what we left behind

25 novembre 102 PA, tramonto

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  1. ivash:kov
     
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    Viaggiare sul dorso di un drago è un’esperienza straordinaria, che pochissime persone al mondo possono affermare di aver vissuto. Eppure, dopo il secondo giorno passato lì in cima, Freya non vedeva l’ora di arrivare finalmente a destinazione. Erano partiti due notti prima, scappando nel buio dopo l’incidente (se così si poteva definire) che li aveva costretti ad allontanarsi il più possibile dalle terre dell’est, avevano volato ininterrottamente per il primo giorno, e si erano fermati in una locanda solamente la sera prima, nel tardo pomeriggio, sia perché Eldeth aveva bisogno di riposarsi, sia perché loro due non ce l’avrebbero fatta a resistere ancora per molto. Avevano macinato miglia su miglia, quindi si potevano ritenere ragionevolmente al sicuro, e Freya era talmente stanca che temeva di addormentarsi lì, allentare la presa attorno a Goron e cadere giù; si vedeva già spiaccicata contro qualche roccia, ridotta ad un ammasso di carne e niente più. Non ne poteva più.
    Dopo aver lasciato che la dragonessa andasse a cercarsi un posto per la notte, i due si erano recati nella locanda più vicina, quindi, dove avevano mangiato qualcosa di caldo (le era sembrato il pasto migliore della sua vita, sebbene consistesse in una semplice zuppa di patate con del pane raffermo) ed erano andati a dormire. Nella sua camera Freya si era infilata a letto, sollevata sentendo le lenzuola morbide al contatto con il suo corpo che si era intorpidito a causa del vento e del lungo viaggio, e, nonostante tutto il sonno che aveva avuto fino a poco prima, aveva fatto fatica ad addormentarsi. Si era rigirata più e più volte impazientemente, ansiosa di finire tra le braccia di Morfeo, e poco prima di cedere finalmente, in uno di quegli attimi in cui il tuo cervello è intorpidito e sei già un po’ nel mondo dei sogni, si era ritrovata a pensare che quel posto era troppo vuoto senza Goron. Un’idea stupida, probabilmente, ma con una specie di nostalgia al petto si rese conto che sembrava passata una vita dal giorno in cui aveva per la prima volta dormito abbracciata a lui (per motivi di spazio, certamente, solo che ad un certo punto ci aveva quasi fatto l’abitudine). La mattina dopo, comunque, si era del tutto dimenticata di quel pensiero. Aveva controllato ancora la ferita del Cavaliere, che sembrava essere peggiorata (e d’altra parte tutte quelle ore di volo non potevano avergli fatto certamente del bene), e dopo averlo fasciato nel miglior modo possibile erano ripartiti.
    E quindi, adesso Freya non vedeva l’ora di arrivare a destinazione. Goron aveva deciso che sarebbe stato troppo pericoloso andare dalla famiglia Mackintosh, perché avrebbe significato avvicinarsi troppo alle zone di guerra, e sapevano entrambi che nessuno dei due era nelle condizioni per combattere, nel caso le cose si fossero messe male; così erano diretti all’Isola dei Draghi, dove la sorella del Cavaliere l’avrebbe curato. Sarebbero stati al sicuro lì, per un po’, e questo la rincuorava, perché era decisamente stufa di scappare.
    Il sole stava tramontando; lei era stretta a Goron, stando attenta a non premergli troppo sulla ferita, e ormai aveva quasi perso la sensibilità alle mani, che, seppur avvolte in dei guanti improvvisati, erano gelide e tutte screpolate. Lo stesso valeva per il suo viso, torturato dal vento che le sbatteva in faccia e la faceva sentire come se stesse andando a fuoco, e anche per le caviglie, rimaste scoperte dalla gonna che svolazzava di qua e di la. La cosa peggiore era che Freya non aveva idea di quanto ci volesse ancora, avrebbe potuto essere un’ora come sei, e l’ultima cosa che desiderava era lamentarsi con loro e dare un’altra occasione ad Eldeth per considerarla una pappamolle. Durante quel viaggio lei e Goron avevano parlato pochissimo (d’altra parte, era evidente come lui non fosse esattamente un tipo loquace) ed aveva avuto un sacco di tempo per pensare agli ultimi risvolti, e beh, aveva deciso di non voler essere più una damigella in pericolo. Né di voler più permettere agli altri di trattarla come il suo vecchio capo, il signor Schmidt, aveva fatto per mesi. Voleva essere più forte, Freya, ma c’è una bella differenza tra l’essere forti e l’essere idioti. Aveva dei limiti, e sapeva di averli quasi raggiunti. « Se non arriveremo in fretta dovremo fermarci » urlò quindi a Goron per sovrastare il rumore del vento « Sto congelando e sono esausta. E dobbiamo controllare le tue fasciature » Sperò con tutto il cuore che lui non obiettasse, o che Eldeth non decidesse che era solamente un peso e la lasciasse andare giù -cosa di cui dubitava, comunque, perché avrebbe messo in pericolo anche il suo Cavaliere e sapevano tutti che non l’avrebbe mai fatto.
