprattutto temeva che una qualsiasi mossa falsa l'avrebbe fatto allontanare di nuovo. La rossa ricambiò lo sguardo dell'altro per un po', poi si voltò a guardare dritta davanti a sé; in realtà guardava con fare disinteressato, senza vedere niente per davvero, immersa com'era nei propri pensieri. Si riscosse solo quando sentì la voce di Dastan che la informava che avrebbe affrontato il padre. Zaira si voltò a fissarlo, sfarfallando gli occhi senza dire nulla perché sapeva che non era finita, che quello era solo l'inizio di un lungo discorso. Ed infatti l'Orso del Nord prese a parlare, lasciando che le parole gli uscissero fuori dalla bocca come un fiume in piena, apparentemente fuori controllo. Le disse che era tornato per lei prima di tutto, poi per tutto il resto, perché gli mancava. Il cuore di Zaira mancò un battito: magari non ci sarebbe neanche stato bisogno di sentirselo dire, perché se Dastan era tornato sui suoi passi voleva dire soltanto una cosa, e cioè che ci teneva a lei, eppure guardarlo mentre faticava a sputare fuori quella verità, forse troppo dura per lui da ammettere, aveva tutto un altro effetto. Non lo interruppe in alcun modo, né con un sospiro più profondo, né con un sorriso o movimento alcuno, Zaira era improvvisamente diventata una statua capace solo di sentire ed elaborare le informazione che le sue orecchie captavano. Dastan continuò con il suo sfogo, dicendole che inizialmente pensava gli mancasse il sesso e nulla più, e invece aveva scoperto che si, sentiva la mancanza anche di quello, ma prima di tutto sentiva la mancanza di lei come persona. Zaira sarebbe potuta esplodere di felicità in quell'esatto momento, e l'avrebbe fatto se non si fosse imposta un po' di contegno al fine di non bloccarlo mai neanche per un secondo e fargli dire tutto quello che doveva dire. Anche perché si vedeva che stava faticando, che si sentiva confuso e disorientato in quei discorsi che, ne era certa, faceva per la prima volta, perciò un solo, stupido ostacolo l'avrebbe arrestato definitivamente, almeno per quel momento. Le faceva tenerezza e forse la von Row l'aveva dato a vedere, perché l'altro la rimbeccò subito, minacciandola di morte se mai l'avesse preso in giro per quella confessione. Zaira si mosse -per la prima volta dopo minuti che le erano parsi eterni- alzando le mani e scuotendo la testa, accompagnando il tutto con un mezzo sorriso. Ma subito dopo la rossa tornò a pietrificarsi, questa volta più di prima, perché arrivo la confessione più bella e soddisfacente, quella che aspettava da mesi e che aveva tentato di tirargli fuori in tutti i modi. Dastan le aveva detto che l'amava e sicuramente non c'era cosa più bella da sentirsi dire dopo tre mesi di lontananza; non se l'erano mai detti apertamente, ma per vie traverse ci erano arrivati entrambi a capirlo, o almeno così credeva lei che già da un po', da molto prima che lui partisse, si era resa conto di amarlo, di tenere a lui come un tempo aveva tenuto a Tommen, ecco perché la sua partenza l'aveva sostanzialmente distrutta.
