Nunc per ludum, dorsum nudum, fero tui sceleris.

17 Maggio 103 PA, intorno alle 23, base dei Vigilanti

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    A quanto pareva, quella giornata era partita in modo storto ed era finita altrettanto male. Aveva detto a Zaira di trasferirsi da lui, qualche settimana prima, e così aveva fatto; il problema, però, stava nel suo letto. Entrambi si muovevano piuttosto agitatamente, di notte, e non era raro che si colpissero involontariamente. Quella mattina, dunque, Dastan si era alzato piuttosto confuso, come se in realtà non avesse dormito così tanto. Ne aveva avuto la conferma guardando fuori dalla finestra: il sole stava sorgendo, per cui doveva essere stato sicuramente prestissimo. In cucina, poi, non aveva trovato quasi nulla da mettere sotto ai denti se non un pezzo di dolce che aveva fatto la madre di qualcuno, anche se ormai era diventato secco e forse un po' ammuffito. Il Vigilante l'aveva buttato giù lo stesso, dunque si era poi ritrovato a passare metà mattina a vomitare dietro ad un cespuglio, in mezzo al bosco gelato. Pur essendo maggio, ancora faceva piuttosto freddo, specialmente a quell'ora. Dopo aver speso un paio d'ore a dare di stomaco, dunque, aveva deciso di coprirsi per bene e di infilarsi a letto, ma si era accorto che Zaira stava ancora dormendo, quindi si era diretto verso il divano. La sala era in ordine, eppure aveva avvertito qualcuno russare poco lontano. Facendo il giro del divano, infatti, aveva trovato Ronald completamente spalmato sui cuscini, con la bocca aperta e la strega bionda di Giustizia addosso. Si accorse solo successivamente che quella era a petto nudo, e che si stava servendo delle braccia del Vigilante come coperta. A Dastan venne istintivo portare gli angoli della bocca all'ingiù, annuendo lentamente, come a complimentarsi col suo secondo in comando. Non l'aveva mai visto con una donna, eppure sembrava aver fatto colpo. Si era spostato poi di fuori, in giardino, e si era coperto alla bene e meglio. Proprio quando il sonno sembrava volerlo raggiungere molto presto, una figura era comparsa poco lontano, sul sentiero battuto. Si era rivelato essere un militare: suo padre aveva bisogno di parlargli. Dastan si era quindi vestito meglio, aveva sellato il cavallo ed era partito alla volta di Giustizia. Era arrivato intorno a mezzogiorno, e Benjamin l'aveva accolto con un abbraccio e tante, tantissime parole. Sostanzialmente, suo padre aveva voglia di discutere riguardo decorazioni ed altre fantasticherie, come se lui fosse quello incaricato. In realtà, lasciava la scelta libera a Zaira, sia perché lui non ci capiva assolutamente nulla di certe cose, e sia perché, semmai avesse scelto qualcosa che non le andasse bene, sicuramente si sarebbe ritrovato senza le dita delle mani, o peggio. Si era dovuto sorbire discorsi futili per quasi due ore, poi il suo vecchio l'aveva invitato a pranzo. Approfittando del suo livello e, soprattuto, del suo gusto sopraffino, Dastan aveva accettato. Avevano mangiato in una locanda dove non si sarebbe mai sognato di entrare: troppo elegante, troppo pretenziosa. Eppure, il cibo era ottimo. Dopo l'abbuffata, il Vigilante era rimontato in sella, cercando di dire al padre che no, non avrebbe scelto il colore dei fiori -non quel giorno, almeno. La strada per Indipendenza gli era parsa infinitamente più lunga di quanto non fosse, ed al suo arrivo aveva trovato due Indipendenti sanguinanti e con un paio di denti rotti. Gli avevano dunque spiegato che c'era stata una rissa al confine con Onore, ma gli avversari erano di Libertà. Gli avevano chiesto di ripartire tutti assieme ed andare a dargli una lezione, dunque Dastan non aveva avuto modo neanche di rientrare e dare un bacio alla sua donna. Di nuovo in sella, aveva cominciato a sentire la testa battergli insistentemente, probabilmente avvisandolo che gli sarebbe venuta una bella emicrania. Giunti sul luogo, avevano cominciato ben presto a fare a botte: i Liberi non gli erano sembrati troppo inclini alle chiacchiere, ma quasi sicuramente erano lì solo per picchiare. Era strano vedere gente di una Fazione così lontana proprio lì, per cui aveva dedotto che fossero semplicemente dei combinaguai. Alcuni lo facevano, e ricordava di aver viaggiato fino alla parte più a sud di Onore proprio per confrontarsi con gli altri. Dopo svariate parolacce, dunque, Dastan aveva iniziato a menare come era solito fare, mettendone uno al tappeto e costringendone un altro ad implorare pietà. Un terzo l'aveva beccato proprio su uno zigomo, che gli era diventato quasi istantaneamente viola, ma poi era perito quasi subito sotto ai suoi colpi. Per festeggiare la vittoria, dunque, i ragazzi avevano proposto di mangiare fuori e bere un po'. A quel punto, Dastan si era reso conto di essere veramente sfinito, quindi aveva accettato l'invito: un po' d'alcol l'avrebbe aiutato a cavalcare, al ritorno. Avevano dunque passato la serata lì ad Onore, mangiando -anche se non poi così tanto- e bevendo. Quando ne aveva avuto abbastanza, poi, aveva detto agli altri che sarebbe tornato ad Indipendenza da solo. Un altro paio d'ore di cavalcata terminarono lo sfinimento.
    Il Vigilante arrivò alla Base totalmente in confusione: la testa gli batteva forte, i muscoli gli dolevano e lo zigomo pulsava come se volesse scoppiare. Sospirò, scendendo da cavallo e massaggiandosi per un momento le tempie. Legò la bestia ad un paletto, poi si frugò nelle tasche alla ricerca di una sigaretta. Non vedeva Zaira da quella mattina: non aveva avuto il tempo neanche di salutarla. Sperava che fosse lì, almeno sarebbero stati un po' insieme. Si portò la stecca di tabacco alla bocca, sedendosi sulle scale. Cominciò a fumare piuttosto lentamente, strofinandosi il viso con una mano. Non ne poteva più, voleva dormire e basta. Certo, lo avrebbe fatto con Zaira, il che significava calci e pugni, ma comunque sarebbe stato nel suo letto. Quando la sigaretta finì, Dastan la gettò a terra e la spense con un piede, stiracchiandosi. Aprì la porta principale facendo piano, temendo di svegliare qualcuno, poi se la chiuse alle spalle. C'era una luce fioca che proveniva dalla sala, ed il suo istinto gli suggerì di seguirla: su una poltrona, Ronald dormiva come un ghiro. Nessuna traccia della biondina di quella mattina. Si strinse nelle spalle, accostando la porta. Qualcosa, però, catturò la sua attenzione: sembrava provenire dalla stanza del tizio nuovo, un certo Craig. Si era trasferito da Giustizia ad Indipendenza perché aveva detto di voler seguire quello che il suo cuore gli diceva, dunque Dastan l'aveva aiutato. Anche lì c'era una luce piuttosto debole che tremolava, presumibilmente era quella di una o più candele. Avvertiva come dei sospiri, o dei lamenti; non sapeva spiegarselo bene. Si avvicinò molto lentamente, facendo estremamente piano. Si accostò alla porta -che era socchiusa- e provò ad ascoltare quei rumori. Qualcuno -probabilmente una donna- sembrava lamentarsi di qualcosa, e poteva chiaramente avvertire Craig sussurrare. Le parole gli giungevano sfumate e confuse, per cui non poté mettere insieme un discorso. Avvertì un rumore di tessuti che sfregavano, come se si stessero spogliando o vestendo, poi il Giusto ridacchiò. Qualcosa sembrava non quadrargli: non aveva idea del perché stesse ascoltando quella cosa, eppure non si sentiva tranquillo. Fu una piccola, breve parola strascicata a fargli gelare il sangue.
    Dastan. La donna aveva appena detto il suo nome. Avrebbe riconosciuto quella voce in qualsiasi situazione, ed a milioni di chilometri. C'era solo una persona che lo chiamava in quel modo, con quel tono e con quel timbro: Zaira. Con un botto repentino, il Vigilante spalancò la porta, facendola sbattere contro la parete. Si gettò nella stanza, trovando Craig sdraiato sopra la rossa che lo guardava sbigottito. La Giusta, invece, sembrava totalmente assente: aveva un braccio lungo il letto, con il quale arrivava a toccare per terra con la mano. Le gambe erano aperte ed i pantaloni riversi fino ai piedi, la camicia sbottonata. Ci mise un secondo a realizzare che cosa stava accadendo: quello che aveva davanti era uno scempio. Craig lo fissava con gli occhi sgranati, evidentemente terrorizzato, eppure non tolse la mano dalla bocca della rossa. Ben presto, Dastan ne era certo, quel tizio sarebbe morto per mano sua.