    Freya Mackintosh @
     
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    Erano ormai due giorni che erano in viaggio, due giorni in cui Goron non si prendeva seriamente cura della sua ferita che, lo sentiva, stava nuovamente peggiorando. Nulla di grave, chiaramente, ma il Cavaliere aveva ancora bisogno di cure e riposo, cosa che un viaggio come quello di certo non gli dava la possibilità di avere. Lui e Freya avevano deciso -anche se non proprio di comune accordo- di continuare finché avessero avuto la forza di reggere il volo, e con questa decisione erano andati avanti per più di dodici ore, mettendo una bella distanza tra loro e la locanda a Giustizia. Erano al sicuro, adesso, tanto che verso il tramonto, ormai quasi stremati tutti e tre -Eldeth più di tutti, visto che il lavoro più duro l'aveva svolto lei- avevano deciso di fermarsi nella prima locanda utile e poco frequentate. Goron fece un rapido conto dei soldi che avevano, e fortunatamente i risparmi della ragazza sembravano essere sufficienti per avere vitto e alloggio. Eldeth non era stata molto contenta di quella decisione, aveva fretta di raggiungere il Castello per assicurarsi che Roze curasse il suo Cavaliere, ma era tremendamente stanca e Goron lo percepiva perfettamente. -Tu devi riposare, come tutti. Non sei tenuta a fare l'eroe della situazione, e di sicuro non morirò per un giorno in più di attesa.- le aveva detto il ragazzo con fare scherzoso mentre erano ancora in volo, e la dragonessa aveva ringhiato sommessamente, facendo capire il suo completo disaccordo ma anche che si sarebbe attenuta alla decisione del suo compagno. Dopo che Eldeth se n'era andata in cerca di cibo e di un posto tranquillo dove riposare, Goron e Freya si erano cercati una locanda, avevano mangiato e poi avevano deciso di dormire in stanze separate, la qual cosa, forse e in un altro momento, avrebbe lasciato il ragazzo un po' interdetto, visto e considerato che ormai sarebbe dovuta essere una sorta di abitudine per lei il dormire insieme. E di sicuro avrebbero risparmiato qualcosa, il che sarebbe stato un bene. Ma Freya aveva chiesto due stanze singole al locandiere, ed era parsa così decisa che Goron non aveva obiettato né con espressioni di disappunto né tanto meno con le parole. Anche perché, poi, era talmente stanco che non si sarebbe curato della ragazza: si sarebbe addormentato non appena avesse toccato il cuscino, e, di fatti, così fu.
    Il giorno dopo, all'alba, Freya l'aveva svegliato e gli aveva curato la ferita e cambiato le fasciature; anche lei aveva notato che c'era di nuovo del rossore intorno alla cucitura di fortuna, nonostante ciò non fece alcun commento né provò a dissuaderlo dall'idea di ripartire quello stesso giorno, così i due si rimisero in viaggio circa un'ora dopo il sorgere del Sole. Più si avviavano verso nord più il vento freddo e pungente si faceva sentire, penetrando nelle loro ossa e costringendo Eldeth a volare ad una quota più bassa, dove spirava aria leggermente più calda. Goron era ormai abituato a quell'enorme problema che erano i venti, ma in quel momento, debilitato com'era, anche lui sentiva un freddo terribile e non vedeva l'ora di tornare a terra. Eldeth stessa gli propose di fermarsi e riprendersi un po', ma il Cavaliere aveva fretta di andare a casa e risolvere quel problema una volta per tutte. Dovettero fermarsi per pranzare, ma la sosta durò meno di un'ora e di certo non servì a riposarsi; l'unica consolazione di Goron era che, ormai, erano vicini a casa, avrebbero solo dovuto attraversare il mare e sarebbero giunti alla meta. Si rimisero quindi in viaggio subito dopo aver mangiato e raggiunsero le coste dell'Isola Verde quasi al tramonto, e non mancava molto a villa Muireadhach che Freya gli disse che non ce la faceva più, era stanca ed infreddolita e per di più voleva controllargli la ferita. Si vedeva che Goron era tremendamente stanco, probabilmente aveva un colorito pessimo ed occhiaie anche peggiori. Probabilmente fu un riflesso involontario, fatto sta che la mano del ragazzo scattò verso quella della giovane che aveva dietro di sé e gliela accarezzò come a volerla tranquillizzare. -Siamo quasi arrivati, posso vedere il Castello in lontananza!- le urlò quindi, lasciandole poi la mano. In realtà non vedeva nulla perché la visuale era limitata, ma il Cavaliere sapeva che non mancava molto. Meno di un'ora, sicuramente.