    Zaira sorrise come un'ebete, come fosse stata ubriaca e non si rendesse conto di quello che succedeva. -Credevo non sarebbe mai arrivato questo momento.- bofonchiò, parlando più a se stessa che a Dastan -Soprattutto dopo tutto questo, ero anche arrivata a pensare che..- e non continuò oltre perché le parole le morirono in gola. Era anche arrivata a pensare che Dastan non l'amasse più o, addirittura, che non l'avesse mai amata e che si fosse illusa per tutto quel tempo. Una parte di lei sapeva benissimo che non era stato solo sesso, non poteva esserlo stato se non i primi mesi, poi qualcosa era cambiato, eppure Zaira non aveva potuto evitare di pensare a qualsiasi spiegazione, per orribile che fosse, per giustificare il comportamento di Dastan. -Non importa, no.- riprese a dire, scuotendo la testa e guardando per terra, poi alzò lo sguardo su di lui. Doveva sembrare una bambina davanti ad un regalo, tanto le brillavano gli occhi, ma non poteva nascondere la sua felicità, ed in più non le importava di farlo: erano soli, l'avrebbe vista solo lui, che poteva ritenersi soddisfatto di essere la fonte di quella felicità. -Il fatto è che ti amo anche io e l'ho capito mesi e mesi fa.- cominciò anche lei la sua confessione, scoprendo che, nonostante non fosse stata la prima volta in cui diceva quel genere di cose a qualcuno, faceva comunque fatica quasi quanto Dastan -E quando te ne sei andato ho pensato di aver fatto la stronzata più grossa di tutte, di aver sbagliato tutto e di essermi illusa.- alla fine sputò fuori quello che aveva provato a tenersi per sé, bloccandosi immediatamente per evitare di dire cose che l'avrebbero anche fatta sentire ridicola. Rimase quindi a fissarlo, sempre immobile e sempre con gli occhi sfavillanti di ritrovata gioia e serenità.
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    Lo sguardo che gli rivolse Zaira era pieno di emozione, tanto che le brillavano persino gli occhi. Da quello Dastan capì di essere riuscito a renderla felice, o almeno a darle una piccola soddisfazione. Si rendeva conto che parlare apertamente dei propri sentimenti era una cosa che generalmente si faceva, o credeva si facesse, tra coppie normali. Certo, non tutti erano fatti allo stesso modo, ma doveva ammettere che Dastan aveva uno stereotipo abbastanza fisso delle persone fidanzate seriamente. Non le disse niente, neanche quando lei cominciò a parlare ed ammise di aver avuto paura di essersi innamorata di lui e di non essere corrisposta. Gli disse che aveva temuto di essersi illusa ed aver sbagliato tutto. Invece Dastan era tornato: l'aveva fatto nonostante si fosse ripromesso più volte tempo addietro di non ripercorrere i suoi stessi passi e di non guardare mai indietro. Quella era la prova che era possibile cambiare, e soprattutto che era normale farlo per una persona alla quale si teneva in special modo. All'improvviso, in testa cominciò a canticchiarsi una canzone che conosceva da tempo, perché un bardo la suonava in una taverna di Indipendenza. Che stesse iniziando ad associare quelle canzonette smielate alla sua vita sociale? In qualche modo, infatti, si ritrovava nelle parole armoniose del bardo, come se avesse finalmente capito per bene il significato di alcune strofe. Sospirò, rendendosi conto di essere caduto veramente in basso, poi spostò lo sguardo da lei e fissò dritto davanti a sé la Base di Giustizia. Si avvertiva qualche rumore all'interno, come se qualcuno stesse preparando la cena. Era incredibile come tutto ciò gli desse l'impressione di essere finalmente tornato a casa, come se i tre mesi passati in quella piccola abitazione non fossero esistiti affatto.
    « Non hai tutti i torti. Non è che la nostra relazione sia proprio la cosa migliore da fare, però non me ne frega un cazzo. » concluse. Tutto d'un tratto, la malinconia cominciò ad impossessarsi di lui, ma ormai sapeva che sarebbe potuto rimanere e niente l'avrebbe più smosso di lì. Certo, bisognava tenere conto della guerra, ma in fondo l'unica cosa importante era che tutti stessero bene. A tal proposito, poi, si ricordò che non aveva ancora visitato la Base di Indipendenza. Si alzò dalla panca, facendo qualche passo, ma si ricordò di non essere più solo come un cane e si bloccò, voltandosi lentamente verso Zaira. La guardò negli occhi, aspettando qualche secondo, giusto per concepire una frase di senso compiuto.
    « Potresti prestarmi un cavallo? Devo ancora visitare Roger. » le chiese. Poi, pensandoci un attimo su, si strinse nelle spalle e scosse la testa, come se avese avuto un'idea migliore e non ci fosse modo di constatare altrimenti. « Nah, portami tu. Così gli altri ti rivedono. » concluse infine, abbozzando un sorriso. Alzò solo un angolo della bocca, il che gli donò un aspetto furbetto. Non era proprio uno che faceva attenzione a quello che gli veniva prestato, per cui era meglio che anche Zaira fosse con lui. Non voleva combinare casini.