    Dastan Dauthdaert @
     
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    Quella giornata aveva avuto un inizio lento. Appena aveva aperto gli occhi quella mattina, Zaira si era ritrovata sola nella stanza di Dastan -che ormai era diventata anche un po' sua- perché il suo uomo si era svegliato presto -le era addirittura parso di sentirlo- e poi era stato convocato da Benjamin per chissà quale motivo. Ad Indipendenza, poi, non c'era proprio nulla da fare, non per lei almeno; se non c'era Dastan con lei, la rossa si aggirava per la Base come un'anima in pena, alla ricerca di un passatempo qualsiasi, anche il più stupido, qualsiasi cosa pur di tenersi impegnata. Ma non la trovava mai. Non poteva neanche andare a pattugliare i confini: verso Giustizia le acque erano ormai calme da un anno, non avrebbe assolutamente avuto nulla da fare ad est se non tornare dai suoi compagni o dalla sua famiglia; al confine con Onore, invece, Zaira aveva deciso di non avvicinarsi, almeno per il momento. Da quando Sam aveva perso la vita nella maledetta Base dei Valorosi, la Giusta si era riscoperta restia ad avvicinarsi al confine, ma non per questo l'aveva evitato; da due settimane a quella parte, invece, ossia da quando la sorella del Moro aveva preso il controllo della Base che prima era stata di suo fratello, Zaira aveva scelto di rimanere lontana da quelle zone, perché sapeva che se mai la Mora avesse dato ordine di catturarla per usarla contro Dastan, lei non se lo sarebbe mai perdonato. Perché era chiaro che lei fosse diventata il maggior punto debole del Capo di Indipendenza, così come lui lo era per lei. Non avrebbe messo a rischio il ruolo dell'Orso del Nord né tanto meno la sua vita, non per motivi futili e legati semplicemente alla noia. Certo, se ce ne fosse stato bisogno non si sarebbe tirata indietro dal fare una ronda ad ovest, in fondo era ancora una Vigilante a pieno titolo e quello era il suo compito, ma per il momento c'erano ragazzi e ragazze a sufficienza in quella zona, e lei faceva meglio a tenersi alla larga da ogni eventuale pericolo.
    Se solo, però, Zaira avesse immaginato che un pericolo non indifferente si trovava nascosto entro le quattro mura della Base di Indipendenza, probabilmente quel giorno -o meglio, quella sera- non avrebbe finito con l'ingannare il tempo bevicchiando qualcosa in compagnia di altri Indipendenti. Si, perché in mancanza di cose da fare e della voglia di sellare il cavallo per raggiungere Giustizia -dov'era stata due giorni prima, per altro- l'unica cosa che le era rimasta da fare era stato mettersi a fare quattro chiacchiere con un paio di streghette fallite -come le chiamava lei- tre ragazzini di appena sedici anni che si erano uniti da un paio di giorni al gruppo e che ancora non ci si arrischiava a mandare al confine, e Craig, un ragazzo che da Giustizia era passato ad Indipendenza dopo quattro o cinque giorni da che lei aveva lasciato la Base. Il gruppetto, insomma, aveva passato il pomeriggio a parlare del più e del meno, avevano lucidato i fucili quando gli argomenti per portare avanti la conversazione erano finiti, e poi, dopo cena, una delle streghe aveva tirato fuori una bottiglia di whisky da lei modificato con qualche erba o qualche strano incantesimo di cui la rossa, ovviamente, non era a conoscenza. Zaira aveva assaggiato quella bevanda con un po' di timore e scetticismo, perché l'idea di un alcolico modificato -probabilmente reso più forte- con la magia non le andava molto a genio, ma la curiosità l'aveva comunque fatta da padrona. Quella roba era tremendamente forte, e la Giusta se ne accorse subito dopo il primo sorso, ma era anche buona, tanto che, non appena finite le due dita di whisky che aveva nel bicchiere, la ragazza ne prese dell'altro, totalmente non curante della testa che si faceva via via sempre più leggera, della risata che via via si faceva sempre più facile ed acuta o delle cose intorno a lei che iniziavano ad avere dei contorni sempre più sfuocati, ai suoi occhi. Complice di quella che stava per trasformarsi in una vera e propria sbornia fu Craig: quel giorno quel ragazzo non l'aveva mai abbandonata, neanche per un secondo si era allontanato da lei, e quando la strega aveva tirato fuori la bottiglia di whisky era stato lui a convincere la rossa ad assaggiarlo, lui a versargli ogni singolo goccio di alcol nel bicchiere, bevendo giusto qualche sorso e lasciandole poi la propria parte.
    Dopo l'ennesimo bicchiere, ma soprattutto dopo aver finito l'intera bottiglia, il gruppetto si era sparpagliato: c'era chi era andato a vomitare, chi si era trascinato sulla prima poltrona a portata di mano e si era addormentato. E poi c'era lei, che dopo essersi alzata e poi essere ricaduta sulla sedia su cui stava, aveva chiesto a Craig di accompagnarla in stanza perché così avrebbe dormito -o almeno finto di dormire- così che al suo ritorno Dastan non si sarebbe accorto di nulla. Pur essendo ubriaca, infatti, Zaira sapeva benissimo di aver fatto qualcosa che avrebbe fatto arrabbiare il suo uomo, si sentiva sporca per aver esagerato in quel modo e quindi voleva tentare di nasconderlo come meglio poteva. Craig, comunque, le aveva passato un braccio intorno alla vita e, lentamente, l'aveva trascinata in camera. Solo non in quella di Dastan, bensì nella propria. Zaira chiaramente non aveva fatto caso a nulla, o meglio, aveva avuto la sensazione di non essersi diretta nella solita direzione, di vedere un arredamento diverso rispetto al solito, per quanto comunque essenziale, ma sapeva anche di non potersi fidare eccessivamente delle immagini che il suo cervello le restituiva, quindi non aveva opposto troppa resistenza. -Questo maledetto letto è più scomodo del solito.- aveva poi biascicato la rossa dopo essersi distesa su un materasso che sapeva non essere il solito: troppo stretto, troppo corto, troppo diverso. Craig, intanto, si era seduto sul bordo del letto, accanto a lei, e le accarezzava un braccio, fissandola in silenzio. In un primo momento, Zaira quasi non si accorse di nulla, poi, quando se ne rese conto, prese a fissare il ragazzo e si sforzò il più possibile di mettere a fuoco il suo viso, scoprendovi una strana espressione dipinta sopra. Qualcosa le stava sfuggendo. Non appena, però, provò a parlare, Craig le poggiò un dito sulle labbra per farle capire di rimanere in silenzio, e con quello stesso dito tracciò poi il contorno della bocca di lei, poi le accarezzò una guancia.
    -Perché non concludiamo la serata nel migliore dei modi, eh?- le sussurrò poi lui, avvicinando il proprio viso al suo e mettendosi subito dopo su di lei. Zaira ci mise diversi secondi ad elaborare quella semplice frase e rendersi conto di cosa stava succedendo, tempo durante il quale Craig aveva preso a sbottonarle la camicia. La rossa cercò di biascicare qualcosa, ma l'unica cosa che uscì dalla sua bocca furono dei lamenti indefiniti. Cercò di ribellarsi, di sottrarsi all'ex-Giusto, ma senza successo: non aveva la forza necessaria per sopraffare Craig, ed infatti non riuscì a smuoverlo neanche di un centimetro. L'unica cosa che poteva fare, sostanzialmente, era cercare di chiamare aiuto, di attirare l'attenzione di qualcuno della Base, qualcuno che le venisse a togliere di dosso quello schifoso approfittatore. Ma non riuscì a fare neanche quello, non prima, almeno, di rendersi conto che Craig le aveva sbottonato anche i pantaloni, anzi, glieli aveva quasi sfilati. A quel punto, forse in una forma di autodifesa, Zaira ritrovò un po' di lucidità, sufficiente a farle pronunciare un'unica parola, un unico nome, un urlo leggero ma disperato con cui riuscì a superare le parole indefinite che Craig le stava sussurrando all'orecchio. La rossa riuscì a chiamare Dastan un paio di volte, poi l'uomo sopra di lei le tappò la bocca con una mano, mentre con l'altra fece per afferrarle le mutandine ed abbassargliele, ma senza successo. Nella stanza risuonò un tonfo sordo e la porta si spalancò. Zaira girò la testa in direzione del rumore che le era arrivato in modo decisamente ovattato alle orecchie, non riuscì a mettere a fuoco la figura che si stagliava sulla porta ma era abbastanza sicura che fosse l'Orso del Nord. Improvvisamente, poi, Zaira non sentì più il peso di Craig che la teneva incollata al materasso. Riuscì a vedere il ragazzo che veniva sbattuto per terra con violenza, poi le immagini cominciarono a farsi sempre meno vivide e lei, pur rimanendo sveglia -o quasi- non si rese minimamente conto di ciò che stava accadendo in quella stanza.