    Goron intravide casa sua -tra le tante ville sorte intorno al Castello- non appena il Sole prese a tramontare. Eldeth lanciò un grido di richiamo, probabilmente cercando la risposta del drago di sua sorella Gwyneth. -Stringiti forte, comincia la discesa.- disse il Cavaliere, avvertendo Freya che, di fatti, rinforzò la presa. La dragonessa cominciò quindi a planare gradualmente, così che il cambiamento di pressione non avesse fatto troppo male ai passeggeri, ed in pochi minuti raggiunse la villa di famiglia, atterrando nell'ampio giardino predisposto proprio ad accogliere i draghi dei due Cavalieri di casa. Non appena le zampe di Eldeth toccarono terra, la porta di casa si aprì e le due gemelle corsero fuori ad accogliere il fratello. Gwyneth saltò al collo del ragazzo senza neanche dargli il tempo di avvertirla di non farlo, e Goron barcollò appena non appena il corpo della sorella cozzò contro il suo. Ma riuscì a rimanere in piedi ed a stringere la biondina, abbracciando poi anche Rozenwyn. Sulla soglia di casa, invece, stava Isolde, sua madre, che con sguardo serio ed impassibile, ma che Goron leggeva anche come carico di amore e di felicità nel rivedere il figlio, fissava i nuovi arrivati. Lo sguardo delle tre donne, poi, si posò su Freya, rimasta su Eldeth. Goron l'aiuto a scendere, non senza fare fatica, quindi le fece segno di seguirla. Salutò sua madre con un bacio e la donna fece entrare tutti in casa, li fece sedere in salotto e poi, senza troppi preamboli, chiese spiegazioni. -Lei è Freya.- esordì quindi il ragazzo, passando in rassegna lo sguardo delle tre donne -E si è presa cura di me dopo avermi trovato mezzo morto nel bosco.- A quelle parole, Gwyneth sussurrò, mentre Isolde e Rozenwyn rimasero impassibili, lasciando però che un sospiro profondo tradisse la loro ansia. Fu Roze a parlare. -Non sei andato a farti curare, vero?- gli chiese, sagacemente, e Goron scosse la testa. A quel punto, la ragazza si alzò e fece segno al fratello di seguirlo. -Seguimi e vediamo di sistemare la faccenda.- borbottò quindi. Il ragazzo obbedì, lanciando uno sguardo veloce alla ragazza e, quindi, allontanandosi e lasciandola con sua madre e sua sorella.
    Goron Muireadhach @
     
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  3. ivash:kov
     
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    Le labbra di Freya erano così screpolate che le sentiva tagliarsi, ed un dolore quasi piacevole la affliggeva ogni volta che apriva la bocca per parlare. I movimenti ondeggianti di Eldeth avrebbero quasi potuto essere cullanti, se stare sul dorso di un drago non fosse stato così dannatamente scomodo; quando aveva immaginato avventure come quelle, da bambina (ma anche più tardi) non si era mai soffermata a pensare a quanto doloroso, stancante e terrificante potesse essere volare. Nella sua fantasia, viaggiare e vedere il mondo non comportavano alcuno sforzo, ed i pericoli erano soltanto una possibilità vaga che serviva a dare un poco di pepe alla sua immaginazione. Nessuno, nei libri che tanto amava, aveva mai descritto quanto potesse essere spiacevole passare una giornata intera in quel modo; probabilmente perché i Cavalieri dopo un po’ facevano l’abitudine a tutto quello, ma lei, per quanto fosse cresciuta e diventata caratterialmente più forte, rimaneva comunque una ragazzina di diciotto anni minuta e delicata. I draghi erano maestosi ed elettrizzanti, certo, ma i cavalli decisamente più comodi. D’altra parte, quel leggero dolore quasi piacevole la aiutava a rimanere attenta, a non cedere alla stanchezza ed alla voglia di addormentarsi; il vento che le sferzava il viso le ricordava che lasciarsi andare sarebbe stato molto pericoloso.