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    Confessare quella verità, misera e semplice, le era costata più fatica di quanto mai avesse pensato, forse perché aveva quasi smesso di credere che quel momento sarebbe arrivato mai, un giorno, o forse perché si stava confrontando con una persona come Dastan. Zaira non si dava una spiegazione logica, ed in realtà non era neanche interessata a spiegarsi quella difficoltà, giacché, ormai, aveva superato l'ostacolo , come lo avesse fatto aveva davvero poca rilevanza al momento. L'uomo poi, adesso, sembrava essersi rilassato e la sua espressione si era fatta visibilmente più serena, e questo la tranquillizzava non poco. Zaira lo osservò mentre sembrava perso nei suoi pensieri, senza però chiedersi cosa gli frullasse in testa: poteva immaginarselo, visto il tipo di argomento che avevano affrontato fino a quel momento. Probabilmente pensava a qualcosa da dire. Ed infatti Dastan riprese a parlare, dicendole che il tipo di relazione che avevano loro non era dei migliori. Zaira aggrottò le sopracciglia: certo, avevano un tipo di relazione, come dire, non convenzionale, ma le sembrò esagerato definirla "non proprio la cosa migliore da fare". Insomma, stavano bene assieme, nonostante le difficoltà adesso erano di nuovo lì, a dichiararsi l'uno all'altra. Non che tutti quei mesi di distanza fossero stati dimenticati in un batter d'occhio, Zaira li teneva bene a mente e probabilmente sarebbe stato un colpo basso che mai avrebbe dimenticato, eppure non aveva mai smesso davvero di credere in lui, in loro, come se alla fin fine avesse sempre saputo che, nonostante le incomprensioni e le discussioni inutili e gigantesche che costellavano la loro relazione, lei e Dastan si sarebbero sempre ritrovati. Aveva la convinzione che fossero fatti l'uno per l'altra, e quel giorno l'uomo glielo aveva dimostrato. Evitò comunque di rispondergli, avevano pareri discordanti su molte cose e Dastan avrebbe sicuramente continuato a credere che quella relazione fosse, in qualche modo, sbagliata, quindi tanto valeva evitare discussioni inutili e spreco di tempo. Zaira abbozzò un sorriso, ma rimase in silenzio.
    Dopo poco, poi, come se si fosse reso conto solo in quel momento di avere altri conoscenti in quella parte di mondo, Dastan si alzò dalla panca, poi si voltò verso di lei e le chiese un cavallo per andare da Roger. Zaira sfarfallò gli occhi, chiedendosi se facesse sul serio: aveva già dimenticato i nomi dei suoi compagni ad Indipendenza, possibile mai? Prima che potesse fargli notare che il Capo di Indipendenza aveva tutt'altro nome, Dastan le disse che poteva portarlo lei ad Indipendenza, così la Base l'avrebbe rivista e l'avrebbe vista con lui, soprattutto. Zaira si alzò lentamente, fissandolo con un sopracciglio alzato e lo sguardo un po' da sbruffoncella. -Roger, eh?- gli disse, con tono ironico, mentre si avviava verso le stalle della Base -Non sapevo avesse cambiato nome in questi tre mesi.- Adesso sembrava quasi riuscire a scherzarci sul fattore temporale che, fino a poco prima, le aveva ricordato di quanto aveva sentito la sua mancanza in un periodo di tempo che le era sembrato pressoché eterno. Arrivando alle stalle, Zaira si avviò verso il suo cavallo, sellandolo con velocità. -Vuoi un cavallo tutto tuo, Dastan?- borbottò, con il tono di voce che continuava a rivelare il suo sarcasmo, segno di tranquillità e, perché no, contentezza -O avevi pensato ad un ritorno più d'effetto?- tirò l'ultima cinghia della sella, poi si voltò a fissare l'uomo tutta sorridente, in attesa di una risposta.