    Zaira von Row @


    Edited by varden - 15/4/2015, 23:21
     
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    Non avrebbe mai potuto immaginare che si sarebbe sentito nuovamente in quel modo. Quell'odio bruciante, quel nervosismo insistente e quella rabbia decisamente palpabile si erano di nuovo impossessati di lui. Non era mai stato un tipo troppo amorevole, doveva ammetterlo, ma da quando stava con Zaira si era un po' calmato. Le sensazioni che aveva provato quando aveva scoperto di Jason erano nulla in confronto a ciò che stava effettivamente sperimentando sulla pelle in quel momento. Gli sembrava di esplodere, e probabilmente gli sarebbe venuta la febbre da cavallo anche solo per l'agitazione che aveva in corpo. Quel ragazzetto voleva non solo agire alle sue spalle, ma oltretutto approfittarsi di una donna inerme, sola e decisamente fuori di sé. Si notava chiaramente che Zaira aveva preso qualcosa, e sperò che fosse solo alcol. Inoltre, quella era la sua donna, non una tizia comune. Avrebbe potuto sfogare le sue voglie malate su qualsiasi altra persona, lì dentro, eppure aveva scelto la rossa: l'affronto gli pareva decisamente personale. Probabilmente, comunque, il ragazzetto si accorse della rabbia che ormai infiammava le iridi di Dastan, perché spalancò la bocca ed indietreggiò appena con la schiena: sapeva di essere in trappola, e anche di essere spacciato. Il primo gesto che al Vigilante venne istinivo fu di afferrarlo per la blusa, ed effettivamente così fece. In un balzo, l'Orso del Nord -perché quello era diventato- gli si fece vicino, strattonandolo così forte da lacerargli la maglia. Lo scaraventò a terra, facendogli battere la schiena e la testa. Non si curò minimamente di Zaira, perché quello sarebbe venuto dopo. Il tizio si portò velocemente una mano dove aveva sbattuto, gemendo appena. Dastan avvertì passi veloci in lontananza: probabilmente, a causa del botto, la Base si stava svegliando. Non gli importò neanche di quello. Che vedessero tutti che fine avrebbe fatto quello sporco traditore. Gli occhi del Vigilante erano fissi sulla sua faccia dolorante, ed erano così arrabbiati che neanche sbatteva le palpebre. Quello tentò di rimettersi in piedi, aggrappandosi al comodino, ma Dastan lo acchiappò nuovamente per la blusa e se lo portò vicino al volto, sollevandolo da terra. Gli era così appiccicato che sentiva il suo respiro affannoso sulla faccia. Il biondino prese le mani di Dastan cercando di aprirgliele e trovare una scappatoia, ma le dita del ragazzo erano serrate attorno al tessuto. Lo sguardo del Giusto, improvvisamente, si fece allarmato.
    « Oh, andiamo, amico! Non le avrei fatto niente! Lo giuro! » si scusò, ancora tentando di scendere da dove era. Era chiaro che stesse mentendo, e lo stava facendo di fronte ai suoi fottutissimi occhi. Era lì, lo aveva visto, e gli erano persino rimasti i pantaloni slacciati. Come aveva potuto dirgli una bugia in una situazione come quella? Aveva firmato la sua sentenza di morte. Dastan lo lasciò andare all'improvviso, gettandolo addosso al muro. Quello rimbalzò appena, gemendo di dolore a causa della schiena. Se credeva che fosse finita lì, si sbagliava. Il biondino si aggiustò il colletto, deglutendo e guardandosi attorno alla ricerca di un posto dove sgattaiolare via. Il colpo di Dastan, tuttavia, lo raggiunse dritto in gola. Il suono attutito del pugno, seguito da un gorgoglìo non propriamente rasssicurante, furono inaspettati. Qualcuno, alle sue spalle, gridò; a qualcun'altro si mozzò il fiato; altri ancora scapparono. Il Giusto caracollò a terra, reggendosi la gola in un tentativo di rimettere a posto ciò che l'Orso del Nord aveva chiaramente spostato. Anche se Dastan non lo sapeva, probabilmente gli aveva spezzato la trachea. Quello ansimava ed annaspava a terra, aggrappandosi a qualsiasi cosa pur di muoversi. Lo sguardo dell'Indipendente era serio, ormai gelido e decisamente oscuro. Qualcosa si era risvegliato in Dastan, un'ombra antica che aveva vegliato sulla sua vita fin da quando era stato ammesso nell'Esercito. Il vecchio Dastan Dauthdaert, quello che aveva ammazzato Jason a suon di pugni, aveva scavalcato l'altro Dastan, quello nuovo che stava per diventare un marito, e si era impossessato del suo corpo. Il biondino si accasciò vicino al davanzale della finestra, e ciò non fece altro che fomentare il Vigilante: era nella posizione perfetta per una morte rapida ed indolore. Certo, stava soffrendo, ma quella parte se l'era meritata. Con un ultimo, forte calcio, l'Orso del Nord sfondò il cranio del malcapitato, che cominciò a grondare di sangue ed bagnare il pavimento. Un grido più forte degli altri si levò all'improvviso, poi qualcuno scappò via. Avvertì la voce di Ronald richiamare i Vigilanti ed afferrarli per portarli via. Poteva sentire benissimo il rumore della stoffa delle bluse che veniva sfregata, il suono delicato della pelle che tocca altra pelle. Il silenzio che regnava lì dentro era irreale. Il corpo del biondino emettiva gorgoglii ed altri rumoracci, probabilmente dovuti alla ferita alla testa, eppure Dastan non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. L'aveva fatto di nuovo. Aveva ammazzato una persona, un ragazzino. Un maledetto ragazzino. Come poteva essere così duro con se stesso e con gli altri? Ma soprattutto, che tipo di padre sarebbe stato? Non era un brav'uomo, e probabilmente mai lo sarebbe diventato. Non era un buon esempio da seguire, né per dei bambini né per i ragazzetti della Base, che ora lo fissavano con un'espressione terribilmente scioccata. L'Orso del Nord si voltò lentamente verso di loro: era pulito, perché nessuno schizzo di sangue l'aveva raggiunto. Eppure, si sentiva tremendamente sporco. Si domandava spesso perché certe sensazioni non lo raggiungessero prima che facesse qualche cazzata, ma si era anche risposto da solo: la rabbia lo acciecava. Dastan arrabbiato era qualcosa di imprevedibile, di oscuro e di crudele. Non era in grado di distinguere tra chi doveva vivere -anche solo per diritto, come i ragazzini, che avevano ancora una vita davanti- e chi invece sarebbe dovuto morire per forza. Ronald aveva gli occhi sgranati ed uno sguardo tremendamente allarmato, ma era solo. Zaira era ormai priva di sensi, e fu lieto della cosa. Improvvisamente, l'espressione di Dastan cambiò e si fece triste. Quando raggiunse nuovamente gli occhi di Ronald, piangeva. La stanchezza della giornata e l'adrenalina erano crollate addosso a lui all'improvviso, facendogli rendere conto di che cosa diavolo fosse successo. Il moro gli si avvicinò, abbracciandolo all'improvviso e sconvolgendolo.
    « Ma cosa hai fatto, Capo? Cosa hai fatto? » gli chiese, sussurrando. Anche lui piangeva come un ragazzino. Sapeva quanto quel tipo gli volesse bene, e faticava ancora a capire perché. Entrambi si sfogarono in quel momento, lasciando che le lacrime gli rigassero le guance. L'Orso del Nord piangeva in silenzio, senza neanche singhiozzare, mentre Ronald non sembrava in grado di trattenersi. Dopo tutto quello che gli era successo, d'altronde, non poteva biasimarlo. Gli ci volle qualche minuto per ristabilirsi e per asciugarsi le lacrime, ma nessuno dei due disse nulla. Dastan si sentiva stordito, terribilmente stanco e triste. Il moro aveva tacitamente deciso di occuparsi del corpo, e fu lui a sollevarlo e portarlo via. L'Orso del Nord, invece, si mosse verso Zaira, inginocchiandosi vicino a lei. Sembrava dormire nella più totale tranquillità, ed il suo gesto più istintivo fu di avvicinare l'orecchio alla sua bocca e sentire se respirasse. Fortunatamente, la rossa era nel mondo dei sogni. Rimase lì ad osservarla senza fare nulla per qualche minuto, come se non l'avesse mai vista prima di quel momento. Alla fine, poi, allungò una mano tremante e le carezzò appena una guancia con le dita. Le si avvicinò, poggiando il viso contro il suo e carezzandogli i capelli con la mano. Le dette un bacio leggerissimo sulla bocca, poi si alzò e la prese in braccio. La portò nella sua stanza e la mise sul letto, coprendola con una copertina. La guardò di nuovo, poi uscì fuori dalla Base ed i suoi passi si persero tra gli alberi. Gli sfuggiva ciò che faceva, e si accorse di non rendersi neanche conto delle sue azioni. Era come se un qualche automa lo stesse guidando. Si ritrovò qualche ora dopo seduto su un tronco, con le nocche disastrate e gocciolanti di sangue.