    Da quando erano ripartiti, quella mattina, lei e Goron avevano parlato poco, si erano fermati per una breve pausa per il pranzo (che comunque non aveva riempito il cratere che si sentiva espandere nello stomaco di minuto in minuto) e subito dopo erano ripartiti, senza permettersi di indugiare troppo. Certo, ormai erano quasi sicuramente fuori pericolo, ma il Cavaliere necessitava ancora delle cure decenti (era visibilmente peggiorato da quando erano fuggiti, due giorni prima, dalla taverna) e anche lei non vedeva l’ora di posare la testa da qualche parte e dormire. Sentiva la mancanza di casa come un pugno nello stomaco, e impiegò quelle ore interminabili ripensando alla sua famiglia, abbandonandosi a quei ricordi dolorosi come non si permetteva di fare da mesi. Fu quindi sorpresa quando Goron, come per volerle dare forza, le accarezzò la mano e cercò di rassicurarla; il Cavaliere non era certo un tipo affettuoso, e con lei aveva sempre mantenuto le giuste distanze (perfino mentre condividevano il letto, non era stato mai meno che impeccabile, senza provare una volta ad approfittarsi della situazione), eppure quel contatto fu piacevole, rassicurante. Improvvisamente le attraversò nella testa l’idea che sì, forse non sarebbero mai stati amici nel senso più stretto della parola, ma Goron ormai le voleva bene, almeno un pochettino, e sarebbe sempre stato pronto ad aiutarla. Ne avevano passate talmente tante insieme, a quel punto, che probabilmente chiunque si sarebbe affezionato; ma il pensiero di avere il suo supporto, di lui che era una persona così impenetrabile, la fece sentire in qualche modo fortunata. « Siamo quasi arrivati, posso vedere il Castello in lontananza! » la informò lui, e Freya sentì un’ondata di sollievo così forte che quasi le fece venire le lacrime agli occhi. Presti sarebbero stati al sicuro, davvero al sicuro, Goron sarebbe guarito, e da lì in poi le cose sarebbero andate meglio. Stringendosi un pochettino più forte a lui (non troppo, perché aveva comunque paura di fargli male), rimase in silenzio per un po’; ad un certo punto poi Eldeth emise una specie di ruggito che la fece sobbalzare, e subito il Cavaliere le disse che stava cominciando la discesa. Atterrarono un con tonfo, e non appena si staccò da lui, Freya vide due ragazze –due bellissime ragazze identiche- correre loro incontro, ed una di esse saltò addosso a Goron, appena smontato dalla groppa del drago, in un gesto di affettuosa gioia; lui barcollò un attimo e dopo ricambiò il gesto, rivolgendolo poi anche alla gemella. Un po’ in imbarazzo, Freya rimase in silenzio, non volendo disturbare quel momento di felicità familiare, e si limito ad osservare la somiglianza del Cavaliere con quelle due fanciulle con la donna che era apparsa sulla soglia della porta e che li guardava attentamente. Era facilmente intuibile che quella fosse la sua famiglia, perché si assomigliavano tutti molto, ed era evidente che si volessero bene. Provò un insensato moto di gelosia, sentendosi subito dopo in colpa, perché non aveva senso invidiarli solo perché loro si erano ritrovati, mentre lei era lontana dai suoi cari da mesi ormai. In fondo, era stata una scelta sua e di nessun altro.
    Quando l’attenzione del gruppo si spostò su di lei, la ragazza desiderò per un momento di essere invisibile; poi Goron la aiutò a scendere a sua volta, e Freya per un secondo barcollò, sentendo le gambe pronte a cedere per essere rimaste immobili per tutte quelle ore. Tuttavia cercò di dissimulare, non volendosi mostrare sempre come la solita, debole ragazzina; e dopo che il suo compagno ebbe dato un bacio alla madre entrarono tutti in casa, accomodandosi in salotto. A quel punto spiegò loro in poche parole come si erano conosciuti, dicendo che lei si era presa cura di lui dopo averlo trovato nel bosco. Non è andata esattamente così, pensò Freya, ma non disse niente, e rimase in silenzio mentre una delle due sorelle lo sgridava per non essersi fatto curare. Lanciandole un’ultima occhiata, Goron si allontanò con lei, e sebbene la ragazza non morisse dalla voglia di rimanere da sola con la sua famiglia, fu almeno sollevata dall’idea che finalmente sarebbe guarito. Spero che non noti il casino che ho fatto al suo fianco cercando di curarlo si disse fra sé e sé, anche se sapeva che chiunque con un minimo di occhio avrebbe visto che aveva combinato un bel disastro. Ma era riuscita a mantenerlo in vita, e quella era già una conquista.
    Rimasta sola con le altre due, Freya si guardò attorno un attimo, non sapendo esattamente cosa dire. Non avrebbe voluto piombare lì così, si sentiva come se si fosse autoinvitata in casa altrui, e sapeva che forse la famiglia di Goron avrebbe voluto potersi godere il suo ritorno senza una sconosciuta tra i piedi, ma probabilmente erano anche troppo educati per semplicemente cacciarla via. Tuttavia venne distratta dalla voce della madre, che si presentò e presentò anche le figlie; era una donna bellissima, dall’aspetto fiero di una leonessa, e si capiva perfettamente da dover Goron avesse preso non solo l’aspetto, ma anche il carattere. « E così, hai salvato la vita a mio figlio » cominciò dopo minuti di silenzio che parvero interminabili, e Freya si sentì subito in dovere di mettere in chiaro le cose. Non voleva che pensasse fosse tutto merito suo: in realtà era stata semplicemente molto fortunata, e per la metà del tempo non sapeva nemmeno cosa stesse facendo. « In realtà » rispose, schiarendosi la gola; il suo tono di voce era basso e gracchiante, probabilmente a causa del vento e delle molte ore di silenzio, « è stato suo figlio a salvare me, prima. Io ho soltanto fatto quello che potevo per aiutarlo, e non ce l’avrei mai fatta senza l’aiuto di Eldeth. » Imbarazzata, cominciò a torturarsi le mani, senza sapere bene cos’altro dire. Desiderava inconsciamente piacere a quelle persone, ma sapeva anche che probabilmente in quel momento doveva sembrare un disastro: distrutta, con i vestiti tutti rovinati, probabilmente disperatamente bisognosa di una doccia, una lunga dormita e di un pasto sostanzioso (sospettava di essere dimagrita ancora, in quegli ultimi giorni, e probabilmente di quel passo sarebbe scomparsa). « Mi dispiace molto essere piombata così a casa vostra » continuò quindi, evitando gli sguardi di entrambi e concentrandosi invece sulle sue mani, « voglio soltanto assicurarmi che Goron stia bene. » Avrebbe voluto un sacco di altre cose, in realtà, ma non aveva nessun diritto di chiedere a quelle persone di ospitarla, soprattutto perché, come aveva già precisato, tra loro due non c’erano debiti. Si erano aiutati a vicenda, e la famiglia del Cavaliere non aveva nessun obbligo nei suoi confronti. Lei aveva ancora un po’ di soldi, anche se non molti, e avrebbe potuto cercare una locanda per la notte, forse per due, se fosse stata attenta, e nel frattempo si sarebbe fatta venire in mente un piano; forse avrebbe davvero potuto finalmente tornare a casa, rivedere la sua famiglia. Anche se non sapeva nemmeno se loro l’avrebbero riconosciuta, non tanto fisicamente, quanto per la ragazza che era diventata.