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    Vigilante • born 7.07.77 PA • Remember me
    Zaira gli passò accanto con uno sguardo divertito, come se Dastan avesse detto qualcosa di buffo. Il Vigilante la osservò, aggrottando le sopracciglia, ma la rossa continuò a sogghignare fino a quando non raggiunsero la stalla. Bene, da quello aveva capito che sì, in qualche modo sarebbero arrivati ad Indipendenza, ma perché mai si divertiva così tanto? All'improvviso, poi, si voltò verso di lui, dicendogli che non sapeva che il capo della sua Base avesse cambiato nome. In quel momento, Dastan capì perché diavolo Zaira si fosse divertita fino a quel momento: era solito sbagliare il nome di quel poveraccio, nonostante lo conoscesse da anni e fosse una delle persone più fidate che avesse vicino. Il Vigilante si strinse nelle spalle, come se non fosse un problema suo. In realtà lo era, ma gli importava comunque molto poco. Non rispose a Zaira, anche perché non avrebbe saputo dirle quale fosse il suo vero nome, anche se credeva che lei lo sapesse molto bene. Robert, Roger, Ronald... non aveva ben capito. Per quel motivo, lo chiamava in tutti e tre i modi. Uno di essi doveva essere per forza quello giusto, ma non sapeva quale fosse. Superato quel momento di ironia, Zaira gli chiese se volesse un cavallo tutto per sé o gliene bastasse uno solo. All'improvviso, il pensiero di avere la rossa così vicina a sé lo allettava: per quel motivo scosse la testa e si avvicinò a lei, guardandola negli occhi. Mise una mano sul cavallo che la ragazza aveva sellato, carezzandolo appena, poi abbozzò un mezzo sorrisetto verso la Vigilante.
    « No, andiamo con questo. » le rispose quindi, saltando su con un balzo e sistemandosi davanti. « Però lo porto io. » concluse. Non era una richiesta, era un'affermazione. Voleva avvertire di nuovo le braccia di Zaira attorno a sé, come spesso era successo durante le loro infinte cavalcate da una Base all'altra. Ormai quella, per loro, era la strada più comune e più percorsa di tutte, nonostante non fosse poi così facile e priva di ostacoli. Rigirò una briglia nella mano destra, voltandosi poi verso la ragazza, chiedendole implicitamente di salire. Tutto quello gli sembrava familiare e caldo, ma allo stesso tempo gli pareva di non farlo da una vita. Le sensazioni che provava erano simili a quelle che aveva avvertito dopo essersi risvegliato dal coma, eppure in quel momento erano più forti. Scrutava il volto di Zaira con la certezza che sarebbe rimasto accanto a lei; annusava l'aria sicuro che presto avrebbe visto i fiori sbocciare; accarezzava il cavallo sapendo di poterlo cavalcare ancora ed ancora in presenza della sua donna. Deglutì, come per cercare di trattenersi dal fare il sentimentale, anche se alla fine non aveva detto nulla di ciò che pensava. La sua testa era come un mondo a parte, e tutto gli sembrava molto più bello di quanto non fosse. Persino la stalla vecchia e semi abbandonata gli pareva un'area accogliente. Era ansioso di vedere Roger -o comunque si chiamasse- anche solo per vedere come se la stava cavando, se avesse ancora Tom e Jerry alla guardia e se gli altri fossero felici. Se gliel'avessero chiesto qualche mese prima, Dastan avrebbe risposto che non gli importava. La relazione con Zaira, invece, l'aveva fatto avvicinare ai Vigilanti di Indipendenza, che evidentemente ormai vedevano in lui una persona e non una macchina da guerra. Avvertiva il cavallo sotto di sé scalciare, come se già fosse a conoscenza della strada da percorrere.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Dastan non reagì all'appunto che lei gli fece, ma Zaira notò la sua espressione mutare per una frazione di secondo, probabilmente perché si era reso conto che la ragazza aveva ragione. Non era comunque la prima volta che Dastan sbagliava il nome del suo sottoposto. Già, sottoposto; forse una volta, adesso non più. L'Orso del Nord aveva abbandonato il suo ruolo mesi addietro e la rossa si chiese se, adesso che era tornato, l'avrebbe reclamato. Ronald se la cavava bene come Capo, era rispettato e benvoluto, e magari se tutta la situazione si fosse presentata non più di un anno prima, gli Indipendenti non ci avrebbero messo nulla a sapere con chi schierarsi, perché buona parte di loro aveva odiato Dastan. Ma poi le cose erano cambiate, tutti erano stati in pensiero quando il loro Capo lottava per tenersi stretta la vita e tutti erano rimasti di sasso quando avevano saputo che, senza dire nulla, l'Orso del Nord aveva fatto i bagagli e se n'era andato. Insomma, in un modo forse tutto, loro gli Indipendenti avevano imparato ad affezionarsi a Dastan e magari l'avrebbero voluto di nuovo come loro Capo. Zaira si arrovellò il cervello sulla questione del comando di Indipendenza per più di due minuti, poi decise di accantonarla perché, in fondo, non era affar suo: avrebbe sostenuto comunque Dastan, questo era chiaro, qualsiasi fosse stata la sua scelta.