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    Il mattino dopo...



    Aprire gli occhi di buon mattino e ritrovarsi con la testa dolorante non era una sensazione nuova per lei, considerando che, se pur non molto spesso, si era ubriacata già altre volte. Ma, a differenza dei risvegli precedenti, in cui al mal di testa si aggiungeva l'infinita confusione ed il ricordo non proprio vivido di ciò che era successo la sera prima, questa volta Zaira ricordava tutto. Non una sola immagine nella mente della Vigilante era offuscata e poco chiara, non una sola sequenza di ricordi veniva spezzata improvvisamente. Si ricordava tutto, si ricordava la noia che l'aveva accompagnata per buona parte della giornata, le conversazioni con alcuni suoi compagni, e Craig, che aveva cercato di approfittarsi di lei in modo vigliacco. Zaira si ripromise che una volta uscita da quella stanza gliel'avrebbe fatta pagare, lo avrebbe fatto pentire di essere venuto al mondo. Ma poi, guardandosi rapidamente intorno e cercando le forza per alzarsi da quel letto, la rossa si rese conto di non essere nella stanza di quel lurido porco che aveva provato a violentarla, ma di essere nella sua stanza. Nella stanza di Dastan. E Dastan non c'era.
    Di colpo, la Vigilante ricordò anche quella parte della storia che, in quei primi minuti dopo il risveglio, le era stranamente sfuggita. Il suo cervello, forse, aveva cercato di proteggerla da quelle immagini che, anche se in modo meno vivido rispetto alle altre, aveva perfettamente registrato, immagini che, improvvisamente, cominciarono a scorrere una dopo l'altra in una sequenza rapida e che subito le trasmise un senso di profonda angoscia. Le sembrava di vedere la scena ripetersi proprio davanti ai suoi occhi in quel momento: lei che chiamava Dastan, lui che arrivava e sbatteva a terra Craig, il mal capitato che cercava di trovare un modo per sfuggire alle ire del Capo di Indipendenza e lei che, nel momento in cui si era resa conto che il suo uomo aveva nuovamente riafferrato il Vigilante e che gli avrebbe sicuramente fatto molto, molto male, aveva provato ad attirare l'attenzione dell'Orso del Nord, ma senza successo. Poi gli occhi le si erano chiusi, era svenuta -o forse si era, molto più semplicemente, addormentata- e non aveva più visto né sentito nulla. Eppure le sembrava di conoscere il proseguimento della storia, sentiva di conoscere il finale, e questa tremenda sensazione le fece quasi mancare il fiato. Dastan doveva avergliele date di santa ragione a quel ragazzo, su questo Zaira sarebbe stata pronta a scommettere tutto ciò che aveva; ciò che la preoccupava, però, era quel lato nascosto del suo uomo, il lato pericoloso che la rossa sapeva bene essere parte integrante di lui. Aveva visto come si comportava il Dastan arrabbiato, che già solo così era pericoloso, ma non aveva mai visto lo stadio successivo, quello dell'uomo infuriato ed accecato dall'odio. Quel suo aspetto la inquietava solo ad immaginarlo, e la paura che potesse essere venuto fuori la sera precedente, mentre lei era piombata nel sonno più profondo, le fece scorrere un brivido lungo tutto il corpo. Zaira cercò di non pensarci, ma il bisogno di scoprire cosa era successo quando lei aveva perso i sensi fu più forte di lei, e la costrinse ad alzarsi. La testa le giro paurosamente non appena si mise a sedere sul bordo del letto, tanto che dovette aspettare che le passasse completamente prima di provare ad alzarsi. Poi, quando ce la fece, si diresse immediatamente verso la porta, senza neanche preoccuparsi di rinfrescarsi un po' il viso perché il bisogno di vedere Dastan, di assicurarsi che stesse bene e sapere cosa era successo era decisamente più impellente. Ma proprio davanti alla porta, Zaira si rese conto delle condizioni in cui stava: aveva i pantaloni e la camicia completamente sbottonati, non sarebbe potuta uscire così. Si costrinse quindi a tornare indietro, a prendere dall'armadio le prime cose pulite che le capitarono davanti agli occhi e ad entrare in bagno per sciacquarsi il viso. Guardandosi nello specchio appeso sopra al lavandino, la rossa si rese conto di avere un'espressione più stravolta di quanto avesse pensato, e di avere anche gli occhi gonfi. Doveva aver pianto ad un certo punto, ma non avrebbe saputo dire quando. Una volta sistemata alla ben e meglio, comunque, la Giusta uscì dalla stanza e si ritrovò in un corridoio silenzioso come mai le era parso di percepirlo. Incontrò qualche Indipendente che, appena la vide, abbassò lo sguardo, passandole vicino senza minimamente rivolgerle la parola.
    Il senso di angoscia con cui Zaira si era svegliata si fece più intenso e pressante nel momento in cui i suoi occhi riuscirono ad incrociare quelli di Ronald, l'unico della Base che avesse avuto la forza ed il coraggio di guardarla dritta in faccia. Zaira dovette costringerlo a raccontarle come si erano svolte le cose, ci volle un po' prima che il ragazzo si decidesse a parlare, ma quando lo fece trasformò ogni dubbio della rossa in certezza. Alla fine del racconto, Zaira si ritrovò con gli occhi inondati di lacrime, lacrime che, con scarso successo, tentava di trattenere solo per mantenere un po' di dignità. Dovette far pena al povero Ronald, però, che prima le accarezzò il braccio con fare timido e non proprio convinto -quasi con timore, in realtà- e poi decise di passarle un braccio intorno alle spalle, per consolarla. -I ragazzi hanno giurato di non parlarne con nessuno.- le disse quindi, dopo qualche momento di silenzio -Avrei preferito cancellare la memoria di tutti, ma nessuno dei maghi della Base sa fare tanto, a quanto pare. Spero solo che tutti mantengano la promessa.- Zaira annuì, avvertendo l'angoscia ed il tormento riflessi nel tono di voce del secondo in carica alla Base dei Vigilanti di Indipendenza. Anche lei sperava che nessuno infrangesse il giuramento fatto, ma anche se così fosse stato sapeva che non sarebbe stato abbastanza, il rimorso per quello che aveva fatto avrebbe tormentato Dastan per sempre, così come lo tormentava l'uccisione di quel suo amico che gli aveva causato l'espulsione dall'Esercito. Improvvisamente, poi, Ronald sciolse l'abbraccio e la fissò negli occhi in silenzio, poi le sorrise amaramente. -Non lo vediamo da ieri notte, ho chiesto a qualcuno di andare a cercarlo ma hanno tutti... bé...- Zaira annuì di nuovo, alzandosi in piedi. Se prima di quel fattaccio l'intera Base nutriva un timore quasi reverenziale nei confronti del suo Capo, probabilmente adesso quel rispetto nei suoi confronti era parzialmente svanito, lasciando il posto ad una vera e propria paura. Zaira era certa che qualcuno dentro quelle quattro mura fosse già pronto ad additare il suo uomo, a definirlo un mostro ed a volerlo allontanare da quella che, anche se ancora per poco, era ancora casa sua. Spettava a lei il compito di cercarlo e di provare a parlargli, non semplicemente perché era la sua donna ma perché era stato a causa della sua stupidità che l'Orso del Nord si era macchiato le mani del sangue di qualcun'altro.