    Freya Mackintosh @



    Mi vergogno come una ladra per quanto ti ho fatto aspettare ç_ç ma giuro che non è stata colpa della mia pigrizia, questa volta, ma questioni di forza maggiore! Giuro che d'ora in poi non ci metterò più un secolo c:
     
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    Goron era particolarmente legato alla sua famiglia, lo era sempre stato, anche se il legame che intercorreva tra i Muireadhach non era proprio dei più convenzionali: ogni tanto necessitavano di starsi lontani, gli scambi di aiuti di un certo peso avvenivano solo in casi di estrema necessità, così che ognuno sapesse contare prima su se stesso e poi sugli altri ed avesse una propria indipendenza. Ecco, se la situazione fosse stata diversa, se non avesse avuto una ferita pronta ad infettarsi ed a riaprirsi, probabilmente Goron non sarebbe tornato a casa propria ad elemosinare aiuto e fino all'ultimo avrebbe provato a cavarsela da solo, perché così era sempre stato abituato. Ciò non significava di certo che il Cavaliere non si fidasse della propria famiglia o che questa non fosse interessata alle sue sorti, tutt'altro: quando, nel presentare Freya, aveva accennato ad un suo essere stato "mezzo morto", le tre donne avevano trasalito, Gwen più palesemente di tutte. Sua madre era una donna troppo impassibile per esternare in modo decente qualsiasi tipo di emozione, Roze invece era una persona posata e difficilmente dava in escandescenze. Ad ogni modo l'aveva trascinato subito con sé per poterlo curare con uno dei suoi intrugli e l'ausilio dei suoi incantesimi, e Goron, anche se preoccupato all'idea di lasciare Freya insieme alle altre due donne di casa, non poté fare altro che seguire sua sorella e tornare finalmente in forma. Se fossero state in vena, Isolde e Gwyneth avrebbero fatto il terzo grado alla povera ragazza, che con tutta probabilità, vuoi per la timidezza vuoi per la giustificata riservatezza, avrebbe risposto solo ad una parte delle loro domande.
    Il Cavaliere, leggermente instabile sulle proprie gambe poiché in quel momento la stanchezza del viaggio cominciava a pesargli sulle spalle, seguì sua sorella in quello che da sempre lui definiva "il laboratorio dei pasticci", perché quando era piccola sua sorella ne aveva combinate diverse lì dentro. Erano secoli che non vi entrava, e non appena vi mise piedi notò i cambiamenti -in meglio- che Roze aveva apportato alla stanza. Goron la ricordava piuttosto funzionale, arredata con le cose essenziali quali un tavolo, un bancone con sopra ampolle, boccette e ciotole di varie dimensioni e poi scaffali di libri ed intrugli di vario genere già imbottigliati e pronti all'uso. Ma, più di tutti, ricordava una stanza buia, illuminata solo da una debole luce magica. Adesso, invece, un lato della stanza era occupato da un letto, sopra al quale, fissate alla parete, stavano delle mensole su cui stavano dei libri e qualche pianta. I banconi erano raddoppiati, e adesso su uno stavano le ampolle e le boccette vuote e sull'altro le ciotole. Lo scaffale era rimasto l'unico elemento di continuazione tra la vecchia stanza e quella nuova, la cui cosa più bella erano la dozzina di fiammelle fluttuanti in aria, che illuminavano la stanza a giorno e davano una sensazione di pace ed accoglienza. -Sei migliorata in quanto a gusti sull'arredamento, sorellina.- la stuzzicò quindi, mentre Roze gli lanciava un'occhiata divertita. -Felice di sapere che ti piace.- gli rispose lei, con la sua solita calma, agguantando un paio di fialette dal contenuto scuro e qualche garza, indicandogli poi di sedersi sul letto. Goron obbedì e, mentre la sorella finiva di prendere le cose, cominciò a togliersi le fasciature. La pelle intorno alla ferita era di nuovo arrossata, sicuramente a causa degli sballottamenti incassati in sella ad Eldeth. Roze storse il naso di fronte a tutto ciò. -Avresti dovuto aspettare che si cicatrizzasse, così non hai fatto altro che vanificare tutto il lavoro di quella povera ragazza.