    Gli domandò quindi se volesse un proprio cavallo, ma l'uomo scosse la testa e balzò il sella a quello che la rossa aveva appena sellato con l'intenzione di condurre lui. Zaira gli lanciò un'occhiataccia perché quello era il suo cavallo, e in quanto tale la ragazza era fortemente gelosa della bestia -come di qualsiasi altra cosa o persona avesse potuto definire di sua proprietà- e quindi non le andava molto a genio il fatto che non potesse cavalcarlo a suo piacimento. Però non le andava di mettersi a discutere, Dastan si sarebbe potuto risentire e avrebbe potuto scegliere di prendersi un cavallo per sé, quindi lei avrebbe perso l'occasione di stargli avvinghiata addosso e sentire il suo calore sulla propria pelle, una delle tante cose che in quei tre mesi le era mancata. Alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa e alzando le spalle in segno di resa, poi allungò una mano e trovò quella di Dastan ad afferrarla con prontezza ed issarla sul cavallo. Zaira gli si strinse immediatamente addosso e subito l'uomo lanciò il cavallo al galoppo, come se avesse una fretta inaudita di tornare ad Indipendenza -e non lo si sarebbe potuto biasimare, dopotutto. Era metà aprile, ma l'aria era fredda e pungente quasi quanto quella di gennaio. Zaira non percorreva quella strada da quando Dastan se n'era andato, non aveva più avuto motivo di andare ad Indipendenza in fin dei conti. Adesso sembrava quasi come se nulla fosse successo, aveva le braccia strette attorno alla vita del suo uomo, il viso appoggiato alla sua schiena e i capelli al vento, una situazione non affatto nuova alla ragazza. Eppure aveva un sapore diverso in quel frangente, nella sua semplicità Zaira percepiva quel momento come speciale e forse anche romantico come mai si sarebbe sognata di definirlo.
    I due arrivarono a Indipendenza nel giro di un'ora, quando il Sole cominciava già a calare. Zaira scese immediatamente da cavallo, sciogliendo i muscoli intorpiditi dal freddo e dalla posizione fissa che aveva tenuto. Nulla era cambiato, la Base dei Vigilanti di Indipendenza era esattamente come l'aveva lasciata; scorse volti nuovi e volti famigliari, e non appena quest'ultimi si avvidero dei nuovi arrivati si alzò un coro di voci che dicevano tutte la stessa cosa, all'incirca: "il Capo è tornato" e qualcuno aggiungeva anche "la rossa è con lui". Zaira sorrise a quelle scene, che avevano del comico in sé ma anche del tenero. Istintivamente si voltò verso Dastan, che come lei si guardava intorno respirando profondamente. -Mi sembrano più contenti di quanto avrei mai immaginato sarebbero potuti essere.- gli disse, lanciando poi occhiate qua e là. Di nuovo le tornò alla mente il fatto che Dastan non era più il Capo lì, non in via ufficiale. Aggrottò le sopracciglia, sfarfallò gli occhi un paio di volte, poi si voltò di nuovo verso Dastan. -Ti considerano ancora il loro Capo a quanto pare.- gli fece notare, poi sospirò, neanche lei sapeva bene per cosa.
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