    Ronald le aveva detto che Dastan era andato verso il bosco, e fu lì che Zaira si diresse immediatamente. Avrebbe voluto avere Denna al suo fianco in quel momento come mai in nessun altro momento prima, ma erano giorni che non vedeva la lupa, nascosta in chissà quale meandro del bosco. La rossa non aveva certo il fiuto di un cane né era mai stata brava a seguire le impronte o i vari segni lasciati dal passaggio di qualcuno. Tra quegli alberi e quei cespugli, quindi, Zaira vagava completamente alla cieca, senza avere la minima idea di dove poter cercare il suo uomo. Ma era determinata a trovarlo, avrebbe messo a soqquadro l'intera foresta e non sarebbe tornata alla Base senza di lui. Ogni suono, anche il più impercettibile, attirava l'attenzione della rossa, che si lasciava guidare dal minimo fruscio delle foglie o dal suono del più leggero dei ramoscelli che veniva calpestato e spezzato. Fu per puro caso che, dopo due ore di ricerche, un sentiero apparentemente poco battuto la portò davanti ad un tronco su cui se ne stava seduto Dastan. La rossa notò immediatamente lo sguardo vuoto dell'uomo e le nocche insanguinate, segno che l'Orso del Nord stava male. Come un fiume in piena, il senso di colpa investì Zaira. Non riusciva a togliersi dalla mente l'idea che fosse colpa sua, gli aveva promesso che avrebbe cercato di non agire più in maniera stupida ed impulsiva e invece l'aveva fatto di nuovo. Se era lei la prima a sentirsi oppressa dal senso di colpa, come avrebbe potuto aiutare lui a liberarsi della stessa cosa che braccava lei? La rossa non aveva idea di cosa fare o dire, sentiva che qualsiasi cosa sarebbe risultata sbagliata, in un modo o nell'altro. Alla fine, però, Zaira riuscì a farsi coraggio e ad avvicinarsi a Dastan lentamente, scegliendo però di rimanere in silenzio ed aspettare la reazione del suo uomo prima di dire qualsiasi cosa e, forse, farlo fuggire di nuovo.
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    Avrebbe voluto soltanto tornare indietro di qualche ora e ficcarsi un po' di tolleranza in quella maledetta testa. Avrebbe voluto dire al Dastan del passato di darsi una regolata, di rendersi conto che per le mani non aveva altro che un ragazzino. Gli avrebbe detto che probabilmente il biondino aveva ancora una famiglia, che una madre dolce l'avrebbe aspettato a casa. Gli avrebbe ricordato che persino lui era stato piuttosto meschino in passato, eppure nessuno l'aveva ammazzato di botte. Chiuse gli occhi per cercare di impedire al mal di testa lancinante di lacerargli il cervello, perché sembrava che stesse facendo proprio quello. Era buio pesto, e probabilmente quella era l'ora più scura della notte: quella prima dell'alba. Aveva perso il senso del tempo lì, nel bosco, e solitamente quella era una cosa che apprezzava di quel posto. Potersi sperdere completamente, senza neanche pensare alle conseguenze o alle responsabilità. Che, prettamente, non sembrava avere. Almeno non ancora. Quando poi si sarebbe sposato, quando avrebbe messo su famiglia, le cose sarebbero cambiate. Probabilmente sarebbe dovuto stare attento ad eventuali ragazzini, non avrebbe potuto di certo stordirli con un colpo e piazzarli a letto. Ad un certo punto aveva pure cominciato a piovere, e Dastan si era goduto il rumore che l'acqua aveva fatto contro le foglie e sul terreno ricoperto di felci. Si era bagnato solo leggermente -sia perché gli alberi facevano scudo e sia perché in realtà non era durato molto- eppure aveva avvertito il freddo penetrargli nelle ossa. Non aveva ben capito se fosse stato il tempo brutto oppure la disperazione. Che poi, in realtà, la tristezza si era trasformata in rassegnazione prima ed in disgusto poi: si era detto che quel biondino avrebbe comunque fatto del male a Zaira, che l'avrebbe traumatizzata a vita. Eppure, quel suo giustificarsi gli aveva fatto schifo. Non c'erano giustificazioni per ciò che aveva fatto, e doveva rendersene conto. Era sicuro che qualcuno della Base avrebbe parlato, sicuramente i più spaventati e contrariati. Non ce l'avrebbe avuta con loro, e si sarebbe fatto i suoi mesi in prigione senza dire una parola. D'altra parte, era soltanto un criminale, sia di fronte alla legge che di fronte allo specchio. Le persone per bene non ammazzavano i ragazzini di diciotto anni, né tantomeno cercavano di giustificarsi. Sfogare la sua rabbia sugli alberi, però, aveva aiutato. Sì, si era rovinato le nocche a forza di colpire cortecce e strappare rami, eppure non aveva neanche sentito dolore. Era quasi una sorta di punizione, la sua, ed era conscio che con quelle stronzate non avrebbe mai affievolito il senso di colpa che aveva dentro.
    Sapeva che gli Stregoni si sarebbero occupati di Zaira, per cui aveva dato per scontato che nessuno la facesse muovere di lì. Era stato così contento di poter uscire da quella vita, di fare qualcosa di importante per la società, come rientrare nell'Esercito e lavorare per mettere su famiglia e farla stare tranquilla. Certo, era chiaro che non lo allettasse l'idea di tornare a sottostare agli ordini di quegli uomini impettiti, eppure sapeva che si sarebbe volentieri sacrificato per Zaira e per chi altro ne avesse avuto bisogno. Dastan era un uomo di casa, dopotutto: desiderava una famiglia, una grande famiglia. Ma com'era possibile espandersi, se lui uccideva persone lungo il tragitto? Che tipo di padre sarebbe diventato? E che marito? Tutti quei pensieri continuavano ad affollargli la mente ed a vorticare così velocemente da fargli venire la nausea. Aveva pianto in silenzio per tutto il tempo, ritrovandosi gli occhi rossi quasi quanto le nocche. Non c'era stato assolutamente nessuno lì con lui, eppure non era stato in grado di singhiozzare, di sfogarsi come aveva fatto Ronald qualche ora prima. Si era poi piegato con la schiena in avanti ed aveva affondato il volto tra le mani, lasciando che i capelli ormai quasi lunghi gli ricadessero ai lati. Il solo aver chiuso gli occhi gli aveva riportato alla mente i gorgoglii che il corpo di Craig aveva emesso. Dovette spalancarli subito di nuovo per non vomitarsi sui piedi. Il nervosismo, l'ansia e la rabbia avevano ormai preso il sopravvento, ed il senso di colpa che si aggiungeva a ciò gli provocava uno stato di apatia più assoluta. Si conosceva, ricordava bene che tipo di persona era stata dopo aver ucciso Jason. Probabilmente, anche quella volta sarebbe stato così, se non peggio. Dei rumori leggeri di passi lo riportarono alla realtà, quasi come se fosse caduto da un drago e si fosse schiantato a terra. Il suo cuore prese a battere all'impazzata per chissà quale motivo, e si ritrovò a strizzare forte gli occhi per tentare di cancellare ogni traccia del suo pianto. Invano. Quando il suo volto prese a sollevarsi pian piano, i suoi occhi inquadrarono la figura di Zaira: mise a fuoco prima le gambe, poi il busto ed infine il volto. Rimase a fissarla da lontano come se fosse legato a quel tronco, come se avesse dei pesi ai piedi che gli impedissero di alzarsi. Metaforicamente, il senso di colpa era il suo peso immane. La rossa sosteneva i suoi occhi senza mostrare alcun tipo di emozione, se non un'incredibile tristezza che non poteva non condividere. Dopo qualche istante, poi, cominciò ad avvicinarglisi, senza dire alcuna parola. Dastan la seguì con lo sguardo fino a quando non gli fu praticamente davanti e non gli riuscì difficile alzare il collo fin lì. A quel punto, l'Orso del Nord fissò dritto davanti a sé la stoffa bagnata della camicetta di Zaira. Lentamente, come se temesse di spaventarla, alzò le braccia e le portò attorno alla vita di lei, abbracciandola. Si voltò di profilo ed appoggiò anche la testa all'addome della donna, avvertendo il tessuto intriso di pioggia bagnargli una guancia. Fu in quell'esatto momento che il Vigilante non seppe trattenersi. Le lacrime calde cominciarono a scorrergli velocemente sul viso, già precedentemente inumidito dalla pioggia fredda. Non singhiozzava e non cercava di trattenersi, eppure le lacrime sembravano scendere giù senza alcun freno, indipendenti dal suo volto serio e vuoto. Non sembrava neanche stesse piangendo per davvero. Sostanzialmente, il ragazzo non ne era in grado. Non sapeva come fare. Il problema, ora, era Zaira: che cosa se ne sarebbe fatta di uno come lui? Aveva probabilmente pensato che fosse cambiato, che avrebbe potuto tranquillamente passare la vita con lui, ed altrettanto probabilmente si era ricreduta proprio quella mattina. Sì, perché ormai era quasi l'alba. Non trovò nulla da dire, perché non volle cadere nel banale e scusarsi con lei. Non aveva un reale motivo per farlo, e sicuramente non ce ne sarebbe stato bisogno: delle scuse, la rossa non se ne sarebbe fatta nulla. Sperò solo che non lo lasciasse. Era un pensiero piuttosto egoistico, certo, ma sapeva che altrimenti non ce l'avrebbe fatta. Aveva bisogno di sentirsi dire che non era un mostro, che dopotutto aveva avuto un motivo valido, o che magari sì, aveva esagerato, ma che un modo per rimediare ci sarebbe stato. Ne aveva tremendamente bisogno. Eppure, allo stesso tempo voleva essere schifato, allontanato, lasciato stare. Quale persona savia gli sarebbe stata vicina? Non potevano volergli talmente bene da passarci sopra, perché non se lo meritava. Si sarebbe voluto sentir dire tutta la verità in faccia, pur sapendo che gli avrebbe squarciato il cuore sentirlo da lei.