- lo rimproverò quindi la Strega mentre si chinava e cominciava a tamponargli la ferita. Poi gli occhi le si dorarono e Goron sentì improvvisamente una fitta al fianco, notando poi che i punti di sutura di Freya erano saltati. Aggrottò le sopracciglia ma rimase in silenzio, certo che Rozenwyn sapesse cosa stava facendo. -Erano punti di fortuna, non potevo lasciarteli.- gli spiegò poi la sorella, come se lo avesse letto nel pensiero, cosa molto probabile per altro. -Freya ha fatto quello che ha potuto, se non fosse stato per lei mi avreste rivisto solo per seppellirmi.- in modo secco e crudo, Goron non aveva trovato parole migliori per spiegare cosa era successo. In realtà, poi, non voleva neanche raccontare ciò per cui era stato ridotto in quello stato. Forse il tono di voce con cui aveva parlato aveva tratto in inganno Roze, fatto sta che il Cavaliere si sentì rispondere -Tranquillo fratellone, non volevo criticare la tua ragazza.- parole che la Strega accompagnò con un sorrisetto beffardo che portò il ragazzo a sbuffare. -Sei completamente fuori strada, Roze.- le rispose secco, lasciando cadere il discorso. Roze non disse più nulla, limitando a curare la ferita. Dopo aver spalmato l'unguento contenuto in entrambe le boccette, aver pronunciato un incantesimo di chissà che genere ed avergli poi fasciato di nuovo il tutto, Rozenwyn si rialzò e, piantando le mani sui fianchi, disse -Ecco qua, pronto per tornare a farti bello agli occhi delle altre.- Quella frecciatina portò Goron ad affilare lo sguardo, poi si limitò a ringraziare la sorella ed a tornare nella sala, sperando di ritrovare tutte e tre le donne che vi aveva lasciato.
    Freya non era scappata e, anzi, Goron la trovò a conversare più o meno tranquillamente con sua madre e sua sorella. Il Cavaliere arrivò proprio mentre la ragazza diceva alle due donne di casa che voleva solo assicurarsi che lui stesse bene. -Massimo un paio di giorni e tornerò completamente in forma, Freya.- esordì quindi, avvicinandolesi e poi sedendosi su una delle poltrone libere. Rimase in silenzio a fissare le proprie mani per un po', poi alzò lo sguardo su sua madre. -Abbiamo bisogno di rimanere qui fino a che questa dannata ferita non si chiude del tutto, così potrò riportarla a casa sua senza rischiare il collasso.- le spiegò, certo comunque che per Isolde non ci fosse nulla in contrario.
    Goron Muireadhach @
     
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  5. ivash:kov
     
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    Mentre sedeva su una comoda poltrona del salotto di quella casa, con addosso gli occhi della madre e della sorella dell’uomo con cui aveva condiviso quasi tutti i momenti peggiori della sua vita, Freya si rese conto di non sapere assolutamente nulla di Goron. Non aveva idea di quale fosse il suo cognome, né di quanti anni avesse. Fino a cinque minuti prima non conosceva neanche vagamente la sua situazione familiare, e di sicuro lui non le aveva mai parlato di sé. Certo, già di suo non era un chiacchierone, e le situazioni in cui si erano ritrovati non erano mai state particolarmente favorevoli al dialogo. Eppure, negli ultimi giorni avevano passato un sacco di tempo insieme, e pensando a lui Freya non sarebbe mai riuscita a catalogarlo come un estraneo. Probabilmente, a quel punto, la conosceva meglio di chiunque altro al mondo, e questo è tutto dire. Goron non avrebbe mai potuto essere un estraneo per lei, ma in quella stanza la ragazza si sentì comunque un’intrusa, come se si stesse infilando in un mondo che non era suo, completamente fuori luogo. Le due donne non avevano cercato di metterla a disagio, tutt’altro, ma c’era qualcosa di storto, qualcosa che non quadrava… era come una melodia suonata in chiave sbagliata: la senti, e sai che il concetto di base è giusto, ma il tuo orecchio percepisce lo stesso la differenza.