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    Zaira si era avvicinata a Dastan nello stesso modo in cui ci si avvicina ad un animale ferito: con lentezza quasi esasperante, tentando di non impaurirlo, di rassicurarlo invece di farlo innervosire. Non aveva assolutamente paura di lui, non temeva affatto che potesse avere reazioni avventate ed esagerate, non con lei e, probabilmente, neanche con nessun altro. Sapeva perfettamente che quello davanti a lei non era un mostro e non avrebbe cambiato idea semplicemente perché neanche dodici ore prima aveva ucciso un ragazzo. Per quanto avesse esagerato, Dastan non aveva fatto altro che proteggere lei; lo aveva fatto a suo modo, certo, ma la rossa non avrebbe mai potuto odiarlo e volerlo allontanare per averle evitato uno stupro sicuro. Si, perché se lui non fosse arrivato in tempo, probabilmente lei in quel preciso istante si sarebbe trovata nel bosco, lontana da tutto e tutti, nascosta nell'angolo più buio e lontano dall'umanità che fosse riuscita a trovare, e tutto questo perché sarebbe stata troppo impaurita per aver voluto avere a che fare a che fare con qualsiasi forma di vita. L'intera Sword's Hilt avrebbe potuto pensare ciò che più voleva, per lei Dastan non sarebbe comunque mai stato un mostro: le aveva salvato la vita, non le interessava in che modo lo avesse fatto.
    Zaira stentava, però, a riconoscere l'uomo di fronte a lei: Dastan era stato sempre il tipo forte ed impassibile, quello che non si faceva scuotere da nulla, quello che per tenere a freno la propria fragilità si era costruito l'immagine dell' "Orso del Nord", quell'immagine che in molti avevano imparato a rispettare, quella che alcuni temevano e che lei, invece, aveva imparato ad amare. In quel momento, però, nulla di tutto ciò sembrava essere mai esistito, perché quello davanti a lei era veramente quanto di più simile ad un animale ferito. Dastan aveva incrociato il suo sguardo, sostenendolo, solo fino a che non se l'era ritrovata davanti, poi l'aveva abbassato, quasi come temesse il suo rimprovero, il suo giudizio per quello che aveva fatto. Più che un animale ferito, adesso sembrava un bambino che aveva combinato un guaio ed aspettava il rimprovero da parte di un adulto. Ma la rossa non era lì per giudicare o rimproverare perché si sentiva la vera colpevole della situazione, era lei quella da rimproverare e giudicare. Lentamente, poi, il Capo di Indipendenza le cinse la vita con entrambe le braccia e poi si strinse addosso a lei, e Zaira non ci pensò due volte a ricambiare quell'abbraccio, passando un braccio intorno al collo di lui e cominciando ad accarezzargli la testa con la mano libera, esattamente come si tende a fare con i bambini per rassicurarli. Non ci volle molto tempo perché la Giusta si lasciasse andare ad un pianto silenzioso; fissava la chioma del suo uomo ma senza vederla realmente, sentendosi sempre più soffocare per l'infinita tristezza ed il senso di colpa sempre più pesante da sopportare. Probabilmente quello era l'abbraccio più intenso e significativo che si fossero mai scambiati da quando stavano insieme: sembrava quasi come se in esso vi fossero racchiusi tutti i bei momenti passati insieme, ma soprattutto quelli difficili, quelli che sembravano averli aiutati a cambiare ma che invece tornavano a tormentarli, come a volergli ricordare quello che erano stati, quello di cui non si sarebbero mai liberati. Anche se nessuno dei due aveva detto nulla, quell'abbraccio silenzioso sembrava urlare mille cose diverse, da "ehi, siete due imbecilli!" a "con un po' di pazienza supererete anche questa". Il pianto della ragazza, poi, si intensificò nel momento in cui la sua mano sfiorò la guancia dell'uomo avvinghiato intorno a lei, scoprendola inumidita. Quello non era certo il residuo della pioggia che fino a poco prima era caduta -e che di sicuro non era penetrata eccessivamente in quel lato del bosco. Quelle erano lacrime. Dastan stava piangendo, in silenzio, esattamente come lei, quasi come se entrambi si vergognassero di mostrare quel lato debole all'altro. Quella rivelazione -perché di quello si trattava- la travolse con una violenza inaspettata, tanto che improvvisamente si ritrovò a tirare su col naso e si lasciò sfuggire anche un paio di singhiozzi.
    Quella situazione, però, durò poco. Inconsciamente, Zaira sapeva che fra i due era lei, in quel momento, quella più forte. Lei e Dastan stavano condividendo le stesse sensazioni, se pur per motivi diversi: lei provava rabbia ed odio per se stessa, un profondo senso di colpa ed un'angoscia quasi estenuante, ed era convinta che anche il suo uomo stesse vivendo le stesse sensazioni. Sarebbero potuti rimanere abbracciati in quel modo per tutto il resto della giornata, tentando di consolarsi a vicenda e di darsi forza, ma non sarebbe mai potuto accadere perché in realtà non c'era equilibrio tra loro e, tra i due, Dastan era sicuramente quello messo peggio, quello a cui serviva una scossa per riprendersi quel tanto che bastava a tornare di nuovo in sé. E chiaramente lei era l'unica in grado di scuoterlo, o quanto meno di provarci. Solo non sapeva come farlo: gli avrebbe mentito dicendogli che non aveva fatto nulla di male e che tutto si sarebbe sistemato, ma gli avrebbe mentito anche dicendogli il contrario, che era un mostro e che doveva pagare per quello che aveva fatto. Più ci pensava e meno le sembrava di riuscire ad avvicinarsi ad una soluzione utile, motivo per cui alla fine decise di agire completamente d'istinto. Continuò ad accarezzargli i capelli in un gesto che era ormai diventato del tutto automatico, mentre con l'altra mano -leggermente tremante- andò ad asciugare le lacrime di lui. Non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia, anche perché lei stava ancora piangendo, anche se lo stava facendo di nuovo in silenzio. Doveva convincersi che lui aveva iniziato a calmarsi e che di lì a poco sarebbe tornato a guardarla con la sua solita espressione neutra e incazzata con il mondo allo stesso tempo, solo così si sarebbe tranquillizzata anche lei, solo così sarebbe potuta tornare a fissarlo negli occhi senza crollare.
    -Se tu non fossi arrivato in tempo ieri sera, adesso starei tremando nascosta chissà dove, terrorizzata anche dal fruscio delle foglie.- gli disse alla fine, fissando dritto davanti a sé. -Se c'è qualcuno da biasimare ed additare, quella sono io.- continuò, la voce leggermente tremante -Perché se prima di agire pensassi, tanti problemi li avremmo evitati.- Zaira si sarebbe volentieri addossata tutte le colpe per quello che era successo, in qualche modo sentiva di essersi macchiata lei stessa le mani del sangue di Craig; ma Dastan non avrebbe approvato quell'atteggiamento, si sarebbe sentito preso in giro, forse, e ciò non gli avrebbe certo fatto bene. Tirando nuovamente su col naso e poi asciugandosi rapidamente le lacrime alla bene e meglio, Zaira si costrinse ad afferrare il volto del suo uomo con le mani e fissarlo dritto negli occhi, cercando di apparire quanto più forte e sicura di sé riuscisse ad essere. -Non sei un mostro, Dastan.- gli disse quindi, per poi sospirare e chiudere per un momento gli occhi. -Se però vuoi ostinarti a ritenerti tale, almeno ricordati che non sei da solo.- Forse stava esagerando, lei in fondo non aveva fatto nulla di male, eppure si sentiva davvero un mostro, quasi come se lei e l'Orso del Nord fossero stati un'unica entità, lei la mente e lui il braccio. Sentendo le tempie che cominciavano a pulsarle a più non posso, Zaira poggiò la propria fronte contro quella del suo uomo, deglutendo un paio di volte e stringendo i denti, cercando di scacciare via dalla mente i pensieri più cupi, che di certo non la aiutavano e che, per contro, non avrebbero aiutato neanche lui.