    Forse perché non particolarmente interessate all’argomento, o forse perché aveva l’aria di una che non è ad un passo dallo svenimento, Isolde e Gwyneth si trattennero dal porre a Freya le domande più legittime del tipo da dove sei sbucata fuori? e che rapporto c’è tra te e Goron?, cosa di cui la ragazza fu infinitamente grata. Non aveva voglia di raccontare la triste, stupida storia della sua vita. Fu molto sollevata, quindi, quando Goron le raggiunse in salotto con tutta la nonchalance del mondo. Freya si ritrovò a pensare pigramente che non sapeva nemmeno se lui vivesse in quella casa, di solito, o se ne avesse una tutta sua da qualche parte; forse, però, i Cavalieri di drago come lui non avevano una vera e propria dimora fissa. Sembrava perfettamente a suo agio lì, mentre le si rivolgeva per dirle che si sarebbe ripreso completamente entro un paio di giorni. Stupita, la ragazza si accorse di provare un senso di sollievo più intenso del dovuto; si rese conto che per tutto quel tempo una piccola parte di lei aveva temuto che accadesse qualcosa di veramente brutto al suo compagno. Non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se la ferita si fosse infettata; sapeva solo che, ancora una volta, sentì che stavano per venirle le lacrime agli occhi e si ritrovò a trattenerle con rabbia, stufa di comportarsi sempre una ragazzina. Goron sarebbe stato bene, e tutto si sarebbe sistemato. Non c’era bisogno di piangere.
    Nel frattempo lui si era rivolto alla madre, per dirle che avrebbero avuto bisogno di rimanere lì per ancora un po’ di tempo, e che poi lui l’avrebbe riportata a casa. Un moto di angoscia la travolse all’idea di rivedere la sua famiglia, una sensazione di panico misto a nostalgia, e cercò di non pensare a quel momento, a cosa avrebbe fatto o detto; si concentrò invece su quella stanza, e sulla madre di Goron che stava parlando, dicendo loro che avrebbero potuto rimanere per tutto il tempo necessario e che avrebbe preparato qualcosa da mangiare per loro. Freya avrebbe voluto dirle di non preoccuparsi, ma la verità era che, nonostante avessero pranzato quel giorno, aveva una fame da lupi, e probabilmente anche per Goron era lo stesso. « Non voglio essere di disturbo » si lasciò scappare in un mezzo borbottio, non troppo convinta. La parte più educata di lei, quella che era stata cresciuta per essere una signorina di buone maniere, le diceva che avrebbe dovuto cercare di essere il meno possibile un peso per quelle persone che non conosceva nemmeno; ma l’altra sua metà, quella pragmatica, era troppo stanca per preoccuparsi delle buone maniere. Aveva il viso screpolato ed il corpo tutto intorpidito, era affamata, stanca e dolorante, e per questo tornò zitta un secondo mentre Isolde si allontanava per andare in cucina. Lei avrebbe voluto dire a Goron che non era obbligato a riportarla verso casa, e che avrebbe trovato un modo per arrangiarsi da sola se lui avesse voluto rimanere con la sua famiglia, ma erano ancora presenti le sue sorelle e Freya non voleva intraprendere quel discorso con loro due presenti. La intimidivano un po’. « Mi dispiace di esservi piombata qui di punto in bianco » aggiunse soltanto, sentendo il bisogno di scusarsi per quell’intrusione. Non sapeva bene cosa dire, così si rivolse a Goron, pur sapendo che stava per combattere una battaglia già persa in partenza. « Potrei andare a stare in una taverna fino a quando non guarisci, lo sai. Per me non sarebbe un problema » Non avrebbe voluto sprecare soldi, ma ne avevano ancora abbastanza per cavarsela per un po’; comunque sapeva che Goron non gliel’avrebbe mai permesso, sia perché era troppo educato, sia perché era, in un modo tutto suo, perfino protettivo nei suoi confronti.
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    -Prendetevi tutto il tempo che vi occorre, Goron.- Come previsto, Isolde non ci aveva pensato due volte a dar loro il suo consenso. Probabilmente, pur di avere il figlio in casa per qualche giorno consecutivo, quella donna avrebbe accettato quasi ogni tipo di compromesso. In quel caso non c'era nulla di veramente impegnativo o difficoltoso, si trattava di avere un'ospite in casa per una settimana al massimo, e la casa dei Muireadhach era piuttosto spazioso e con due camere per gli ospiti, perciò Freya non avrebbe potuto costituire un problema in alcun modo. In più, Goron se la immaginava già mentre cercava di rendersi utile, ma senza successo perché Isolde non le avrebbe permesso di fare nulla. Lei era l'ospite, ed in quanto tale era sacra. La padrona di casa aveva usato un tono piuttosto cordiale ed amorevole, e Goron era certo che non stesse affatto mentendo, tanto che le rivolse un sorriso di gratitudine. -Questa sera mangeremo un po' di stufato, vado a dare disposizioni e mi metto all'opera. Roze, ho bisogno di te per accelerare un po' i tempi.- aveva poi aggiunto la donna, alzandosi all'improvviso dalla poltrona su cui si era accomodata. Sua madre sapeva sempre come conquistarlo e farlo felice: Goron amava lo stufato, soprattutto amava quello di sua madre, quello che aveva il sapore di casa. Era un tipo indipendente, abituato da molto tempo a trascorrere la vita in compagnia della sua fidata Eldeth e, occasionalmente, di qualche ragazza -occasioni che duravano una sola notte, per intenderci- ma il Cavaliere sentiva di tanto in tanto la mancanza della propria casa, della propria famiglia e, perché no, anche dell'essere servito e riverito. Nella bella villa dei Muireadhach era sempre stato presente un rigore piuttosto accentuato, la disciplina era un elemento fondamentale per Bravelaer, che l'aveva insegnata ai suoi figli l'uno dopo l'altro. E quella era una delle poche cose che Goron non aveva mai rimpianto. Certo, lui era un tipo disciplinato e piuttosto rigido, che non transigeva su alcune delle sue "regole personali", ciò nonostante l'educazione piuttosto ferrea che regnava in casa sua non era mai riuscito a sopportarla. Era sempre stata eccessiva per lui, si era sempre sentito oppresso dalle troppe regole, dalla precisione e dall'attenzione che i suoi genitori richiedevano per ogni dannata cosa. Se si era allontanato da casa era stato anche per questo motivo. Ma casa propria era casa propria, avrebbe potuto odiare ogni singolo mattone di quella villa, ma sapeva che vi avrebbe sempre fatto ritorno, di tanto in tanto, perché era lì che era cresciuto, era lì che i suoi affetti più cari vivevano, era lì che aveva un vero motivo per ritornare e per stare, anche se per un tempo limitato.
    Alle parole di Isolde, Freya rispose con tono mortificato e dicendo di non voler essere un disturbo per nessuno, e la donna la zittì con un gesto della mano. -Non preoccuparti tesoro, non sei di alcun peso.- le rispose, sorridendole con fare leggermente malizioso che non sfuggì a Goron, il quale temette immediatamente per ciò che sua madre avrebbe aggiunto di lì a poco. Isolde lanciò un veloce sguardo a suo figlio, poi tornò a piantare i suoi occhi in quelli di Freya. -E poi Goron non porta una ragazza a casa dai tempi dell'accademia, perciò sei un'ospite più che gradita.- A quelle parole, il Cavaliere indurì lo sguardo, fulminando sua madre che, però, parve ignorarlo. La donna sparì immediatamente dalla stanza, lasciando i quattro giovani da soli, immersi in un silenzio imbarazzante rotto solo da un paio di respiri di Goron più pesanti di altri. Sua madre che non tirava fuori la sua vena sarcastica era un'utopia, un sogno, qualcosa che non sarebbe mai potuto accadere nella realtà perché Isolde sembrava sentire il bisogno di fare battutine scomode e mettere in difficoltà i suoi interlocutori. Lo aveva sempre fatto, per tutto e con chiunque, una cosa che Goron aveva sempre odiato e le aveva sempre rimproverato. Inaspettatamente, comunque, fu la timidissima Freya a rompere il silenzio. Il Cavaliere alzò lo sguardo su di lei mentre quella si scusava nuovamente con le gemelle per l'essere piombata in casa loro senza un minimo di preavviso, poi si rivolse direttamente a lui dicendogli che avrebbe potuto soggiornare in una taverna qualsiasi senza problemi. Goron storse il naso immediatamente. -Credi davvero che ti lascerei mettere piede in una taverna, che ti farei stare lì da sola per la seconda volta?- le rispose, con fare in parte beffardo ed in parte scocciato. Dopo quello che il ragazzo sapeva Freya aveva passato durante quei mesi alla taverna, era più che logico che non volesse lasciarla lì di nuovo. -Non devi preoccuparti di nulla, mia madre ha questo brutto difetto di aprire bocca e darle fiato, ma non è una cosa che fa così spesso, sa anche conversare pacificamente.- la rassicurò, per poi sorridere per smorzare un po' la tensione che gli sembrava di percepire. -E poi la casa è grande, anche troppo per sole quattro persone.- Gwyneth venne in soccorso del fratello praticamente subito, parlando con entusiasmo -Avrai la tua stanza e non dovrai preoccuparti di nessuno di noi.- aggiunse. Goron annuì soddisfatto, rivolgendo un "grazie" silenzioso alla sorella. -Anzi, sarebbe il caso che tu le mostrassi la stanza degli ospiti, Goron.- gli suggerì quindi Roze, alzandosi -E magari le puoi far fare anche un giro veloce della casa. Lo avrei fatto volentieri io, ma devo raggiungere mamma prima che diventi isterica.- scherzò la Strega, prima di allontanarsi. -Ti prendo gli asciugamani puliti, allora.- disse Gwen, alzandosi con uno scatto e schizzando via. Goron sfarfallò gli occhi, inebetito per una manciata di secondi, poi si riscosse e, lentamente, si alzò anche lui. -Hanno ragione, l'ospitalità prima di tutto.- borbottò, citando sua madre anche se Freya non se lo sarebbe potuto immaginare. Seguimi.- aggiunse quindi, semplicemente, avviandosi verso il corridoio che conduceva alle camere da letto.
    Goron Muireadhach @
     
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