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    Era incredibile quanto quella situazione fosse violenta, seppur loro non si muovessero ed attorno a loro ci fosse il più completo silenzio. Tutto ciò che si poteva udire era ancora qualche goccia che crollava dal cielo e si andava a schiantare sul terreno, come se il tempo fosse scandito in quel modo. Avvertiva le mani di Zaira carezzargli la testa e le spalle, in una sorta di abbraccio improvvisato e triste. Lui, dal canto suo, aveva continuato a stringerla come un ragazzino. Si era ritrovato sperso, quella mattina: gli pareva di essersi risvegliato da un brutto sogno terribilmente vivido. Sapeva che anche la rossa stava piangendo, perché era chiaro che odiasse vederlo ridotto così. Dastan era sempre stato quello forte, quello in grado di sostenere pesi innominabili e farsene una ragione al riguardo. Nonostante avesse subito la batosta dall'Esercito, però, evidentemente ancora non aveva imparato a trattenersi. Non sapeva domare quella bestia che sembrava animarsi dentro di lui quando subiva un'ingiustizia, o più generalmente quando accadeva qualcosa che non doveva accadere. Era un abominio togliere la vita ad un ragazzo, non importava che cosa diavolo avesse fatto. Le cose si sarebbero potute aggiustare, avrebbe potuto esiliarlo, mandarlo a vivere assieme ai draghi, e invece no. Dastan era stato troppo ingenuo, troppo istintivo. Il colpo era partito senza neanche dargli il tempo di elaborare il movimento. Zaira mosse una mano per andare a prendere il suo volto, ma quando lo raggiunse e lo trovò bagnato, la donna si strinse ancora di più a lui. Era scossa dai singhiozzi, e ciò non fece altro che complicare ancora di più la situazione. L'Orso del Nord strizzò gli occhi per evitare di seguire a ruota la sua donna, poi seppellì la faccia nella sua maglia, come a volersi convincere che si sarebbe dovuto calmare. Era inutile continuare a piangere: l'aveva fatto già, si era sfogato, non c'era bisogno di farsi vedere così indebolito. Non avrebbe mai voluto che Zaira conoscesse quel lato di sé, quello che si sfogava piangendo e disperandosi. Era la sua parte debole, quella forse più umana, assieme a quella che invece voleva costruirsi una famiglia ed essere un tutt'uno. Pian piano, dunque, Dastan cercò di regolare il suo respiro, in modo da concentrarsi su qualcos'altro. Il farlo, infatti, gli concesse almeno di smettere di piangere. Poteva solo immaginare come si potesse presentare la sua faccia, dopo che non aveva dormito ed aveva passato la serata a disperarsi, tuttavia non gliene importò. Dopo qualche momento, un tempo indefinito per Dastan, Zaira cominciò a parlare, dicendogli che, se non fosse arrivato in tempo, probabilmente in quella situazione ci si sarebbe trovata lei. Sarebbe stata terrorizzata. Aggiunse poi che era lei da biasimare, perché non aveva pensato prima di agire. In quel modo, avrebbero potuto evitare tanti loro problemi. L'Orso del Nord non l'aveva mollata, e infatti strinse la presa sui suoi fianchi. Non era completamente vero. Non poteva addossarsi la colpa lei, non sarebbe stato né giusto né plausibile. Sì, si era ubriacata, ma non avrebbe mai potuto predire le azioni di Craig. Lui, invece, non si era saputo regolare. Lasciò che anche la rossa si calmasse e prendesse poi il suo volto tra le mani, fissandolo. Gli ci volle un po' per trovare il coraggio di fare altrettanto, e nello sguardo di lei poteva notare anche il suo: stavano provando le stesse emozioni forti, ed il fatto che anche la rossa le condividesse significava che potevano dividersi il peso delle loro azioni a metà. Anche se, comunque, non sarebbe stato giusto. Forse, però, per una volta l'avrebbe fatto, si sarebbe appoggiato a qualcuno. Si sarebbe fatto aiutare. La donna indurì lo sguardo, fissandolo in modo serio e dicendogli che non era un mostro. Fece una piccola pausa, poi aggiunse che se avesse comunque voluto considerarsi tale, si sarebbe dovuto ricordare che non era solo. La mano di Dastan lasciò il fianco di lei ed arrivò alla sua guancia per carezzargliela, poi la rossa chiuse gli occhi ed appoggiò la fronte alla sua, come a volersi rilassare. Il gesto di portarsela in braccio gli venne spontaneo, e una volta che fu sopra di lui l'abbracciò, cingendole le braccia senza però staccare la fronte da quella di lei. Era strano affrontare una situazione come quella sapendo di avere una persona con cui poter condividere le ansie e le paure. Per lui era una cosa totalmente nuova, e ciò, ovviamente, gli procurava sensazioni diverse dal solito. Sentiva come di volerle un bene infinito, e all'improvviso la sola idea di perderla gli sembrò terribile. Come se non potesse vivere senza di lei. Erano arrivati a quel punto, dunque? Erano uno indispensabile all'altra e viceversa? Perché Dastan sapeva di amarla. Doveva. Tutto ciò che aveva fatto per lei era stato nuovo, a partire dal rimanere con lei dopo il sesso fino ad arrivare ad ammazzare soltanto per proteggerla. Come si erano spinti così in là? Come aveva fatto a coinvolgerlo così tanto? C'erano tanto domande nella sua testa, domande alle quali non c'era risposta. L'unica cosa che sapeva era che non voleva perderla, e pareva essere l'unico pensiero fisso in quel momento. E se, uccidendo Craig, l'avesse allontanata? Se non volesse più stare con lui? L'Orso del Nord si limitò a carezzare una spalla della donna con il pollice, per poi sporgersi appena ed arrivare a baciare delicatamente le sue labbra. Le sfiorò soltanto, perché poi deglutì e la fissò negli occhi.
    « Mi vuoi ancora sposare? » gli chiese. Parlò con voce bassa e indecisa, e quando sbatté le palpebre una lacrima gli corse giù per la guancia, come se volesse enfatizzare il concetto. Le aveva fatto una domanda chiaramente fuori luogo, eppure era l'unica cosa che aveva in mente. Non era ancora pronto per chiederle se Craig avesse famiglia, e da chi sarebbe dovuto andare a parlare. Non poteva farcela. Una mano di lui scattò velocemente al volto per asciugarsi la lacrima, poi tirò su col naso. Doveva smetterla di farsi vedere debole.
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    Ormai sembravano essere quasi un tutt'uno: non solo piangevano insieme e condividevano le stesse emozioni, ma cercavano anche di calmarsi entrambi nello stesso momento, probabilmente con la stessa idea in testa, ossia farsi forza per l'altro. Neanche con Tommen era riuscita a condividere un rapporto così intenso, nonostante quello fosse stato il suo primo amore e nonostante fosse ancora presente, a modo suo, e probabilmente lo sarebbe stato per sempre. Perché Tommen l'aveva resa quella che era, la sua morte ed il vuoto che aveva lasciato in lei l'avevano spinta prima alla solitudine e poi a cercare qualcuno che quel vuoto potesse colmarlo. Dastan ci era riuscito, nonostante il loro rapporto non fosse iniziato bene, aveva riempito totalmente il vuoto lasciato da Tommen; non era stato il semplice rimpiazzo del suo precedente ragazzo, Zaira non l'aveva mai ritenuto tale, nonostante i mille paragoni che, spontaneamente, aveva fatto e che, di tanto in tanto, ancora si ritrovava a fare. La rossa aveva amato Tommen in modo davvero incondizionato, ma da tempo ormai si era resa conto di amare l'Orso del Nord molto di più. Tutto quello che avevano passato li aveva legati in maniera indissolubile, e né le discussioni inutili all'ordine del giorno, né la distanza né tanto meno ciò che era successo la sera prima sarebbe stato in grado di spezzare quella catena che ormai li teneva uniti. Lei e Dastan erano chiaramente la scintilla che accendeva l'uno il fuoco dell'altra, ma allo stesso tempo erano anche quel qualcosa in grado di spegnere quello stesso fuoco che erano in grado di accendere. Zaira sapeva di essere l'unica in grado di far ragionare il Capo di Indipendenza, l'unica in grado di farlo calmare, sapeva che se lei l'avesse abbandonato lo avrebbe distrutto, lo avrebbe trasformato nell'essere più brutale o forse nel più apatico dell'intera Sword's Hilt. Lo sapeva perché per lei sarebbe stato così, l'aveva già sperimentato in quei tre mesi di lontananza ed era ormai certa che anche per lui non sarebbe potuto essere diverso.
    Quando Dastan guidò i suoi movimenti fino a farla sedere sulle proprie ginocchia, Zaira ormai aveva smesso di piangere, era tornata di nuovo sufficientemente in controllo di sé e delle proprie emozioni. Sentiva di essere la più forte tra i due, in quel momento, la "dura" della situazione, situazione di cui, però, non prese il controllo, non totalmente almeno. Doveva procedere in modo graduale, lasciare che Dastan si tranquillizzasse, e di conseguenza , paradossalmente, doveva lasciare le redini anche a lui. Si lasciò abbracciare, quindi, aggrappandosi a lui come meglio poté -visto che le aveva pressoché bloccato le braccia, forse senza neanche rendersene conto. Quello che gli doveva dire era riuscita a dirglielo, tutto in un solo colpo per fortuna, motivo per cui rimase in silenzio, in attesa che fosse lui a dire qualcosa. Zaira si sentì improvvisamente e stranamente in pace, quasi come se di punto in bianco si fosse dimenticata del motivo per cui erano finiti in quel punto della foresta a piangere insieme. Era una sensazione strana, ma in qualche modo normale: probabilmente quell'improvvisa calma era dettata dalla sicurezza di non aver perso il suo uomo, di essere ancora uniti -probabilmente più di prima- nonostante la gigantesca stronzata che erano riusciti a combinare. Dastan sarebbe potuto fuggire da tutto quel caos perché incapace di sopportarne il peso o, peggio ancora, l'avrebbe potuto rifiutare perché stanco di tollerare le stupidaggini che faceva. Zaira aveva pensato anche a tutto ciò mentre lo cercava per il bosco, ecco perché ritrovarsi tra le sue braccia in quel momento le sembrava la cosa più bella del mondo. Quando, però, Dastan le sfiorò le labbra in modo quasi impercettibile per poi chiederle se avesse ancora intenzione di sposarlo, mentre una lacrima tradiva i suoi pensieri, il suo stato d'animo e le sue paure, quell'idillio si spezzò di netto e Zaira fu riportata alla realtà dal ritorno del groppo in gola e del macigno sulla bocca dello stomaco. Aveva sempre saputo di avere a che fare con un uomo duro solo in apparenza, che nascondeva bontà e fragilità dietro la maschera di "Orso del Nord", eppure non aveva mai sospettato che quella fragilità potesse essere così grande, così profonda. La si notava nelle iridi chiare o in quella lacrima solitaria che Dastan si sbrigò ad eliminare. Lo sguardo che la rossa gli rivolse fu quasi materno: Dastan aveva bisogno di essere tranquillizzato proprio come un bambino, né più né meno.
    -Se in questo remoto angolo della foresta passasse un Colonnello adesso, per puro caso, gli chiederei di celebrare la cerimonia all'istante.- gli rispose quindi lei, parlando lentamente e scandendo bene ogni singola parola, così che potesse imprimersi al meglio nella cervello del suo uomo. -Non puoi liberarti di me in nessun modo, Dastan, né io posso liberarmi di te, ormai.- aggiunse quindi, mentre un angolo della bocca si incurvava leggermente all'insù. -Siamo...- balbettò, improvvisamente in difficoltà nel riuscire a dare voce ai propri pensieri -Siamo troppo parte l'uno dell'altra per poterlo fare, ormai.- Le sembrava di aver detto una cosa talmente ovvia che non riuscì a spiegarsi il motivo del respiro di sollievo che le sfuggì subito dopo quelle parole, quasi come se si fosse appena liberata del peso maggiore che avesse mai dovuto portare. Era sempre stata abbastanza schietta nel dire ciò che provava per lui, ma quella cosa le riuscì difficile, e forse quella difficoltà era legata alla portata di quella semplice frase, al significato di quelle parole ed alla consapevolezza disarmante di non poter più fare a meno di lui.
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    Era arrivato il momento di tornare il vecchio Dastan. Era inciampato nuovamente, era caduto, ma si sarebbe dovuto rialzare ancora più forte. Non aveva fatto nulla di bello, se lo riconosceva, ed avrebbe dunque affrontato le conseguenze. Non chiedeva di essere perdonato né di scontare pene minori, bensì voleva soltanto essere ascoltato. Aveva bisogno che la gente capisse che non era un mostro, che non era sempre l'Orso del Nord. Zaira gli stette vicino, tenendoselo stretto addosso come se non si vedessero da mesi. Effettivamente, poteva capire la sua preoccupazione: l'ultima volta che avevano litigato di brutto, Dastan aveva raccolto tutto in una sacca e se n'era andato. La donna, probabilmente, aveva paura di che cosa potesse diventare se lasciato a marcire. Il Vigilante non aveva mai pensato a quell'eventualità. Era possibile che, con la rossa accanto, fosse meno feroce? Insomma, che ragionasse meglio? Avvertire il corpo di lei così vicino al suo non fece altro che convincerlo della cosa. Non aveva mai affrontato certe situazioni con qualcuno al suo fianco, nemmeno suo padre. Era effettivamente la prima volta che una persona lo sosteneva, che pensava a lui come, in un certo senso, innocente. Era la primissima volta che qualcuno credeva fermamente e ciecamente a Dastan. Quella riflessione lo sconvolse: Zaira sarebbe stata disposta a difenderlo anche in una situazione come quella. Come poteva? Com'era possibile che si fossero avvicinati così tanto, che fossero così importanti l'uno per l'altra e viceversa? Ancora gli risultava difficile capire come funzionasse l'amore, o anche solo l'affetto che provava per quella donna. Non aveva mai creduto a quel tipo di sentimenti, alla fiducia incondizionata ed al bene estremo. Sì, perché non aveva le farfalle nello stomaco, bensì macigni. Ed era certo che solo la rossa avrebbe potuto aiutarlo a sollevarli da lì. Quello voleva dire amare una persona, poter contare su di essa anche e soprattutto nel momento del bisogno. Quasi a confermare la sua tesi, poi, Zaira gli rivolse uno sguardo dolce, come mai gliene aveva visti fare. Gli disse che l'avrebbe sposato anche lì, in quel momento, e per una frazione di secondo il cuore di Dastan mancò un battito. Non per la situazione, e neanche per amore: era paura. Sapeva che, da quel momento, sarebbe dovuto essere un bravo marito, un bravo padre, un brav'uomo. Non sapeva se ci sarebbe riuscito, ma sicuramente ci avrebbe provato. Poi Zaira continuò a parlare, dicendogli che non si sarebbero potuti liberare del rispettivo compagno perché ormai erano troppo parte l'uno dell'altra. Realizzò solo successivamente il significato di quelle parole: erano legati indissolubilmente. Anche se l'amore fosse poi svanito, in futuro, le esperienze che avevano vissuto li collegavano, e l'avrebbero fatto per il resto della loro esistenza. Ciò era probabilmente più importante del sentimento stesso, dopotutto. Dastan rimase in silenzio a guardarla, riuscendo a non piangere più. Non poteva considerarsi felice, ma sicuramente aveva fatto mezzo passo verso quella direzione. Tutto stava nell'andare a parlare con la famiglia di Craig e spiegare la situazione. Sapeva benissimo che nessun genitore avrebbe mai voluto sentire ragioni, ma per Dastan era importante che lo facessero. Anche il Vigilante sospirò, come se a quel punto si fossero veramente detti tutto. Non poteva immaginare la loro situazione se solo Zaira non avesse abortito qualche mese prima. Forse tutto quel casino non sarebbe successo, o forse sì. Dopotutto, non poteva saperlo. Certo era che non erano ancora pronti per un passo del genere. Ci sarebbero certamente arrivati, ma non in quel momento. Si portò una mano tra i capelli, tirandoseli all'indietro, poi cercò di rirpendersi un poco. I suoi occhi erano ancora tremendamente rossi, chiaramente, e le crosticine sulle nocche delle mani pizzicavano, ma il peggio sembrava essere passato.
    « Zaira von Row... » bisbigliò, come preso da un'improvvisa nostalgia per i vecchi tempi. Fece una piccola pausa, fissando il terreno bagnato, poi tornò agli occhi chiari e dolci di lei. « ...la rossa di Indipendenza. » terminò dunque. In un certo senso, ciò che le aveva appena detto aveva un significato, almeno nella sua testa: tutto stava cambiando, a partire dagli assetti originari. E il mondo, assieme a loro, girava. Le vite continuavano, i Vigilanti crescevano, suo padre invecchiava e sua madre, probabilmente, marciva. Per un momento il suo pensiero guizzò al suo vero padre ed al suo fratellastro, che gli somigliava eccessivamente. Forse avrebbe veramente incontrato Christopher. Magari quello era il momento adatto per cercare di dare un senso alla sua esistenza.
    Dastan Dauthdaert @
     
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